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Scritto da Manuel bonoli
Sacsayhuaman è un sito archeologico peruviano situato nella periferia settentrionale di Cuzco, l’antica capitale dell’Impero Inca. I cronisti spagnoli del XVI secolo scrissero che i lavori di costruzione iniziarono nel 1430, durante il regno dell’imperatore Pachacútec e che furono portati a termine nell’arco di settant’anni con il costante impiego di 20.000 uomini al giorno.
Architettura poligonale
Le mura poligonali di Sacsayhuaman furono realizzate incastrando enormi macigni con precisione millimetrica, ottenendo un risultato che ancora oggi lascia esterrefatti (fig.1-2). La complessità del lavoro svolto appare incongruente rispetto al livello tecnologico della civiltà inca e sulla base di questa osservazione molti autori hanno proposto di retrodatare la costruzione del complesso, attribuendolo frettolosamente alla mano di una civiltà tecnologicamente avanzata e scomparsa misteriosamente molto prima dell’epoca inca. Sta di fatto che le indagini archeologiche non hanno evidenziato alcuna traccia di presenza umana che preceda l’anno 900 d.C e dunque ogni ipotesi che tenti di anticipare la costruzione del complesso rispetto a questa data è quantomeno insensata. Il segreto della perfetta aderenza dei blocchi poligonali di Sacsayhuaman risiede invece nella scelta della parete rocciosa dalla quale sono stati estratti. Quest’ultima aveva un sistema di fratture naturali ben visibile sulle quali i cavatori intervennero con strumenti di pietra, rame, bronzo e legno. Le fratture della parete rocciosa pur essendo in perfetta aderenza isolavano evidenti conci lapidei, ciò significa che l’ammasso roccioso si presenta come un gigantesco puzzle che con l’impiego di semplici attrezzi fu “smontato “ in vari blocchi che successivamente furono levigati e ricomposti in un’opera muraria. I blocchi vennero fatti rotolare sui legni per superare le asperità del terreno e probabilmente venero sollevati con la costruzione di rampe e muretti ausiliari.
Le testimonianze deicronosti spagnoli
La civiltà Inca non sviluppò mai un sistema di scrittura pertanto la maggior parte delle informazioni acquisite in merito alla loro storia, al loro ordinamento sociale e alle loro arti, la si deve alle pubblicazioni di quei cronisti spagnoli, che oltre ad esaltare le gesta poco nobili dei conquistatori, s’interessarono con merito all’identità culturale delle popolazioni native sudamericane. Le informazioni storiche raccolte, tuttavia, non furono frutto di una osservazione diretta, ma vennero messe per iscritto sulla base di ciò che i discendenti dell’impero ricordavano della gloriosa “età dell’oro” Inca. Grazie al lavoro di scrittori come Pedro Cienza de Leon e Garcilaso de la Vega è stato possibile conoscere moltissimi aspetti della cultura Inca che altrimenti sarebbero andati perduti per sempre.
Garcilaso de la Vega nacque a Cuzco nel 1539; fu figlio di un aristocratico spagnolo e di una discendente di sangue reale Inca, da cui apprese la storia e i costumi dei nativi peruviani. All’età di 20 anni si trasferì in Spagna dove ricevette un’educazione cattolica e dove passò tutto il resto della sua vita. Dopo aver intrapreso la carriera militare iniziò a scrivere la storia del suo paese d’origine, dalla nascita dell’Impero inca fino alla conquista spagnola e negli ultimi anni della sua vita realizzò tre opere dal valore storico incalcolabile. Nella sua seconda opera storica, intitolata “Commentari reali degli Inca”, descrisse la fortezza di Sacsayhuaman di Cuzco, sottolineando le insufficienze tecniche e l’inadeguatezza degli utensili di cui i suoi antenati erano dotati, in modo che si sapesse con quanta penuria e deficienza di tutti gli strumenti necessari al lavoro operassero questi ultimi.
