La maschera di Uruk è un manufatto sumero realizzato tra il 3400 e il 3000 a.C. (fig.1). E’ conosciuta anche con il nome “dama di Warka” ed è una delle opere d’arte più antiche della storia.
fig.1 Maschera di Uruk (3400-3000 a.c.)
Potenza, fermezza, eleganza: erano queste le caratteristiche fondamentali dell’arte che fiorì alla fine del IV millennio e agli inizi del III. Da vent’anni soltanto sappiamo che ad esse va aggiunta una straordinaria sensibilità. Dobbiamo questa rivelazione alla testa femminile trovata a Warka (Uruk), durante gli scavi 1938-1939. Questa maschera di pietra bianca, di grandezza quasi naturale, non è soltanto una rappresentazione plastica di un volto, e si potrebbe dire del volto femminile, ma la testimonianza dell’enigma umano. Un tempo la scultura aveva occhi e sopracciglia incrostati di materia colorata, conchiglie e lapislazzuli. Oggi, nonostante le cavità, nonostante la mutilazione del naso, la pietra non ha perduto niente della sua espressione, negli occhi vuoti si ha l’impressione di sentire la fiamma di uno sguardo. Al di la della fronte sulla quale si stagliano i riccioli della capigliatura, si sente un pensiero attivo e penetrante, e le labbra chiuse non hanno bisogno di aprirsi perché si possano sentire parole. La loro piega, cui risponde quella della guancia, è già essa stessa un linguaggio. E’ la donna, misteriosa, che sembra dubitare di se stessa e del suo potere.
Comune mortale, gran sacerdotessa, sposa del re, dea, la maschera di Uruk è degna di tutti questi personaggi. Potrebbe essere l’uno e l’altro. E’, in fondo, la sintesi di tutti. Se la paragoniamo alle altre figure umane della stessa epoca (donna in preghiera di Khafagia, maschera virile di Tell Brak, audace prefigurazione del più puro stile cubista) se ne sente ancor di più la superiorità. Nel <<museo immaginario>> della scultura mondiale la testa di Warka è uno di quei pezzi decisivi che sfidano tutte le spiegazioni e s’accontentano di imporsi. Ecco dove siamo giunti, sulle rive dell’Eufrate, nel momento in cui si chiude il periodo proto-storico. Eredità commovente, eppure così pesante! Come ne entreranno in possesso e che ne faranno gli uomini della storia?
La maschera di Uruk venne trafugata dal museo di Bagdad durante la caduta del regime di Saddam Hussein. Il personale del museo abbandonò l’edificio per paura dei bombardamenti americani e il museo venne saccheggiato. Quando i soldati americani ricevettero l’ordine di proteggere il museo decine di migliaia di reperti erano già stati rubati. Al termine di quei giorni mancarono all’appello circa 15.000 reperti e molti altri rimasero danneggiati durante il saccheggio. In seguito circa 4000 reperti furono recuperati e riportati al museo, tra questi c’era anche la maschera di Uruk. Il museo riaprì nel febbraio 2008, anche se d’allora ben pochi visitatori stranieri vi hanno potuto mettere piede.
fig.1 Statuette degli oranti di Tell Asmar (2900-2500 a.C.)
Nell’arte sumera troviamo la dimostrazione di quanto fosse intenso il legame che l’antico sumero aveva con il mondo divino. Gli scavi nei templi dedicati alle divinità hanno portato alla luce molte statuette che poi vennero chiamate “statue degli oranti” per via della posizione di preghiera che le caratterizza (fig.1). Queste statue venivano collocate nei templi degli dèi in modo da rappresentare continuamente l’orante, dato che la persona reale non avrebbe potuto adempiere al suo debito di preghiera per via delle sue occupazioni quotidiane. Nella foto si vedono le dodici statue degli oranti ritrovate a Tell Asmar (Iraq) durante la campagna di scavi condotta tra il 1933 e 1934. Le statuette erano seppellite sotto al pavimento di un tempio dedicato al dio Abu (una divinità minore legata alla vegetazione e alla fertilità), la vicinanza con l’altare e la posizione ordinata in cui vennero trovate suggeriscono che furono seppellite intenzionalmente. Le statue di Tell Asmar risalgono ad un periodo compreso tra il 2900 a.C. e il 2500 a.C. e variano in altezza da 21 cm a 72 cm. Delle dodici statue dieci rappresentano individui di sesso maschile e due individui di sesso femminile. Otto delle figure sono fatte di gesso, due di calcare, mentre le più piccole furono realizzate in alabastro. Le statue erano un surrogato delle persone reali e su alcune di esse è riportato un nome e un messaggio supplichevole personalizzato.
Il pantheon sumero era composto da circa 500 divinità e sebbene le gerarchie divine e le narrazioni mitologiche fossero soggette a diverse interpretazioni, la supremazia di An, Enlil ed Enki non fu mai messa in discussione. An regnava in cielo (inteso come cosmo), ad Enlil spettava la sovranità sulla superficie terrestre, mentre Enki risiedeva nell’abisso da cui sgorgano le acque dolci che fertilizzano la terra. La cultura sumera riconosceva come elementi primi del cosmo quattro componenti: il cielo, la terra, l’abisso delle acque dolci e il Kur, la montagna mitica dove ogni forma di vita ebbe origine. Da una tavoletta risalente alla III dinastia di Ur (2100 a.C.) scopriamo quale fosse la concezione che i sumeri avevano riguardo alla condizione primordiale della Terra (fig.1). I sumeri credevano che al principio dei tempi il cielo e la terra fossero uniti e che questo stato impedisse lo sviluppo della vita.
1 An, il Signore, illuminava il cielo, mentre la terra
(KI) era al buio e nel Kur lo sguardo non penetrava;
Dall’abisso non si attingeva acqua, nulla si
produceva, nella vasta terra non venivano scavati solchi;
L’eccelso purificatore di Enlil non esisteva ancora, i
riti di purificazione non venivano ancora eseguiti;
la ierodula del cielo non era ancora ornata, non si
proclamavano le sue lodi;
5 cielo e tarra erano legati l’uno all’altra
formando un tutt’uno, non si erano ancora sposati;
la luna non splendeva ancora, l’oscurità si
estendeva dappertutto;
An manifestava il suo splendore nell’abitazione celeste,
il luogo dove egli abitava, non presenta tracce di vegetazione,
i poteri di Enlil non erano ancora stati distribuiti nei paesi
(kur-kur)
10 la santa signoria dell’Eanna non riceveva
ancora le offerte;
i grandi Dèi, gli Anunna, non circolavano sulla terra
fonte traduzione: Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
Alle origini esisteva soltanto An, che manifestava il suo splendore nell’abitazione celeste. L’oscurità si estendeva dappertutto e la Terra primordiale esisteva in uno stato avviluppato in cui terra e cielo non erano ancora stati separati, tuttavia al suo interno preesistevano in uno stato non ordinato gli elementi primi del mondo sumero. Il testo sottolineata più volte l’incompletezza del mondo embrionale; non esisteva la Luna, non esisteva il pianeta Venere (identificato nella dea Eanna), sulla Terra non si distingueva la montagna sacra da cui ogni forma di vita sarebbe stata creata e questa condizione non consentiva alla vita di germogliare. La terra non produceva vegetazione e senza le acque dolci dall’Abisso non sarebbe stato possibile coltivarla. Il testo si chiude sottolineando che gli dèi non esistevano (escluso An), non esistevano ancora Enki e Enlil (i figli di An) e senza i poteri divini di Enlil la vita non poteva essere creata.
fig.2 Geb e Nut. Nut ricoperta di stelle rappresenta la volta celeste, mentre Geb disteso in basso rappresenta la terra. In mezzo alla scena è rappresentato il dio Shu, personificazione dell’aria, mentre con le mani sostiene il cielo impedendogli di raggiungere la terra.
