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Tavola XI dell’Epopea di Gilgamesh (XII secolo a.C.), esposta al Britsh museum di Londra

Il diluvio è un tema mitologico ricorrente che nel corso dei secoli venne assorbito e rielaborato da diverse etnie mediorientali e che in ultimo divenne una narrazione cardine della tradizione ebraica con il racconto biblico di Noè. Nell’arco di un secolo sono stati recuperati presso separate sedi diverse versioni analoghe a quella della Genesi biblica, la più antica delle quali è l’epica di Ziusudra. Il mito sumero di Ziusudra è contenuto all’interno della “Genesi di Eridu” un frammento di argilla datato alla I dinastia di Babilonia (XVIII secolo a.C.). Il nome di Ziusudra (Zin-Suddu) è elencato anche nella Lista reale sumerica specificando che fu l’ultimo re a detenere il potere nella città di Shuruppak prima di una grande alluvione. Il mito del diluvio sumero ispirò poi il mito di Atrahasis, una composizione letterale paleobabilone scritta in lingua accadica datata al XVII secolo a.C. La versione babilonese che vede come protagonista Utnampishtim risale invece al XII secolo a.C. ed è contenuta all’interno della tavola XI dell’Epopea babilonese di Gilgamesh.
Sebbene ogni versione abbia elementi distintivi, i caratteri peculiari della storia sono comuni in tutte le versioni elencate.

Versione Babilonese del Diluvio

  • La decisione del Consiglio divino
    Tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh:

Utnapishtim parlò a lui, a Gilgamesh:
“Una cosa nascosta, Gilgamesh, ti voglio rivelare,
e il segreto degli dèi ti voglio manifestare.
Shuruppak – una città che tu conosci,
che sorge sulle rive dell’Eufrate –
questa città era già vecchia e gli dèi abitavano in essa.
Bramò il cuore dei grandi dèi di mandare il diluvio.
Prestarono il giuramento il loro padre An,
Enlil, l’eroe, che li consiglia,
Ninurta il loro maggiordomo,
Ennugi, il loro controllore di canali;
Ninshiku-Ea (enki) aveva giurato con loro.

(fonte traduzione http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_11.htm#com1)

La motivazione che spinse gli dèi a voler distruggere l’umanità non viene rivelata in questa versione del mito, tuttavia la si evince da altre opere letterali precedenti. Gli uomini erano diventati troppo numerosi e il loro baccano disturbava il sonno degli dèi, così Enlil, adirato, riunì il consiglio superiore presieduto da An (dio del cielo e padre degli Anunnaki), Ninurta (dio del vento del sud), Ennugi (dio dei canali d’irrigazione) e Ninshiku-Ea/”Enki” (dio delle acque sotterranee). Insieme decisero di mettere fine al tempo dell’uomo. Enki, tuttavia, sabotò l’iniziativa promossa dal fratello Enlil avvisando Utnampishtim dell’imminente diluvio, ragguagliando l’uomo su come costruire un’arca che gli permettesse di sopravvivere al flagello. Per farlo usò uno stratagemma abbastanza singolare. Per non tradire il giuramento divino non parlò direttamente a Utnampishtim ma rivolse le sue parole al muro della casa in cui l’uomo abitava, fingendo di non sapere che Utnampishtim lo stava ascoltando al di là della parete.

  • Enki rivela a Utnampishtim la decisione degli dèi e lo istruisce su come costruire un’arca
    tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh:
Tavola XI dell’Epopea di Gilgamesh (XII secolo a.C.), esposta al Britsh museum di Londra

Le loro informazioni (quest’ultimo) però le rivelò ad una capanna.
“Capanna, capanna! Parete, parete!
Capanna, ascolta; parete, comprendi!
Uomo di Shuruppak, figlio di Ubartutu,
abbatti la tua casa, costruisci una nave,
abbandona la ricchezza, cerca la vita!
Disdegna i possedimenti, salva la vita!
fai salire sulla nave tutte le specie viventi!
La nave che tu devi costruire
-le sue misure prendi attentamente,
eguali siano la sua larghezza e la sua lunghezza – ;
tu la devi ricoprire come l’Apsu”.
Io compresi e così io parlai al mio signore Enki:
“L’ordine, mio signore, che tu mi hai dato,
l’ho preso sul serio e lo voglio eseguire.
Che cosa dico però alla città, agli artigiani e agli anziani?
Enki aprì la sua bocca, così parlò a me il suo servo:
“Tu, o uomo, devi parlare loro così:
‘Mi sembra che Enlil sia adirato con me;
perciò non posso vivere più nella vostra città
non posso più porre piede sul territorio di Enlil.
Per questo voglio scendere giù nell’Apsu,
e là abitare con il mio signore Enki.
Su di voi però Enlil farà piovere abbondanza,
abbondanza di uccelli, abbondanza di pesci.
Egli vi regalerà ricchezza e raccolto.
Al mattino egli farà scendere su di voi focacce,
di sera egli vi farà piovere una pioggia di grano”.

fonte traduzione http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_11.htm#com1