fig.1 I macigni più grandi del complesso di Sacsayhuaman
Tratto da “Commentari reali degli Inca” di Garcilaso de la Vega, edizione Bompiani, pag 761. Prima stampa a Lisbona nel 1609 con il titolo “Primera parte de los commentarios reales que tratan del origine de los Yncas, reye que fueron del Perù”.
fig.2 incastri delle mura poligonali di Sacsayhuaman
Meravigliosi furono gli edifici eretti dagli Inca re del Perù: fortezze e templi, regge e giardini, magazzini e strade e altre fabbriche di grande magnificenza, come oggi si può vedere dalle rovine che ne sono rimaste, affinché sia difficile rendersi conto, sulla scorta delle sole fondamenta, di quel che fu l’intera costruzione. Ma l’opera maggiore, la più maestosa che fecero innalzare, a dimostrazione del loro potere e grandezza, fu la fortezza di Cozco, le cui dimensioni possono sembrare incredibili, a chi non l’ha veduta, e chi l’ha guardata con attenzione è indotto a credere che l’opera sia frutto di un incantesimo, che a produrla siano stati i demoni, non già uomini; e ciò perché la quantità di massi, che sono tanti e così grandi, disposti a formare le tre cinte (e sono più macigni che pietre), è tale che non si riesce a immaginare come abbiano potuto estrarli dalle cave; infatti gli indiani non disponevano di buoi, non sapevano fabbricare carri, e del resto non esistono carri bastanti a reggere il peso né buoi capaci di tirarli; li portavano trascinandoli a forza di braccia mediante grosse funi; e non che le strade per cui li traevano fossero piane, essendo anzi sierras asperrime, con grandi scoscendimenti lungo i quali li calavano grazie alla sola forza fisica. Molti di quei sassi vennero ivi portati da una distanza di dieci, dodici, quindici leghe, e ciò vale in particolare per la pietra o, a meglio dire, roccia che gli indiani chiamano Saycusca, che vuol dire stanca (perché non entrò a far parte dell’edificio); è noto che ve la trascinarono da un luogo situato a quindici leghe dalla città, superando il fiume Yùcay, non molto meno ampio del Guadaluivir che passa per Cordoba. Quelli che furono portati dai luoghi più vicini, vennero da Muyna, che dista cinque leghe da Cozco. Ma ancor meno si riesce a immaginare come abbiano potuto commettere pietre siffatte, e in modo tale che a sostegno si giunge a inserire, tra l’una e l’altra, la punta di un coltello; e molte lo sono tanto esattamente, che la commessura si nota appena; a tale scopo, era mestieri alzare e abbassare le pietre l’una sull’altra più volte, poiché non conoscevano la squadra né sapevano valersi del regolo per metterle in opera e così stabilire se i piani di contatto dell’una e dell’altra corrispondevano. Non sapevano neppure costruire gru o carrucole, né altro artifizio di cui servirsi per alzare e abbassare i massi, i quali hanno dimensioni tali da lasciare senza fiato,…
…
Ivi gli Inca eressero tre cinte, una dietro all’altra, disposte scalarmente; ciascuna di esse non misura meno di duecento braccia di lunghezza, e sono disposte a mezzaluna, perché vanno avvicinandosi, fino a congiungersi, all’altro muro liscio che si drizza dalla parte della città. Con la prima delle tre cerchie, gli Inca vollero esprimere tutta la loro possenza: ché, sebbene tutte e tre siano di una stessa fattura, quella include in sé l’intera grandezza dell’opera, poiché vi collocarono le pietre maggiori, tali che l’edifizio sembra incredibile a chi non l’abbia mai visto e fa restare a bocca aperta chi lo osservi e consideri le dimensioni e la qualità delle pietre, nonché lo scarso armamentario di cui gli indiani disponevano per tagliare, pulirle e collocarle. A mio personale giudizio, quelle pietre non sono state estratte da cave, dal momento che non rivelano