A mio giudizio questa concezione mostra un parallelismo significativo con un un mito cosmogonico egizio. I principi del culto eliopolitano contengono una visione delle origini molto simile a quella sumera. Questa credenza sosteneva che all’origine esistesse soltanto uno stato indeterminato chiamato Nun, che al suo interno aveva tutti gli elementi primi necessari a creare ogni cosa. In mezzo al Nun si manifestò Atum sopra una collina a forma di piramide, che a sua volta generò la prima copia di divinità, Shu e Tefnut. Atum aveva in se la forza per dare ordine al caos primordiale e per dare forma ad ogni cosa del creato. Dopo Shu e Tefnut furono creati Geb (la terra) e Nut (il cielo). Geb e Nut erano due divinità avvinte che se ne stavano sempre abbracciate e questa loro unione non dava modo alla vita di germoliare perciò Atum diede ordine di separarli (fig.2). Quando terra e il cielo furono separati la vita germogliò e la terza generazione di dèi stabilì il proprio regno sulla Terra, ovvero i figli di Geb e Nut: Osiride, Iside, Seth e Nefty. Da questo breve riassunto si possono individuare alcuni punti in comune con la cosmogonia sumera che difficilmente possono essere casuali:
L’esistenza di un’entità che si manifesta in mezzo all’indeterminatezza dello stato primordiale
L’iniziale unione tra cielo e terra che non permetteva lo sviluppo della vita
L’esistenza di una collina/montagna da cui si estende il principio della creazione.
Al di là del contesto mitologico, le spiegazioni che gli antichi seppero trovare non erano poi cosi’ lontane dalla realtà. La Terra primordiale non poteva ospitare la vita, dovette passare molto tempo prima che venissero ad esistere le condizioni favorevoli allo sviluppo della vita e nell’arco di tutto questo tempo misteriose forze agirono sulla materia trasformando l’indeterminatezza dello stato primitivo fino alla condizione che attuale. Alle origini la Terra era un ammasso incandescente di polveri e detriti cosmici e non esisteva una divisione netta tra cielo e terra, è pero’ innegabile che questo ammasso primitivo contenesse già tutti gli elementi necessari a creare ogni cosa.
fonte:
Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
Il mito sumero di “Enki e Ninmah” descrive gli eventi che portarono alla creazione dell’uomo. Dopo che il mondo venne organizzato dal potere divino, gli dèi vi si stabilirono spartendosi diritti e doveri sulla base un semplice ordinamento sociale che li divideva in due grandi categorie: quelli maggiori e quelli minori. Quest’ultimi dovevano lavorare la terra e provvedere al sostentamento della divinità più importanti, ma venne il giorno in cui decisero d’incrociarono le braccia per lamentarsi della loro disagiata condizione. Il testo tralascia i dettagli della protesta ma dal contenuto dell’Atrahasis apprendiamo che non fu affatto una contestazione pacifica, quanto più una tumultuosa rivolta. Il lamento degli dèi minori arrivò fino all’Apsu dove il riposo di Enki venne disturbato. Namma (o Nammu) spiegò ad Enki il motivo di tanto rumore e gli suggerì di sollevare gli dèi minori dal gravoso incarico creando un sostituto che potesse sopportare il peso del lavoro al posto loro. Enki stabilì che una simile cosa era fattibile, dunque creò una matrice (Singen e Sigsar) e all’interno vi crebbe un feto. Enki trasferì all’uomo embrionale una parte della sua intelligenza e con ciò lo rese diverso da tutte le altre forme di vita animale.
Il mito di “Enki e Ninmah” sottolinea la complessità dell’atto creativo, tanto da elencarne tentativi e difetti specifici di ogni singola creatura portata all’esistenza.
Estratto dalla tavoletta del mito “Enki e Ninmah”:
In quei giorni, i giorni in cui cielo e terra vennero creati,
In quelle notti, le notti in cui cielo e terra vennero creati,
In quegli anni, gli anni in cui i destini vennero fissati,
quando gli dei Anunna generarono,
quando le dee (madri e figlie) si sposarono,
quando le dee (madri e figlie) abitarono cielo e terra,
quando le dee (madri e figlie) diventarono pregne,
e gli dei dovevano portare il cibo nelle sale da pranzo,
gli dei maggiori sorvegliavano il lavoro, e gli dei minori portavano
il giogo del lavoro.
Lavoravano ai canali della terra di Arali, nella terra e nell’argilla,
ma smisero i lavori per lamentarsi di questa vita.
Quel giorno il creatore, il grande dio dalla grande sapienza,
Enki, nel suo Engur, il luogo delle acque sotterranee che nessun dio conosce,
dormiva nelle sue stanze e fu svegliato
dagli dei che si lamentavano
e si alzò dal suo letto.
La dea Namma, la prima madre che diede nascita agli dei,
portò le lacrime degli dei minori a suo figlio che dormiva,
a colui che giaceva nel suo sonno,
(….)
“Dio Creatore, le tue creature si lamentano,
figlio, alzati dal tuo giaciglio, rivolgi il tuo sguardo, la tua
saggezza,
crea per gli dei un sostituto, così che loro siano liberi dal giogo
del lavoro”
Dopo la creazione del primo feto Ninmah prese l’argilla per creare uomini compiuti, ma tutte la sue creature vennero in essere con gravi difetti che non gli permettevano di svolgere il compito per il quale erano stati pensate, ovvero lavorare la terra al posto degli dèi minori. Ninmah, assistita dalle dee della nascita, fece ben sei tentativi ma non trovò mai la ricetta giusta per creare un uomo compiuto. Il primo uomo non riusciva ad usare le mani, il secondo aveva problemi alla vista, il terzo non riusciva a camminare, il quarto non tratteneva l’urina, il quinto era una donna ma non poteva partorire e il sesto era privo di organi genitali. I tentativi di Ninmah si rivelarono un totale fallimento e quest’ultima si abbandonò al dispiacere per aver deluso le aspettative del fratello Enki. Quest’ultimo tuttavia mostrò la sua grande saggezza e benevolenza assegnando a tutti gli uomini creati dalla sorella un destino che tenesse conto delle loro gravi menomazioni.
Estratto dalla tavoletta del mito “Enki e Ninmah”:
Ninmah prese l’ argilla delle terre a nord dell’ Abzu,
creò un uomo ma egli non teneva le mani dritte,
Enki vide l’ uomo, egli non teneva le mani dritte, e decretò il suo destino,
e lo mise nel campo del re come servitore.
La seconda creazione fu un uomo che sfuggiva la luce,
Enki vide che l’ uomo rifuggiva la luce,
e decretò il suo destino, ne fece un abile musicista,
lo mise nel campo del re.
Il terzo uomo che fu creato aveva i piedi che non funzionavano,
Enki allora vide che l’ uomo non sapeva usare i piedi,
e lo rese un grande lavoratore dell’ argento lucente.
Il quarto uomo non sapeva trattenere l’ urina,
ed Enki vide che l’ uomo non tratteneva l’ urina,
e lo fece giacere nell’ acqua che scacciò il suo male.
Il quinto era una donna che non poteva partorire,
Enki vide che la donna non poteva partorire,
e ne fece una ancella nella casa della regina.
Il sesto era un essere senza pene ne vagina,
Enki vide che l’ essere non aveva pene ne vagina e ne decretò il
destino,
lo chiamò ‘dono di Nippur’ e
ne fece un attendente per il re.
Il mito prosegue con Enki e Ninmah che si invertirono i ruoli. Dopo i tentativi falliti da Ninmah, Enki prese in mano la creazione lasciando alla sorella la facoltà di decidere i destini. Enki creò una creatura dalle fattezze umane e disse ad a Ninmah di mettere il suo seme all’interno dell’utero di una donna (presumibilmente una dea dato che l’essere umano compiuto non era ancora stato creato). Il nuovo tentativo portò a risultati ancor peggiori dei precedenti, con la nascita di una creatura malata, chiamata Umul.
Estratto dalla tavoletta del mito di “Enki e Ninmah”:
Enki creò allora una forma che aveva testa e bocca,
e disse a Ninmah:
“versa il seme maschile nell’ utero di una donna”
Ninmah si avvicinò al nuovo nato,
colui che la donna aveva partorito era deludente,
egli era Umul, la sua testa era malata, il suo (…) era malato, gli
occhi e il collo erano malati,
non respirava, i polmoni e gli organi interni erano malati,
con le sue mani malandate e la sua schiena malandata non riusciva a
nutrirsi,
con i piedi e la schiena malati non poteva lavorare, così fu creato.
Enki disse allora a Ninmah:
“Gli esseri che hai creato, ne ho decretato i destini, ho nutrito;
tu ora, degli esseri che creo, decreta i destini e metti da mangiare
nel loro piatto.”