A questo punto della descrizione è interessante aprire una parentesi dedicata al più recente racconto Biblico del diluvio perché tra i caratteri cuneiformi dell’Epopea di Gilgamesh c’è la chiave per capire le macroscopiche incongruenze che emergono dalla narrazione dell’episodio Biblico.
Nella Genesi biblica il Signore viene descritto a tratti furioso e a tratti compassionevole, quasi come se avesse una doppia personalità.

tratto dalla Sacra Bibbia, Genesi 6,5-7:

Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.
Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti

fonte traduzione http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Genesi6%3A1-8&formato_rif=vp

In questi versi della Genesi bibilica (e non sono certo gli unici) il Signore viene descritto come un dio iracondo, ben diverso dall’entità onnisciente che tutto vede e tutto sa descritta dalla dottrina cattolica. Al contrario possiede sentimenti umani, si addolora nel vedere la malvagità insita nell’animo umano e si pente di aver creato l’uomo. Dunque è un dio che può sbagliare e cambiare idea, ed è ciò fa vedendo Noè, un uomo giusto che viveva seguendo la sua parola. E’ il cosiddetto “antropomorfismo divino” che domina tutta la Genesi e biblica.

Tratto dalla Sacra Bibbia, Genesi 6,9-12)

Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam, e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra.

fonte traduzione http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Genesi6%3A1-8&formato_rif=vp

In queste righe il Signore si ravvede delle sue intenzioni e decide di proteggere Noè e la sua famiglia dal diluvio imminente fornendogli precise istruzioni. Dalle azioni del Signore emerge una doppia personalità, da un lato è irascibile e non si fa alcuno scrupolo all’idea di cancellare ogni forma di vita dalla Terra, dall’altra è compassionevole e desideroso di preservare dalla distruzione il seme della vita, salvando Noè, la sua progenie e ogni forma di vita animale e vegetale. L’incongruenza è evidente e lo è ancora di più se si considera che sono stati i figli di Noè a ripopolare la Terra dopo il diluvio, nonostante quest’ultimi fossero inclini alle medesime carenze morali che affliggevano il resto dell’umanità. Dopo aver letto le vicende descritte nel mito del diluvio babilonese sarà chiaro al lettore il motivo della “doppia personalità” del dio ebraico della Bibbia. Nell’Epopea di Gilgamesh le divinità che interagiscono con l’uomo sono molteplici e tutte hanno una propria personalità, come nel caso di Enlil ed Enki, il primo vuole distruggere il genere umano, il secondo lo vuole salvare. I miti arcaici descritti nei testi dell’antica Mesopotamia, come quello del diluvio, furono assorbiti e rielaborati dalla mitologia ebraica, dunque l’adattamento di racconti politeistici ad una nuova versione monoteistica ha fatto sì che le azioni compiute da più divinità diventassero quelle di una sola, con evidenti contraddizioni.

  • La costruzione dell’arca
    Tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh:

Appena l’alba spuntò,
si raccolse attorno a me tutto il paese;
il falegname portò la sua ascia,
il giuncaio portò il suo …
I giovani uomini [ ]
le case [ ] le mura di mattoni.
I fanciulli portarono pece.
Il povero [ ] portò il necessario.
Al quinto giorno disegnai lo schema della nave;
la sua superficie era grande come un campo,
le sue pareti erano alte 120 cubiti.
Il bordo della sua copertura raggiungeva anch’esso 120 cubiti.
Io tracciai il suo progetto, feci il suo modello:
suddivisi la superficie in sei comparti,
innalzai fino a sette piani.
La sua base suddivisi per nove volte.
Nel suo mezzo infissi pioli per le acque;
scelsi le pertiche e approntai tutto ciò che serviva alla sua costruzione:
tre sar di bitume grezzo versai nel forno,
tre sar di bitume fine impiegai;
tre sar di olio portarno le persone portatrici dei canestri.
Tranne un sar di olio che il niqqu ha consumato,
e due sar di olio messi da parte dal marinaio.
Come approvvigionamento macellai buoi,
giorno dopo giorno uccisi pecore;
mosto, birra, olio e vino
gli artigiani bevvero come fosse acqua del fiume,
essi celebrarono una festa come se fosse la festa del Nuovo Anno!
Al sorgere del sole io feci un’unzione;
al tramonto la nave era pronta.
Il varo della nave fu molto difficile;
corde per il varo furono lanciate sopra e sotto;
due terzi di essa stavano sopra la linea d’acqua.
Tutto ciò che io possedevo lo caricai dentro:
tutto ciò che io possedevo di argento lo caricai dentro,
tutto ciò che io possedevo di oro lo caricai dentro,
tutto ciò che io possedevo di specie viventi le caricai dentro:
sulla nave feci salire tutta la mia famiglia e i miei parenti,
il bestiame della steppa, gli animali della steppa,
tutti gli artigiani feci salire.
L’inizio del diluvio me lo aveva indicato Shamash:
“Al mattino farò scendere focacce, la sera farò piovere
una pioggia di grano;
allora sali sulla nave e chiudi la porta!”.

