I documenti storici che risalgono alla IV dinastia sono scarsi e frammentari e la maggior parte delle informazioni di cui si dispone provengono da documenti redatti in epoche successive. Tra questi i più importanti sono una stele incisa durante la V dinastia chiamata “Pietra di Palermo”, un canone reale redatto durante la XIX dinastia chiamato “Papiro di Torino” e le tavole murarie del medesimo periodo recuperate a Karnak, Abidos e Saqquara.
Menetone, un sacerdote di Eliopoli del III secolo a.C, scrisse la cronologia delle dinastie egizie all’interno di un documento di cui ci sono pervenuti soltanto pochi frammenti, ciò nonostante il suo contenuto è per lo più noto grazie alle ricostruzioni storiche redatte dagli storici greco-romani, i quali trascrissero nelle loro opere le informazioni acquisite durante la loro permanenza in Egitto. Tutte le informazioni disponibile sono state valutate dagli egittologi al fine di ricavarne una cronologia dinastica che comprendesse le durata di ogni singolo regno, tenendo conto del fatto che questi documenti si basano su informazioni indirette, e che in quanto tali possono contenere significative incongruenze e lacune.
Erodoto di Alicarnasso
“Storie” di Erodoto è considerato uno dei primi esempi di letteratura storiografica occidentale e non a caso Cicerone si riferì a questo autore definendolo “Il padre della storia”. Erodoto di Alicarnasso nacque all’inizio del V secolo a.C., poco dopo che l’Impero persiano tentò d’imporre la sua autorità su tutte le poleis greche costiere. Intraprese numerosi viaggi, nel corso dei quali realizzò inchieste di carattere storico, ricercando le cause che portarono al conflitto tra l’Impero persiano e le poleis unite della Grecia. Dalle sue opere emerge la volontà di slegare la memoria storica dal mito e il tentativo di fermare nel tempo le reali gesta degli uomini che fecero la storia. Tuttavia nel più dei casi dovette basare le sue ricostruzioni dei fatti su notizie indirette e sebbene fosse propenso ad estrapolare dai racconti epici il valore pedagogico, non mancano i casi in cui si può intuire una certa tendenza a considerare veritiere storie che favoleggiano imprese leggendarie del passato. La prima parte di “Storie” descrive la Persia, l’Egitto, la Lidia, la Scizia e la Tracia, coprendo un ampio arco temporale che va dalla prima epoca egizia all’inizio delle guerre persiane avvenuto nel 494 a.C.. I suoi viaggi lo portarono a visitare Egitto dove rimase affascinato dalla monumentale architettura e in particolare dalle piramidi edificate sulla Piana di Giza, tanto da volerne riportarne la loro storia. Consultò i documenti dei templi e intervistò i sacerdoti di Menfi, al fine di raccogliere informazioni sulla cultura di quel paese e sugli uomini che realizzarono le opere monumentali di Giza.
Erodoto scrisse:
Tratto da “Storie” di Erodoto, Newton compton editori, traduzione di Pietro Sgroj
124 [1] – I sacerdoti dicevano che fino a re Rampsinito c’era stato in Egitto un ordine perfetto e grande prosperità. Mentre Cheope, il suo successore, l’avrebbe ridotto alla più squallida miseria. Anzitutto, dicono, chiuse tutti i santuari e proibì i sacrifici; quindi impose a tutti gli egiziani di lavorare per lui. [2] Agli uni impose di trascinare le pietre fino al Nilo dalle cave dei monti arabi; e ad altri ordinò di ricevere le pietre che avevano passato il fiume su battelli, e di trascinarle fino ai monti chiamati libici. [3] – Ogni trimestre lavoravano a turno centomila uomini. E il popolo si logorò dieci anni per costruire la strada su cui venivano trascinate le pietre. Un’opera che è, a parer mio, non di troppo inferiore alla piramide: [4] giacché la sua lunghezza è di cinque stadi, la larghezza di dieci orge, l’altezza della scarpata raggiunge, dove tocca il massimo, le otto orge. La strada è fatta di pietra levigata e con figure incise. Occorsero dunque, per essa, e per le camere sotterranee nella collina su cui sorgono le piramidi, quei dieci anni. Il re costruì le camere, destinate alla sua sepoltura, in un’isola, che egli creò col condurre dal Nilo fin là un canale. [5] Per la costruzione della piramide occorsero vent’anni. Essa è quadrata. Presenta da tutti i lati una faccia di otto plettri, un’altezza uguale. E’ di pietre levigate e perfettamente connesse, di cui nessuna misura meno di trenta piedi
125 [1] – Questa piramide fu costruita a gradini, chiamati merli o altarini. [2] E quando si giunse a tal punto della costruzione, le rimanenti pietre furono sollevate con macchine fatte di legni corti. Venivano sollevate da terra sul primo ordine, [3] da dove venivano tratte sul secondo ordine e su un’altra macchina. [4] Le macchine erano altrettante quanti erano gli ordine dei gradini. O forse la stessa, unica e maneggevole, veniva, tolta la pietra, spostata su ogni ordine. – Voglio esporre tutte e due le ipotesi come vengono presentate. – [5] Sicché furono terminate prima le parti più alte, poi quelle più vicine ad esse, e per ultime quelle che toccano il suolo, le più basse. [6] Un’iscrizione egiziana sulla piramide fa sapere quanto si è speso in syrmaia, in cipolle e in agli per i lavoranti. E se ben ricordo quello che mi diceva l’interprete leggendo l’iscrizione, furono pagati mille e seicento talenti d’argento. [7] se ciò corrisponde a verità, quanto è verosimile che si sia versato ancora per gli strumenti di ferro con i quali si lavorava, e per il cibo e le vesti dei lavoranti? Perché ho già detto il tempo che fu impiegato per edificare queste opere. E per tagliare le pietre, trasportarle, e fare lo scavo sottoterra, dovette occorrere, a mio parere, un’altro non indifferente lasso di tempo.