Ninmah guardò ad Umul e si avvicinò,
all’ essere malato parlò ma lui non sapeva parlare,
gli porse del cibo ma lui non riusciva ad afferrarlo,
non sapeva usare attrezzi, non poteva giacere,
non poteva sedersi se in piedi, non sapeva mantenere (?) la casa e
non sapeva nutrirsi
Ninmah disse ad Enki:
“L’ essere che hai creato è vivo e morto, non può badare a se stesso
e non può vivere”
Enki decretò che fosse Ninmah a decidere il destino di Umul, come lui aveva fatto per le sei creature generate dalla sorella, ma Ninmah non fu capace di stabilire un destino per questa creatura in quanto era viva e morta alla stesso tempo e non era in grado di badare a se stessa. Enki la rimproverò ricordando le sei creature imperfette che lei aveva generato e come lui stesso avesse stabilito un destino adatto per ognuna di loro, nonostante le loro menomazioni. A questo punto la tavoletta d’argilla è danneggiata e manca una considerevole parte del testo, in ogni caso si può intuire che Ninmah sentendosi rimproverata reagì ricordando ad Enki un disastro non meglio precisato avvenuto nella sua città, rinfacciandogli di non essersi curato di quando lei dovette abbandonare l’E.pur (il tempio di Nippur) e quando suo figlio (il nome non viene indicato) fu costretto a fuggire. Enki rispondse a Ninmah di pensare al destino della creatura, invitandola a dargliela indietro (forse per poter decidere lui stesso del suo destino). Enki chiuse la discussione con la sorella decretando che quel giorno, quello delle creazioni, fosse comunque lodato e festeggiato nonostante i risultati non all’altezza delle aspettative.
Estratto dalla tavoletta del mito di “Enki e Ninmah”:
La mia città e la mia casa son distrutte, mio figlio fuggitivo,
io stessa ho dovuto lasciare l’ E.Kur come fuggitiva,
non ho potuto evitare la tua mano!”
Enki rispose a Ninmah:
“Chi può cambiare le parole che hai pronunciato?
La creatura malata (…) libera dalla prigionia (?)
Ninmah, il tuo lavoro (la tua opera) sia (…) promettesti di (…) il
mio lavoro imperfetto, chi può contraddirlo?
L’ essere che ho creato, lascia che io lo abbia indietro,
sia oggi lodata la mia stirpe (?) sia riconosciuta la tua saggezza,
che gli Enkum e i Ninkum
possano stare di fronte a noi e pronunciare le parole della tua
gloria,
sorella mia, tu eroina,
siano scritte (…) canzoni (…)
Le concezioni teologiche che emergono dalla letteratura sumera descrivono un’epoca mitica in cui gli dèi si assegnarono diritti e doveri sulla base un semplice ordinamento sociale che divideva le divinità in due grandi categorie, quelle maggiori e quelle minori. Quelle minori dovevano lavorare la terra e provvedere al sostentamento delle divinità più importanti, ma venne il giorno in cui decisero d’incrociarono le braccia per lamentarsi della loro condizione. Le divinità maggiori compresero le ragioni degli dèi minori e per sollevarli dai loro obblighi decisero di creare l’uomo, un sostituto che potesse sopportare il peso del lavoro al loro posto. Per gli antichi sumeri il lavoro apparteneva alla condizione umana e all’opposto dei successivi convincimenti ebraici non lo consideravano una punizione divina, quanto più un destino. Leggendo “l’Inno alla zappa”, un importate testo creazionistico tratto dalla letteratura sumera, apprendiamo un concetto cardine dell’intera cultura mesopotamica: l’uomo esprime la sua natura divina e porta a termine il suo destino attraverso il lavoro.
L’Inno alla zappa è un testo sumero dedicato alla creazione dell’uomo che appartiene alla scuola di Nippur, una città della Bassa Mesopotamia fiorita nel corso del IV millennio a.C. e consacrata al dio Enlil. Prima che l’uomo fu creato, Enlil scavò un buco nella terra, creò la zappa e istituì le mansione del lavoro, successivamente elogiò le qualità della zappa fin nei minimi dettagli e la depose nel luogo in cui avrebbe cresciuto il primo uomo per affidargliela. Il testo attribuisce alla zappa un aspetto regale, presentandola come un prezioso scettro. Il fatto che le prime città della storia siano sorte presso una cultura cosi’ dedita al lavoro non è certamente un caso. Nel corso del IV millennio a.C., Uruk divenne una città, la prima della storia a potersi definire tale anche grazie all’elevata specializzazione del lavoro.
Fig.2 Sigillo sumero che mostra un’attività agricola. Una bestia da soma trascina l’aratro seminatore (apin) mentre due uomini lo guidano. Questo strumento era dieci volte più efficace della zappa nel lavorare la terra e seminare
INNO ALLA ZAPPA
1 <<il Signore ha fatto veramente risplendere tutto ciò che è appropriato,
Il Signore, la cui decisione dei destini è immutabile,
Enlil, affinché il seme del Paese uscisse dalla terra,
si affrettò a separare il cielo dalla terra,
5 si affrettò a separare la terra dal cielo.
Affinché Uzumua facesse germogliare la “forma” (dell’umanità),
Enlil apre una fessura nel pavimento di Duranki;
egli crea la zappa e sorge il giorno;
egli istituisce le mansioni del lavoro, stabilisce il destino
10 e mentre egli avvicina il braccio alla zappa e al canestro di lavoro,
elogia Enlil e la sua zappa.
La zappa aurea, dalla testa di lapislazzuli,
tenuta da fermi d’oro e d’argento delicati,
la cui lama sembra un vomere di lapislazzuli,
15 e la punta un unicorno solitario su una vasta piana.
Dopo aver elogiato la zappa, il signore ne fissò il destino,
e dopo averla cinta di una corona verdeggiante, egli porta la zappa in Uzu’ea.
Depone la <<forma>> dell’umanità nella fessura
20 e mentre il suo paese davanti a lui germoglia come erba dalla terra,
Enlil li guarda benevolmente i suoi sumeri.
Gli dèi Anunna si dispongono davanti a lui
e alzano le loro mani portandole (in gesto di preghiera) alla bocca,
essi rivolgono preghiere ad Enlil,
25 e consentono al suo popolo sumerico di prendere in mano la zappa>>.
fonte traduzione:Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
Aratro seminatore sumero. Nel sigillo della fig.1 il dio Enlil lo impugna nella mano destra, nella fig.2, invece, viene tirato da una bestia da soma.
Per gli antichi sumeri il lavoro apparteneva alla condizione umana, una concezione opposta a quella dei successivi convincimenti ebraici che lo consideravano una punizione divina imposta all’uomo per aver trascredito gli ordinamenti divini.
Tratto dalla Genesi Biblica:
17 All’uomo (dio) disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,
maledetto sia il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
18 Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba campestre.
19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;
finché tornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere tornerai!».
Tutti i miti sumeri dedicati alla creazione dell’uomo concordano su un punto fondamentale: l’uomo fu creato per lavorare la terra, così che gli dèi non dovessero più farlo. Dopo che il mondo venne organizzato dal potere divino, gli dèi vi si stabilirono assegnandosi diritti e doveri sulla base un semplice ordinamento sociale che divideva le divinità in due grandi categorie: quelle maggiori e quelle minori. Quest’ultimi dovevano lavorare la terra e provvedere al sostentamento della divinità più importanti, ma venne il giorno in cui decisero d’incrociarono le braccia per lamentarsi della loro disagiata condizione. Il testo tralascia i dettagli della protesta ma dal contenuto dell’Atrahasis apprendiamo che non fu affatto una contestazione pacifica, quanto più una tumultuosa rivolta. Per porre rimedio a questa situazione le divinità maggiori decisero di creare l’uomo, un sostituto che potesse sopportare il peso del lavoro al posto degli dèi minori. Nelle prime righe del Mito sumero di Enki e Ninmah viene descritta chiaramente questa situazione.
Tratto dal mito di Enki e Ninmah:
1 Nei giorni antichi, nei giorni in cui cielo e terra furono separati,
nelle notti antiche, nelle notti, in cui cielo e terra furono separati,
negli anni antichi, negli anni, in cui i destini furono fissati,
quando gli Anunna furono generati,
5 quando e dee furono prese in moglie,
quando le dee furono assegnate al cielo e alla terra,
quando le dee furono messe incinte e partorirono,
quando gli dèi erano obbligati al duro lavoro, per provvedere al loro sostentamento
allora i grandi dèi soprintendevano al lavoro mentre i piccoli dèi portavano il canestro del lavoro!