(fonte traduzione http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_11.htm#com1)

Nell’epopea di Gilgamesh, come nella Bibbia, il diluvio ha un carattere punitivo, anche se sono diversi i motivi che spinsero gli dèi Anunnaki e il Signore ebraico a compiere un’azione così drammatica. Nella Bibbia gli uomini vengono puniti per la loro malvagità, perché ogni disegno concepito dai lori cuori non era altro che male. Nell’epopea di Gilgamesh, invece, si fa riferimento alla “rumorosità” del genere umano. Va ricordato che nella mitologia babilonese gli dèi erano divisi in due categorie, Gli Anunnaki e gli Igigi. Quest’ultimi erano esasperati dal duro lavoro a loro imposto dagli Anunnaki e a un certo punto si rifiutarono di lavorare, scontrandosi duramente con Enlil, uno dei principali componenti dell’aristocrazia superiore. Fu allora che intervenne Enki, il fratello di Enlil, che mise in accordo tutti creando un sostituto che lavorasse nei campi al posto degli Igigi. Creò l’uomo, una creatura che dalla terra nasce e alla terra ritorna quando muore. Siccome la decisione di distruggere il genere umano appare uno sconsiderato capriccio, vista l’importanza di quest’ultimo nell’equilibrio tra Anunnaki e Igigi, il termine “rumorosità” potrebbe anche essere reinterpretato con un eccessivo aumento della popolazione e un progresso intellettivo, tramite cui l’uomo tentava di rendersi indipendente dalla volontà divina.

  • L’arrivo del diluvio
    Tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh:

Venne il momento indicato:
al mattino scesero focacce, la sera una pioggia di grano.
Io allora osservai le fattezza del giorno:
al guardarlo, il giorno incuteva paura.
Entrai dentro la nave e sprangai la mia porta.
Al marinaio Puzur-Amurri, il costruttore della nave,
regalai il palazzo con tutti i suoi averi.
Appena spuntò l’alba,
dall’orizzonte salì una nuvola nera.
Adad all’interno di essa tuonava continuamente,
davanti ad essa andavano Shullat e Canish;
i ministri percorrevano monti e pianure.
Il mio palo d’ormeggio strappò allora Erragal.
Va Ninurta, le chiuse d’acqua abbatte.
Gli Anunnaki sollevano fiaccole,
con la loro luce terribile infiammano il paese.
Il mortale silenzio di Adad avanza nel cielo,
in tenebra tramuta ogni cosa splendente.
Il paese come un vaso egli ha spezzato.
Per un giorno intero la tempesta infuriò,
il vento del sud si affrettò per immergere le montagne nell’acqua:
come un’arma di battaglia la distruzione si abbatte
sugli uomini.
A causa del buio il fratello non vede più suo fratello,
dal cielo gli uomini non sono più visibili.
Gli dei ebbero paura del diluvio,
indietreggiarono, si rifugiarono nel cielo di An.
Gli dei accucciati come cani si sdraiarono la fuori!
Ishtar grida allora come una partoriente,
si lamentò Belet-Ili, colei dalla bella voce:
“Perché quel giorno non si tramutò in argilla,
quando io nell’assemblea degli dei ho deciso il male?
Perché nell’assemblea degli dei ho deciso il male,
dando, come in guerra, l’ordine di distruggere le mie genti?
Io proprio io ho partorito le mie genti
ed ora i miei figli riempiono il mare come larve di pesci”.
Allora tutti gli dei Anunnaki piansero con lei.
Gli dei siedono in pianto.
Secche sono le loro labbra; non prendono cibo!
Sei giorni e sette notti
soffia il vento, infuria il diluvio, l’uragano livella il paese.
Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, il diluvio
cessa la battaglia,
dopo aver lottato come una donna in doglie.
Si fermò il mare, il vento cattivo cessò e il diluvio si fermò.
Io osservo il giorno, vi regna il silenzio.
Ma l’intera umanità è ridiventata argilla.
Come un tetto è pareggiato il paese.

fonte traduzione http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_11.htm#com1

  • La missione esplorativa degli uccelli
    Tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh

Aprii allora lo sportello e la luce baciò la mia faccia.
Mi abbassai, mi inginocchiai e piansi.
Sulle mie guance scorrevano due fiumi di lacrime.
Scrutai la distesa delle acque alla ricerca di una riva:
finché ad una distanza di dodici leghe non scorsi un’isola.
La nave si incagliò sul monte Nisir.
Il monte Nisir prese la nave e non la fece più muovere;
un giorno, due giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere;
tre giorni, quattro giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere;
cinque giorni, sei giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere.
Quando giunse il settimo giorno,
feci uscire una colomba, la liberai.
La colomba andò e ritornò,
un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.
Feci uscire una rondine, la liberai;
andò la rondine e ritornò,
un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.
Feci uscire un corvo, lo liberai.
Andò il corvo e questo vide che l’acqua ormai rifluiva,
egli mangiò, starnazzò, sollevò la coda e non tornò.

fonte traduzione http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_11.htm#com1

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Divulgatore storico esperto in archeoastronomia.
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