126 [1] – Cheope giunse, dicono, a tanta malvagità che, occorrendogli denaro, mise sua figlia in un lupanale, con l’ordine di raccogliere una determinata somma, che non mi è stata precisata. Ella eseguì l’ordine del padre; ma volle pure ella lasciare un suo ricordo, e a ogni visita chiedeva che li donasse una pietra. [2] I sacerdoti mi dissero che con queste pietre fu costruita la piramide che sorge in mezzo alle tre dinnanzi alla grande piramide, e di cui ogni faccia misura un plettro e mezzo.
127 [1] Dicevano gli egiziani che questo Cheope regnò cinquantanni, e che alla morte di lui ereditò il regno suo fratello Chefren. Il quale si conformò in tutto alla condotta del predecessore, e costruì anche una piramide, che però non raggiunse le dimensioni di quella di Cheope.
Il racconto di Erodoto colloca la costruzione della Grande piramide in un periodo storico imprecisato, ponendo come riferimento il regno mitico di re Rampsinito. Questo nome non trova riscontri se confrontato con i canoni reali ritrovati, sembrando quanto più una leggenda derivata dalle credenze popolari che rimandavano ad una mitica età dell’oro egiziana. I sacerdoti intervistati descrissero Cheope come un tiranno che ridusse in schiavitù il popolo, al fine unico d’impiegarlo nella costruzione della sua tomba monumentale. Viene oltremodo sottolineato anche lo sconsiderato dispendio economico finalizzato a soddisfare l’ego smisurato del sovrano. L’idea di un sovrano egocentrico e prevaricatore è rafforzata dal dettaglio che ascrive a Cheope la decisione di chiudere i santuari in favore delle sue aspirazioni personali. Stabilire se ciò avvenne realmente o se si tratta di una forzatura nata per enfatizzare le circostanze è obbiettivamente impossibile. Secondo il resoconto di Erodoto servirono dieci anni per predisporre il cantiere e venti per erigere la struttura, per un totale di trent’anni. I sacerdoti che intervistò richiamarono alla memoria gli enormi sforzi occorsi per il trasporto delle pietre dalla cava al luogo designato per la costruzione. Erodoto parlò in maniera generica di Monti Arabici per indicare gli affioramenti rocciosi posti oltre la riva orientale del Nilo e di Monti libici per indicare l’altopiano su cui venne eretta la Grande piramide oltre la riva occidentale. Oggi sappiamo che le pietre calcaree utilizzate per realizzare il corpo della piramide furono prelevate da una cava a pochi centinaia di metri dal cantiere, anche se alcuni hanno avanzato l’ipotesi che alcune pietre provenissero dal lato opposto del Nilo. Invece sappiamo per certo che i grandi blocchi di Granito utilizzati per realizzare gli ambienti interni della piramide furono fatti provenire dalle lontanissime cave di Assuan per ignoti motivi, e che furono trasportati a bordo di zattere lungo il corso del Nilo per centinaia di chilometri.
La lunghezza dei lati della piramide corrisponde alla realtà, mentre l’altezza è leggermente imprecisa. La descrizione delle operazioni di costruzione appare a mio modo di vedere un po’ confusa, dimostrando che al tempo di Erodoto la memoria di quell’evento storico fosse ormai ridotta a poco più che uno sbiadito ricordo, circostanza abbastanza comprensibile se si considera che intercorsero circa duemila anni tra il regno di Cheope e le indagini svolte dello storico greco. Erodoto riporta poi un pettegolezzo dei sacerdoti di Menfi, secondo cui Cheope fece prostituire una delle sue figlia per finanziare la costruzione della piramide. Questa storia fantasiosa ha tutta l’aria di essere un’altra leggenda popolare nata per incriminare ancora di più la condotta scriteriata di Cheope e il suo spreco di ricchezze operato senza tenere conto delle ripercussioni negative sull’equilibrio economico e sociale del regno. Secondo Erodoto il regno di Cheope durò cinquant’anni e alla sua morte divenne faraone il fratello Chefren, che a sua volta costruì un piramide grande quasi quanto quella del suo predecessore. Oggi sappiamo che tra Cheope e Chefren regnò per un breve lasso di tempo Dedefra. Questa dimenticanza può essere giustificata dal fatto che il regno di questo faraone non lasciò un’impronta indelebile, mentre appare decisamente più strano che Chefren e Cheope fossero considerati fratelli, circostanza improbabile se si considera che il regno di Cheope durò cinquantanni e quello di Chefren piu’ di trentacinque. Oggi sulla base dei documenti disponibili si può affermare con sufficiente certezza che Chefren non era fratello di Cheope, bensì uno dei suoi figli. La ricostruzione storica di Erodoto è basata su notizie indirette raccolte duemila anni dopo il regno di Cheope. Sebbene il suo racconto non possa essere considerato per intero una verità storica, apre la strada ad una riflessione molto interessante che potrebbe in un certo modo spiegare il motivo per il quale i faraoni della V dinastia non riuscirono ad eguagliare in grandezza le piramidi realizzate dai sovrani della IV dinastia. Forse i faraoni della V dinastia non potevano permetterselo perché i loro predecessori avevano speso tutte le ricchezze del regno per la realizzazione dei loro monumenti eterni.
fonte:
“Storie” di Erodoto, Newton compton editori, traduzione di Pietro Sgroj
Manuel Bonoli
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