10 Gli dèi scavavano i canali e accumulavano terra in Harali;
essi dragavano la creta, però si lamentavano della loro vita!
fonte traduzione:Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
Nel III millennio a.C. la Bassa Mesopotamia era organizzata secondo il principio politico delle città-stato e nei centri religiosi di ognuna di esse venne sviluppata un’idea soggettiva di come avvenne la creazione dell’uomo. Enki ed Enlilerano rispettivamente le divinità tutelari di Eridu e Nippur e di conseguenza i centri teologici di queste città proposero due versione differenti del mito al fine di attribuire il merito della creazione alla divinità poliade della città.
Nel mito di Enki e Ninmah l’artefice della creazione è Enki. L’avvenimento è descritto a partire dalla riga 23, quando la dea Namma esorta Enki a trovare un rimedio che possa migliorare la condizione degli dèi minori.
Tratto dal mito di Enki e Ninmah:
Figlio mio, alzati dal tuo letto, tu che in virtù della tua saggezza comprendi ogni arte;
crea un sostituto degli dèi, affinché essi possano liberarsi del canestro del lavoro!>>
Alle parole di sua madre Namma, Enki si alzò dal suo letto,
25 il dio in Halanku, il suo angoletto delle riflessioni, si batté la coscia con il palmo della mano,
il saggio, l’intelligente, l’accorto che conosce tutto ciò che è perfetto ed artistico, il creatore che forma ogni cosa, fece apparire il Singen ed il Sigsar,
Enki stese il suo braccio verso esse e là crebbe un feto!
Enki, il creatore, dopo aver infuso della sua intelligenza (o saggezza) all’interno della creatura, sua emanazione,
a sua madre Namma rivolse la parola:
30 <<Madre mia, alla creatura che tu avrai formato imponi la corvée degli dèi!
Dopo che tu avrai mescolato l’interno della fertile creta dell’abisso, Singen e Sigsar gratteranno la creata e tu allora farai esistere i loro arti,
Ninmah sia la tua aiutante;
Ninimma, Suzianna, Ninmada, Ninbarag,
fonte traduzione:Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
Secondo questa versione l’uomo fu un frutto dell’infinita sapienza di Enki. Quest’ultimo creò Singen e Sigsar, che nel loro insieme rappresentano la matrice creata per contenere il feto del primo uomo. Enki lo infuse della sua intelligenza e con questa azione distinse l’uomo embrionale da tutte le altre forme animali, mentre il compito di completare la creatura venne affidato a Namma. Il mito continua poi con una serie di tentativi fatti da Ninmah per creare uomini compiuti. I tentativi si rivelarono tuttavia fallimentari perché le sue creature vennero in essere con gravi menomazioni. Questo mito sottolinea la complessità della creazione, tanto da elencarne tentativi e difetti specifici di ogni singola creazione. Anche Enki ebbe le stesse difficoltà della sorella, ma grazie alla sua infinità saggezza e benevolenza seppe assegnare ad ogni creatura un destino che tenesse conto delle sue gravi menomazioni.
Il forte attaccamento religioso alle divinità locali prevalse sempre, creando alcune divergenze ideologiche tra le differenti sedi di culto. “l’inno alla zappa” attribuisce il merito della creazione a Enlil. Quest’ultimo preparò le condizioni necessarie alla vita separando il cielo e la terra, poi scavò un buco nel terreno e vi depose la “forma” dell’umanità. Creò la zappa e stabilì le mansioni del lavoro che l’uomo avrebbe dovuto svolgere, al fine di sollevare gli dei minori dai loro compiti. L’uomo spuntò dal terreno come se fosse il germoglio di una pianta, in seguito Enlil gli affidò la zappa e di conseguenza i doveri.
Inno alla zappa
1 <<il Signore ha fatto veramente risplendere tutto ciò che è appropriato,
Il Signore, la cui decisione dei destini è immutabile,
Enlil, affinché il seme del Paese uscisse dalla terra,
si affrettò a separare il cielo dalla terra,
5 si affrettò a separare la terra dal cielo.
Affinché Uzumua facesse germogliare la “forma” (dell’umanità),
Enlil apre una fessura nel pavimento di Duranki;
egli crea la zappa e sorge il giorno;
egli istituisce le mansioni del lavoro, stabilisce il destino
10 e mentre egli avvicina il braccio alla zappa e al canestro di lavoro,
elogia Enlil e la sua zappa.
La zappa aurea, dalla testa di lapislazzuli,
tenuta da fermi d’oro e d’argento delicati,
la cui lama sembra un vomere di lapislazzuli,
15 e la punta un unicorno solitario su una vasta piana.
Dopo aver elogiato la zappa, il signore ne fissò il destino,
e dopo averla cinta di una corona verdeggiante, egli porta la zappa in Uzu’ea.
Depone la <<forma>> dell’umanità nella fessura
20 e mentre il suo paese davanti a lui germoglia come erba dalla terra,
Enlil li guarda benevolmente i suoi sumeri.
Gli dèi Anunna si dispongono davanti a lui
e alzano le loro mani portandole (in gesto di preghiera) alla bocca,
essi rivolgono preghiere ad Enlil,
25 e consentono al suo popolo sumerico di prendere in mano la zappa>>.
fonte:Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
fonte:fonte:Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
Frammento della tavoletta “Enmerkar e il Signore di Aratta”
Lo sviluppo della scrittura cuneiforme fu una conseguenza dell’urbanizzazione. Non è un caso che i più antichi esempi di scrittura cuneiforme siano stati rinvenuti tra i resti dell’antica città sumera di Uruk. Durante il IV millennio a.C. Uruk divenne una città, la prima della storia a potersi definire tale in virtù dell’elevata stratificazione sociale e della specializzazione del lavoro. Il centro urbano arrivò a contare una popolazione di 80.000 abitanti distribuiti in soli 6 chilometri quadrati e questo contesto fece sorgere moltissime attività che per essere controllate e sfruttate a livello economico su tutto il territorio necessitavano di un sistema di controllo indiretto. A questo scopo nell’arco di un periodo relativamente breve vennero introdotti pesi di misura, recipienti standard e segni grafici con i quali si potevano compilare elenchi delle attività commerciali e dei prodotti per tenerne il conto. La protoscrittura sumera non permetteva di riportare ogni qualsivoglia pensiero e il contenuto dei testi si limitava alla compilazione di elenchi schematici, ma dopo un certo periodo di sviluppo diventò possibile scrivere tutte le informazioni desiderate. Prima della scrittura il sapere e l’identità culturale di un popolo venivano tramandati oralmente e il mito svolgeva una funzione formativa. Con l’introduzione della scrittura diventò possibile fermare un’informazione e trasferirla nel tempo e nello spazio immutata e grazie a questa invenzione ebbe inizio anche la storia.
“Enmerkar e il signore di Aratta” è un antico poema sumero che descrive l’invenzione della scrittura, una conquista dell’ingegno umano tra le più importanti nella storia dell’uomo. Questo racconto epico attribuisce l’invenzione a Enmerkar (forse il nonno di Gilgamesh), il mitico re sumero che fondò la città di Uruk. Enmerkar viene nominato anche nella Lista reale sumerica, un’elenco che antepone alle comprovate dinastie storiche la lista dei re mitici che governarono la Bassa Mesopotamia dopo il diluvio. Sebbene la reale esistenza di questi re/governatori non è documentata, non è da escludere il fatto che siano realmente esistiti in un lontano passato e che il loro mito sia lo sbiadito ricordo di una realtà storica precedente all’invenzione della scrittura. Il primo re sulla lista la cui esistenza storica è stata dimostrata da effettivi ritrovamenti archeologici è Enmebaragesi di Kish (circa 2700 a.C.).
Ziggurat di Uruk, luogo in cui furono trovate le più antiche tavolette scritte in caratteri cuneiformi. Questi ritrovamenti risalgono al 3100 a.C., periodo che corrisponde anche a quello della prima urbanizzazione della storia. (fonte immagine link)
Il poema è composto da 636 righe, il primo di un ciclo in cui si narra del conflitto, probabilmente reale, che contrappose la città di Uruk a quella di Aratta (Aratta non è ancora stata localizzata con certezza, ma probabilmente sorgeva sui monti iranici). Il poema non descrive scontri armati, bensì l’andirivieni di un messaggero che trasmetteva il pensiero dei due sovrani. Il volere di Enmerkar di Uruk era quello di sottomettere Aratta al suo dominio, ma dovette scontrasi con l’opposizione dell’innominato sovrano di Aratta. Il problema della sovranità si intrecciava con proposte di scambi commerciali, tra le granaglie di cui Uruk era ricca e il legname e le pietre dure di cui era provvista la regione di Aratta. Enmerkar faceva pervenire i suo messaggi al sovrano di Aratta tramite un messaggero che li ripeteva a voce davanti al destinatario. Venne però un momento in cui la contrattazione si fece talmente complessa che il messaggero si dimostrò incapace di tenere a mente il lungo e complicato discorso che il suo sovrano voleva recapitare al suo interlocutore. Il testo riporta:
“Il messaggero aveva la lingua pesante, non era capace di riportare il messaggio; poiché il messaggero aveva la lingua pesante e non era capace di riportare il messaggio, il Signore di Kullab (Uruk) impastò l’argilla e vi incise le parole come in una tavoletta; – prima nessuno aveva mai inciso parole nell’argilla – Ora, quando il dio Sole risplende, ciò fu manifesto: le parole che il signore di Kulab (Uruk) aveva inciso come in una tavoletta, divennero visibili.
Dopo l’invenzione della scrittura il messaggero prese la tavoletta e si presentò davanti al sovrano di Aratta.
Enmerkar, il figlio del Sole, mi ha consegnato una tavoletta di argilla;
o Signore di Aratta, esamina la tavoletta, prendi il cuore della sua parola;
ordinami ciò che debbo riferire riguardo al messaggio ricevuto.
Il Signore di Aratta dall’araldo prese la tavoletta lavorata artisticamente;
il Signore di Aratta scrutò la tavoletta:
– la parola detta ha forma di chiodo, la sua struttura trafigge –
il signore di Aratta scruta la tavoletta lavorata artisticamente.
Prima dell’invenzione della scrittura era l’orecchio a ricevere il messaggio, successivamente fu l’occhio a svolgere questa funzione. La metafora usata dall’autore del poema è molto poetica: “la parola scritta”, appunto perché a forma di “chiodo”, è atta a trafiggere l’occhio, quasi fosse un’arma, penetrando così nella mente dell’interlocutore. Il chiodo non solo è lo strumento con il quale veniva inciso il testo sull’argilla ma è anche la forma più appropriata per colpire il nuovo organo adibito a ricevere il messaggio.
“Enmerkar e il signore di Aratta” è un antico poema sumero che descrive l’invenzione della scrittura, una conquista dell’ingegno umano tra le più importanti nella storia dell’uomo. Questo racconto epico attribuisce l’invenzione a Enmerkar, il mitico re sumero che fondò la città di Uruk, il primo insediamento urbano a potersi definire tale in virtù dell’elevata stratificazione sociale e della specializzazione del lavoro. L’improvvisa evoluzione dei centri urbani avvenuta in Bassa Mesopotamia nel corso del IV millennio a.C. favorì lo sviluppo di moltissime attività, che per essere controllate e sfruttate a livello economico su tutto il territorio necessitavano di un sistema di controllo indiretto. A questo scopo, nell’arco di un periodo relativamente breve, vennero introdotti segni grafici, pesi di misura e recipienti standard, con i quali si potevano compilare elenchi contabili delle attività commerciali e dei prodotti. La scrittura fu una conseguenza dell’urbanizzazione e fu sviluppata evolvendo gradualmente il primitivo sistema mnemonico ideato per tener computo delle attività umane. Al di là del mito e guardando alla realtà è evidente come questa invenzione non possa attribuirsi al genio di un solo individuo dal momento che l’indagine archeologica ha messo in luce diverse fasi di sviluppo. Il mito ha comunque il merito d’inserire questo importante accadimento all’interno di un contesto storico presumibilmente reale, sottolineando in maniera poetica le caratteristiche e i vantaggi del nuovo metodo di comunicazione.
Nel corso del IV millennio a.C. Uruk divenne una città, la
Prima fase – SCRITTURA PITTOGRAFICA
fig.1 Scrittura pittografica sumera
La prima fase evolutiva della scrittura sumera fu quella pittografica. Attorno alla fine del IV millennio a.C. vennero introdotti simboli corrispondenti all’immagine semplificata dell’oggetto che s’intendeva rappresentare. Attorno al 3000 a.C. i simboli utilizzati erano circa duemila. I sumeri rappresentavano l’acqua con due linee ondulate, il cielo con una stella, il grano con una spiga stilizzata, il bue con testa e corna, mentre i disegni stilizzati dei genitali maschili e femminili distinguevano un uomo da una donna. Alcuni simboli esprimevano le azioni, disegnando un piede rappresentavano il verbo “camminare” e con l’occhio il verbo “guardare”. Altre parole, invece, venivano rappresentate accostando due simboli, come nel caso della parola “schiava” che veniva rappresentata affiancando al simbolo delle montagne quello della donna, questo perché gli schiavi venivano recuperati nelle regioni montuose che circondano la Mesopotamia. Una testa accostata a un canestro da lavoro per la raccolta i prodotti agricoli significava “mangiare” e allo stesso modo una testa accostata alle line ondulate che rappresentano l’acqua significava “bere” (vedi esempi a fondo pagina). Durante la prima fase la scrittura di una tavoletta procedeva in maniera molto schematica, i prodotti venivano divisi per sezioni e affianco ad ognuno di essi venivano aggiunti i segni grafici utilizzati per indicarne la quantità.
La scrittura pittografica veniva utilizzata principalmente per compilare documenti amministrativi e commerciali. La tavoletta nell’immagine risale all’incirca al 3100 a.C. ed è un perfetto esempio di scrittura pittografica (fig.1). Su questa tavoletta venne registrata l’assegnazione di alcuni prodotti, tra cui la birra. Quest’ultima è rappresentata col disegno stilizzato di un vaso a base appuntita posto in posizione verticale. I simboli che rappresentano i prodotti venivano incisi sull’argilla con uno strumento acuminato, mentre quelli utilizzati per tenere il conto delle quantità venivano creati premendo forme arrotondate di diverse misure per distinguere le diverse unità di misura.
Seconda fase – SCRITTURA IDEOGRAFICA
fig.2 Evoluzione della scrittura in Mesopotamia
Il continuo sviluppo delle attività cittadine rese necessario un maggior utilizzo della scrittura, dunque si svilupparono sistemi più pratici e veloci per scrivere le informazioni. Col passare del tempo i tratti dei pittogrammi assunsero un aspetto sempre più stilizzato e le forme arrotondate vennero sostituite con tratti dritti. Inizialmente le righe e le figure vennero ruotate di 90°, migliorando l’aspetto e l’ordine delle tavolette. Venne introdotto anche un nuovo strumento per la scrittura, uno stiletto che permetteva l’incisione di brevi trattini a forma di chiodo (o cuneo) mediante una singola pressione. Col passare del tempo questi elementi determinarono la deformazione dei pittogrammi, fino al punto in cui, attorno al 2400 a.C., perdettero quasi ogni somiglianza con l’aspetto delle cose che si voleva rappresentare. Sta in questo la differenza tra scrittura pittografica e scrittura ideografica.
A grandi linee l’evoluzione della scrittura pittografica si può riassumere in quattro momenti (fig.2):
a Pittogrammi (3°millennio a.C.)
b Rotazione dei pittogrammi
c Segni cuneiformi tra il 2400 e il 2000 a.C.
d Scrittura cuneiforme assira (1000 a.C.)
fig. 3 Scrittura ideografica sumera
La scrittura pittografica poteva essere compresa da molte persone tramite l’apprendimento di poche nozioni, mentre la scrittura ideografica necessitava di un tempo di apprendimento più lungo.
Con gli ideogrammi migliorò la qualità d’espressione del testo scritto, ma allo stesso tempo il contenuto delle tavolette diventò incomprensibile alla maggior parte delle persone e la scrittura divenne un’arte esclusiva appannaggio di una ristretta categoria di persone istruite in particolari scuole (dette edubba, cioè “casa della tavoletta”). Data la notevole importanza della scrittura e il potere che derivava dal saper leggere e scrivere nell’ambito di una vasta società organizzata, gli scribi svolgevano spesso importanti incarichi ufficiali.
Terza fase – SCRITTURA CUNEIFORME SILLABICA
fig.4 Scrittura cuneiforme sumera
In questa fase si arrivò all’intuizione che portò ad un sistema adatto a poter scrivere ogni qualsivoglia pensiero utilizzando un ristretto numero di simboli grafici. L’intuizione che ebbero i sumeri fu quella di associare dei simboli ai suoni che si producevano durante la pronuncia delle parole che si volevano rappresentare. Il passaggio a questo livello d’espressione fu facilitato dalle caratteristiche della lingua che si parlava in Bassa Mesopotamia nel corso di quell’epoca. Il sumero era una lingua prevalentemente monosillabica e agglutinate. La struttura della scrittura cuneiforme si può dunque definire un complesso tra ideogrammi (risultanza degli antichi pittogrammi), morfemi (cioè di desinenze, suffissi e infissi, apposizioni, determinativi) e complementi fonetiche.
La lista reale sumerica è un’elencazione che registra i nomi dei re/governanti che detennero il potere ufficiale nelle città della Mesopotamia e la durata dei loro regni durante il periodo sumero. Questo è un documento storico importantissimo perché elenca tutte le dinastie precedenti alla compilazione della tavoletta. La lista, però, antepone alle comprovate dinastie storiche l’elenco dei re antidiluviani e la lunghissima durata dei loro regni.Molti storici ritengono che tutti i re antidiluviani, ed alcuni di quelli postdiluviani, siano soltanto figure leggendarie emerse dalla ricchissima letteratura sumera e a tal proposito hanno indicato quale fosse il primo re sulla lista a possedere un’identità storica dimostrata da effettivi ritrovamenti archeologici, Enmenbaragesi di Kish (circa 2700 a.C.), il cui nome è citato anche nell’Epopea di Gilgamesh. Oggi molti ricercatori ritengono che anche lo stesso Gilgamesh sia stato un re storico della città Uruk, ma al momento non esistono sufficienti riscontri per attestarlo con certezza.
Lista reale sumerica
La lista mette in evidenza la straordinaria longevità dei sovrani anti-diluviani. I loro regni sono misurati in sar, unità di misura che corrisponde a 3600 anni. Alcuni storici hanno proposto di rileggere la durata dei regni antidiluviani con numeri più realistici per poterli inserire all’interno di un contesto reale, trasformando le date in sars in semplici anni o decenni. Anche nel libro biblico della Genesi sono menzionati sette uomini pluricentenari che vissero più di 900 anni, anch’essi nati prima del diluvio. Si tratta di Adamo, Set, Enos, Chenan, Lared, Metusela (conosciuto anche come Matusalemme) e Noè. (Genesi 5:5-27; 9:29). Secondo il mio punto di vista la straordinaria longevità attribuita ai patriarchi della Bibbia, così come quella dei mitici re sumeri, si deve alla maggior vicinanza con il tempo mitico della creazione, che simbolicamente significa una maggior vicinanza all’eterna esistenza degli dei. La longevità via via perduta dell’essere umano con il passare delle generazioni rappresenta invece l’allontanamento dal divino e dalla sua sublime creazione.
Anche il canone reale egizio (o papiro dei re/papiro di Torino) registra i nomi dei sovrani mitici che regnarono prima di Menes (primo faraone dell’epoca dinastica). In questi casi i racconti mitici potrebbero essere nati per conservare la memoria di reali accadimenti storici. Sicuramente prima del III millennio avanti cristo non vi furono civiltà o regni che possano essere definiti tali, se cosi’ fosse ne rimarrebbero le tracce, d’altro canto non è da escludere che i nomi dei sovrani antidiluviani possano rappresentare uomini reali che ebbero un ruolo importante durante il lungo processo di civilizzazione.
Periodo protodinastico I comprende i nome dei Re esistiti prima del diluvio (leggendari o anteriori al 2500 a.c.)
Testo tratto dalla lista reale sumerica:
Resti dell’antica città di Eridu. la sua origine risale tra il 5000 e 4000 a.C. fonte immagine
Quando la regalità scese dal cielo la regalità fu ad Eridu. Ad Eridu Alulim divenne re e regnò per 28.800 anni; Alalgar regnò 36.000 anni; 2 re; i loro anni di regno sono 64.800. Io abbandono Eridu; la sua regalità venne trasferita a Bad-Tibira. A Bad-Tibira divenne re Enmenluanna e regnò 43.200 anni; Enmengalanna regnò 28.800 anni; il dio Dumuzi, il pastore, regnò 36.000 anni; 3 re; i loro anni di regno sono 108.000. Io abbandono Bad-Tibira; la sua regalità venne trasferita a Larak. A Larak Ensipazianna regnò 28.800 anni: 1 re; i suoi anni di regno sono 28.800. Io abbandono Larak, la sua regalità venne trasferita a Sippar. A Sippar Enmenduranna divenne re e regnò 21.000 anni: 1 re; i suoi anni di regno sono 21.000. Io abbandono Sippar, la sua regalità venne trasferita a Shuruppak. a Shuruppak Ubartutu divenne re e regnò 18.600 anni: 1 re; i suoi anni di regno sono 18.600. Sono 5 città, 8 re; i loro anni di regno sono 241.200. Il diluvio spazzò via ogni cosa.
….e prosegue
Elenco sintetico:
Alulim di Eridu: 8 sars (28.800 anni)
Alalgar di Eridu: 10 sars (36.000 anni)
En-Men-Lu-Ana di Bad-tibira: 12 sars (43.200 anni)
En-Men-Gal-Ana di Bad-tibira: 8 sars (28.800 anni)
Dumuzi di Bad-tibira, il pastore: 10 sars (36.000 anni)
En-Sipad-Zid-Ana di Larag: 8 sars (28.000 anni)
En-Men-Dur-Ana di Zimbir: 5 sars e 5 ners (21.000 anni)
Ubara-Tutu di Shuruppak: 5 sars e 1 ner (18.600 anni)
Zin-Suddu di Shuruppak (Ziusudra) (ricevette in dono la vita eterna)
Periodo protodinastico II
Re mitologici o sovrani del XXVI secolo a.C. circa. Numerosi governanti, noti grazie a iscrizioni coeve, non rintracciabili nelle liste reali.
Dopo che il Diluvio spazzò via ogni cosa e la regalità fu discesa dal cielo, il regno ebbe dimora in Kish.
Prima dinastia di Kish
Elenco sintetico:
Jushur di Kish: 1.200 anni
Kullassina-bel di Kish: 960 anni
Nangishlishma di Kish: 670 anni
Rovine dell’antica città di Kish (precedente al 3000 a. C.) fonte immagine.
En-Tarah-Ana di Kish: 420 anni
Babum di Kish: 300 anni
Puannum di Kish: 840 anni
Kalibum di Kish: 960 anni
Kalumum di Kish: 840 anni
Zuqaqip di Kish: 900 anni
Atab di Kish: 600 anni
Mashda di Kish: 840 anni
Arwium di Kish: 720 anni
Etana di Kish (3000 a.C. circa), il pastore, che ascese al cielo e consolidò tutte le contrade straniere: 1.500 anni
Balih di Kish: 400 anni
En-Me-Nuna di Kish: 660 anni
Melem-Kish di Kish: 900 anni
Barsal-Nuna di Kish: 1.200 anni
Zamug di Kish: 140 anni
Tizqar di Kish: 305 anni
Ilku di Kish: 900 anni (Il primo re sulla lista di cui l’esistenza storica è stata attestata indipendentemente attraverso ritrovamenti archeologici.)
Iltasadum di Kish: 1.200 anni
En-Men-Barage-Si di Kish (morto verso il 2680 a.C.), che conquistò Elam: 900 anni
Agga di Kish: 625 anni
Quindi Kish fu distrutta e la monarchia fu assunta da E-ana.
I Sumeri credevano che la regalità fosse donata dagli dei e che potesse passare da una città all’altra con le conquiste militari.
Prima dinastia di Unug (Uruk)
Elenco sintetico:
Meskiaggasher di E-ana, figlio di Utu: 324 anni. Mesh-ki-ang-gasher andò in mare e sparì.
Antico tempio di Uruk (circa 3200-3000 a.C.) fonte immagine
Enmerkar (2800 a.C. circa), che edificò Unug: 420 anni (colui che secondo il mito inventò la scrittura)
Lugalbanda di Unug, il pastore: 1200 anni
Dumuzi di Unug, il pescatore: 100 anni. Catturò En-Me-Barage-Si di Kish.
Gilgameš, il cui padre fu un “fantasma”, signore di Kulaba: 126 anni.
Ur-Nungal di Unug: 30 anni
Udul-Kalama di Unug: 15 anni
La-Ba’shum di Unug: 9 anni
En-Nun-Tarah-Ana di Unug: 8 anni
Mesh-He di Unug: 36 anni
Melem-Ana di Unug: 6 anni
Lugal-Kitun di Unug: 36 anni
Quindi Unug (Uruk) fu sconfitta e la regalità fu assunta da Urim (Ur).
Prima dinastia di Urim (Ur) (circa XXV secolo a.C.)
Elenco sintetico:
Mesh-Ane-Pada di Urim: 80 anni
Mesh-Ki-Ang-Nanna di Urim: 36 anni
Elulu di Urim: 25 anni
Balulu di Urim: 36 anni
Quindi Urim (Ur) fu sconfitta e la regalità fu assunta da Awan.
Periodo protodinastico III
Prima dinastia di Lagash
(Non è menzionata nella lista dei re, sebbene sia ben nota grazie alle iscrizioni).
Tre sovrani di Awan governarono per un totale di 356 anni.
Quindi Awan fu sconfitta e la regalità fu assunta da Kish.
Seconda dinastia di Kish Elenco sintetico:
Susuda di Kish: 201 anni
Dadasig di Kish: 81 anni
Mamagal di Kish, il battelliere: 360 anni
Kalbum di Kish: 195 anni
Tuge di Kish: 360 anni
Men-Nuna di Kish: 180 anni
? di Kish: 290 anni
Lugalngu di Kish: 360 anni
Quindi Kish fu sconfitta e la regalità fu assunta da Hamazi.
Dinastia di Hamazi Elenco sintentico:
Hadanish di Hamazi: 360 anni
Quindi Hamazi fu sconfitta e la regalità fu assunta da Unug.
Seconda dinastia di Unug (Uruk)
Elenco sintetico:
En-Shakansha-Ana di Unug: 60 anni
Lugal-Ure (or Lugal-Kinishe-Dudu) di Unug: 120 anni
Argandea di Unug: 7 anni
Quindi Unug fu sconfitta e la regalità fu assunta da Urim (Ur).
Seconda dinastia di Urim (Ur)
Elenco sintetico:
Nani di Urim: 120 anni
Mesh-Ki-Ang-Nanna di Urim: 48 anni
? di Urim: 2 anni
Quindi Urim fu sconfitta e la regalità fu assunta da Adab.
Dinastia di Adab Elenco sintetico:
Lugal-Ane-Mundu di Adab: 90 anni
Quindi Adab fu sconfitta e la regalità fu assunta da Mari.
Dinastia di Mari
Elenco sintetico
Anbu di Mari: 30 anni
Anba di Mari: 17 anni
Bazi di Mari: 30 anni
Zizi di Mari: 20 anni
Limer di Mari, il sacerdote gudu: 30 anni
Sharrum-Iter di Mari: 9 anni
Quindi Mari fu sconfitta e la regalità fu assunta da Kish.
Terza dinastia di Kish Elenco sintetico:
Kug-Baba di Kish (2480 a.C. circa), la donna custode della taverna, che rese solide le fondamenta di Kish: 100 anni (la sola donna nella Lista dei Re).
Quindi Kish fu sconfitta e la regalità fu assunta da Akshak.
Dinastia di Akshak
Elenco sintetico:
Unzi di Akshak: 30 anni
Undalulu di Akshak: 6 anni
Urur di Akshak: 6 anni
Puzur-Nirah di Akshak: 20 anni
Ishu-Il di Akshak: 24 anni
Shu-Sin di Akshak 7 anni
Quindi Akshak fu sconfitta e la regalità fu assunta da Kish.
Quarta dinastia di Kish
Elenco sintetico:
Puzur-Sin di Kish: 25 anni
Ur-Zababa di Kish: 400 (6?) anni
Zimudar di Kish: 30 anni
Ussi-Watar di Kish: 7 anni
Eshtar-Muti di Kish: 11 anni
Ishme-Shamash di Kish: 11 anni
Shu-Ilishu di Kish: 15 anni
Nanniya di Kish, il gioielliere: 7 anni.
Quindi Kish fu sconfitta e la regalità fu assunta da Unug.
Terza dinastia di Unug (Uruk) Elenco sintetico:
Lugal-Zage-Si di Unug: 25 anni (2259 a.C.–2235 a.C.) sconfisse Lagash.
Dinastia di Akkad
Elenco sintetico:
Sargon (dal 2334 a.C. al 2279 a.C.), il cui padre fu un giardiniere, il coppiere di Ur-Zababa, il re (primo imperatore) di Agade, che costruì Agade: 56 anni
Rimush, il più giovane figlio di Sargon: 9 anni
Manishtushu, il più vecchio figlio di Sargon: 15 anni
Irgigi,Imi, Nanum, Ilulu: quattro di questi regnarono solo 3 anni
Dudu: 21 anni
Shu-Durul, figlio di Dudu: 15 anni
Quindi Agade fu sconfitta e la regalità fu assunta da Unug (Uruk).
Quarta dinastia di Unug (Uruk)
(Probabilmente governanti della bassa Mesopotamia contemporanei alla dinastia di Akkad)
Elenco sintetico:
Ur-Ningin di Unug: 7 anni
Ur-Gigir di Unug: 6 anni
Kuda di Unug: 6 anni
Puzur-Ili di Unug: 5 anni
Ur-Utu (o Lugal-Melem) di Unug: 25 anni
Unug fu sconfitto e la regalità fu assunta dall’esercito dei Gutei.
–Periodo dei Gutei–
Nell’esercito dei Gutei, all’inizio non c’era nessun re famoso; avevano i loro propri re e dominarono così per tre anni
Elenco sintetico:
Inkishush di Gutium: 6 anni
Zarlagab di Gutium: 6 anni
Shulme (o Yarlagash) di Gutium: 6 anni
Silulumesh (o Silulu) di Gutium: 6 anni
Inimabakesh (o Duga) di Gutium: 5 anni
Igeshaush (o Ilu-An) di Gutium: 6 anni
Yarlagab di Gutium: 3 anni
Ibate di Gutium: 3 anni
Yarla di Gutium: 3 anni
Kurum di Gutium: 1 anno
Apil-Kin di Gutium: 3 anni
La-Erabum di Gutium: 2 anni
Irarum di Gutium: 2 anni
Ibranum di Gutium: 1 anno
Hablum di Gutium: 2 anni
Puzur-Sin di Gutium: 7 anni
Yarlaganda di Gutium: 7 anni
? di Gutium: 7 anni
Tiriga di Gutium: 40 giorni
Utu-kegal di Unug scaccia i Gutei.
Unug (Uruk)
Utu-kegal di Unug: date contraddittorie (427 anni / 26 anni / 7 anni) scaccia i Gutei
Terza dinastia di Urim (Ur)
Elenco sintetico:
Ur-Nammu di Urim: 18 anni (circa 2065 a.C.–2047 a.C.)
Shulgi: 48 anni (circa 2047 a.C.–1999 a.C)
Amar-Sin di Urim: 9 anni
Shu-Sin di Urim: 9 anni
Ibbi-Sin di Urim: 24 anni
Quindi Urim fu sconfitto. La regalità fu assunta da Isin.
Dinastia di Isin
(Stati amorriti indipendenti nella bassa Mesopotamia. La dinastia si concluse nel 1730 a.C. circa.)
Elenco sintetico:
Ishbi-Erra di Isin: 33 anni
Shu-ilishu di Isin: 20 anni
Iddin-Dagan di Isin: 20 anni
Ishme-Dagan di Isin: 20 anni
Lipit-Ishtar di Isin: 11 anni
Ur-Ninurta di Isin (il figlio di Ishkur, dovrebbe aver avuto anni di abbondanza, un buon regno e una vita piacevole): 28 anni
Bur-Sin di Isin: 5 anni
Lipit-Enlil di Isin: 5 anni
Erra-Imitti di Isin: 8 anni
Enlil-Bani di Isin: 24 anni (il giardiniere del re, per la celebrazione del Nuovo Anno, era nominato “re per un giorno” quindi sacrificato, il re morì durante la celebrazione. Enlil-Bani rimase sul trono.)
Zambiya di Isin: 3 anni
Iter-Pisha di Isin: 4 anni
Ur-Dul-Kuga di Isin: 4 anni
Suen-magir di Isin: 11 anni
Damiq-ilicu di Isin: 23 anni
Ci sono 11 città in cui la regalità fu esercitata e un totale di 134 re.
Ziusudra (o Zin-Suddu) di Shuruppak è un mitico Re sumero antidiluviano. Egli viene nominato nella Lista reale sumerica come ultimo Re ad aver regnato prima del diluvio che spazzò via ogni cosa. Il suo nome significa “colui che ha visto la vita”, in riferimento al dono dell’immortalità ricevuto dagli dèi per essere sopravvissuto all’inondazione che quest’ultimi inviarono sulla Terra per estinguere il genere umano. Il mito di Ziusudra è l’epica del diluvio più antica mai ritrovata e anticipa di circa un secolo il racconto del diluvio contenuto nel poema paleobabilonese di Atrahasis. Il mito è conservato su una tavoletta scritta in caratteri cuneiformi che risale al periodo della I dinastia di Babilonia (1800 a.C circa), quando la lingua impiegata negli scritti religiosi e nei documenti amministrativi era ancora quella sumera. Sebbene il reperto risalga ad un momento tardo della cultura sumera, è senza dubbio la trasposizione letteraria di un mito arcaico. Questa tavoletta è stata denominata “Genesi di Eridu” siccome contiene anche una parte dedicata alla creazione. Ziusudra è l’eroe del diluvio che nella letteratura accadica prende il nome di Atrhasis, e che in quella Babilonese, più precisamente nell’Epopea di Gilgamesh classica, viene chiamato Utnampishtim. Il diluvio descritto nella letteratura mesopotamica ispirò successivamente la composizione del mito ebraico/cristiano di Noè contenuto nella Genesi biblica. Nell’arco dei secoli cambiarono i protagonisti, ma i contenuti dell’evento epico rimasero invariati.
Ciò che rimane della mitica città di Eridu in Iraq.
La prima parte del mito è dedicata alla fondazione delle prime città: Eridu, Bad-Tibira, Lars, Sippar, e Shuruppak. La prima città sulla quale venne fatta scendere la regalità dal cielo fu Eridu. Dopo una considerevole sezione di testo mancante si apprende che gli dèi decisero di inviare un diluvio per distruggere l’umanità. Il dio Enki, signore delle acque dolci sotterranee, avvertì il sovrano di Shuruppak dell’imminente catastrofe, invitandolo a costruire una grande barca per potersi mettere in salvo. Il passaggio che contiene le istruzioni per la costruzione della barca è andato perso. Quando il testo riprende viene descritto il diluvio, una terribile tempesta che imperversò per sette giorni. Al termine del Diluvio Utu (il dio del Sole sumero) si manifestò a Ziusudra, che a sua volta sacrificò un bue e una pecora in suo onore. Dopo un’altra parte mancante il testo riprende con Ziusudra chiamato al cospetto degli dèi Anu e Enlin, che gli fecero il dono dell’immortalità per essere scampato alla sentenza divina e per aver prolungato i giorni degli uomini sulla terra. In fine gli dèi portarono Ziusudra ad abitare in Dilmun, il leggendario giardino dell’eden. Il resto del poema è andato perduto.
Traduzione della tavoletta che contiene il Mito di Ziusudra (Genesi di Eridu):
[…]
Cercherò di impedire la distruzione della mia umanità;
per Nintu, cercherò di fermare
il genocidio della mie creature!
Voglio che la gente torni alle terre da loro abitate.
Siano tutte le loro città ricostruite:
che la loro ombra sia riposante,
che i mattoni di tutte le città
siano collocati nei luoghi sacri,
che tutte le […] dimorino nei luoghi sacri.
“La pura acqua che spegne il fuoco
io porrò opportunamente colà.
Ho perfezionato le regole divine e i sublimi me:
nei luoghi che sono stati distrutti,
farò in modo che vi sia la pace.”
Dopo che An, Enlil, Enki e Ninhursag
Ebbero creato il popolo dalla testa nera
Gli animali si moltiplicarono per ogni dove,
animali di ogni taglia: i quadrupedi furono posti
come ornamento adatto alle pianure.
[…]
”Che io possa tenere in conto il loro diligente lavoro,
il muratore del paese possa gettare solide fondamenta.”
Quando lo scettro della regalità fu condotto giù dal Cielo,
dopo che l’augusta corona e il trono regale
furono condotti giù dal Cielo,
egli con determinismo perfezionò le regole divine
e i sublimi me
pose i mattoni di quelle città in luoghi sacri.
Diede loro dei nomi, stabilì le capitali.
La prima di quelle città, Eridu,
assegnò al signore Nudmmud;
la seconda, Bad-tibira,
l’assegniò alla “tuttasanta” (Innana);
la tersa, Larak, la diede Pabilsag;
la quarta Sippar,la diede al sublime Utu;
la quinta, Suruppak, la diede a Sud.
I nomi diede a queste città, stabilì le capitali.
Non arginò l’alluvione, ma scavò il suolo e incanalò l’acqua,
dispose la pulitura dei piccoli canali
e dei fossati per l’irrigazione.
[…]
Pianse allora Nintu sulle sue creature,
pianse la pura Innana a causa delle genti,
Enki si consigliò con il suo stesso animo.
An, Enlil, Enki e Ninhursag,
gli dei dell’Universo, giurarono sul nome di An e Enlil.
In quel tempo Zi-u-sud-rà era re e sacerdote di vaticini;
una capanna edificò
con devozione, con parole ben appropriate, con timore
Giorno dopo giorno, con regolarità, stava là;
qualcosa che non era un sogno sopraggiunse:
parole di un giuramento stipulato tra Cielo e Terra.
La loro opposizione portarono gli dei fino al Ki-ur-
Zi-u-sud-rà udì,stando sul lato,
stando sulla sinistra, del muro laterale
“Muro laterale, ti devo parlare!
Presta attenzione alle mie parole,
presta l’orecchio al mio avvertimento:
per nostra iniziativa un Diluvio sui luoghi di culto si abbatterà,
la progenie dell’umanità sarà annientata.
E’ una sentenza definitiva,
la decisione dell’assemblea (divina).
Per la parola detta da An,Enlil,Enki e Ninhursag,
nella regalità il periodo di governo avrà fine.
Adesso”
[…]
I venti maligni e i venti di tempesta
tutti insieme si adunarono:
il Diluvio sui culti imperversò.
Sette giorni e sette notti
Il Diluvio sul paese dilagò.
L’arca nel Diluvio il vento maligno sballottò.
Il sole uscì, gettando luce su cielo e terra.
Zi-u-sud-rà un’apertura fece nella grande arca
E il sole e i suoi raggi all’interno della grande arca gettò.
Zi-u-sud-rà, comportandosi da re,
si prostrò davanti al dio –Sole, baciando la terra.
Il re buoi sacrificò
E rese numerose le pecore (da sacrificio).
[…]
Lo scongiuro del soffio vitale del cielo
e del soffio vitale della terra invocate.
An ed Enlil, il soffio vitale del cielo
E il soffio vitale della terra vi sia d’aiuto.
La distruzione si allontana dalla terra, se ne va.
Zi-u-sud-rà, comportandosi da re,
si prostrò davanti ad An ed Enlil, baciando la terra.
An ed Enlil (a) Zi- u-sud-rà con la moglie
Vita (eterna), come un dio gli diedero.
A vita eterna, come un dio, lo elevarono.
Allora, Zi-u-sud-rà il re,
colui che aveva salvaguardato le progenie dell’umanità
nel momento della distruzione,
in un altro paese, nel paese di Dilmun,
dove sorge il dio-Sole, fecero vivere.