segni di tagli, ma sono ricavate da macigni isolati (di quelli che i litotomi chiamano masso vivo) che si trovano per quelle montagne, scegliendo i più adatti all’uopo; e, come li trovavano, così li collocavano, tant’è che le une pietre son concave da un lato e convesse dall’altro e sbieche da un altro, e queste con angoli taglienti e altre senza; né si sforzarono di eliminare protuberanze o rientranze; né di pareggiarle o colmarle, ma con la cavità di un masso grandissimo veniva riempita la convessità di un altro roccione altrettanto grande e anche maggiore, se di maggiori ne potevano trovare; e allo stesso modo, lo sbieco o il diritto di un masso lo eguagliavano con il diritto lo sbieco di un altro; e alla mancanza di saliente di una pietra supplivano con quello di un’altra, non già mediante un pezzo piccolo che valesse semplicemente a riempire la lacuna, bensì accostando al primo un altro masso munito di un’escrescenza, in modo da ovviare al vuoto dell’altro; …. Un sacerdote nativo di Molina, che si è recato in Perù dopo che io ero venuto in Spagna, e ne è tornato poco tempo fa, parlando di codesta fortezza, e soprattutto della mostruosità delle sue pietre, m’ha detto che, prima di averle viste, mai avrebbe creduto che potessero essere grandi come gli era stato detto, e dopo averle viste gli parvero superiori alla loro fama; e che gliene venne un interrogativo ancor più arduo, e fu il dubbio che non abbiano potuto collocarle a quel modo se non per arte del demonio.”
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Sacrificio e volontà
Il peso medio dei macigni che compongono la cinta muraria più esterna del complesso si aggira attorno alle 100 tonnellate, mentre i blocchi più grandi della struttura raggiungono probabilmente le 300 tonnellate (fig.1). Guardando la varietà delle forme realizzate e la perfezione degli incastri non si può far altro che rimane sconcertati.
fig.3 Porta di accesso alla parte alta del complesso
Sebbene gli inca disponessero di strumenti quasi primitivi, grazie ad una perfetta organizzazione sociale poterono impiegare in maniera continuativa una massiccia forza lavoro. Ogni operazione dovette richiedere moltissimo tempo e fatica, ma soprattutto forza di volontà e pazienza. L’estrazione, il trasporto, la sbozzatura e la levigatura di ogni singolo macigno poteva durare mesi o anni, ma la lentezza di ogni singola operazione poteva essere compensata con le qualità sopracitate e con l’impiego di numerosissime squadre di lavoro reclutate in tutto l’impero. Dalle parole di Garcilaso de la Vega traspare un certo senso d’orgoglio nel descrivere la volontà dimostrata dai suoi antenati. L’autore sottolinea ripetutamente le carenze della tecnologia inca ma con ciò non sminuisce minimamente la condizione dei suoi antenati, al contrario la esalta, lodando la volontà d’animo di di quegli uomini.
fig.4 Conformazione dentata della prima cinta muraria di Sacsayhuaman
Le regioni sottoposte all’Impero inca erano obbligate a fornire manodopera per i progetti di stato. Alcuni macigni utilizzati furono reperiti in loco, mentre altri vennero trasportati anche da grandi distanze dal momento che le pareti rocciose utili alle attività inca, ovvero quelle che presentavano sistemi di fratture adeguati, si trovano soltanto in determinate zone del territorio.
fig.5 Palco destinato all’èlite durante le cerimonie pubbliche
Sacsayhuaman non è una fortezza
La struttura di Sacsayhuaman non venne progettata per svolgere funzioni di difesa ma nonostante ciò venne indicata con l’appellativo di “fortezza” perché le sue imponenti mura indussero i primi conquistatori spagnoli a pensare che avesse una funzione militale. Ad alimentare il possibile fraintendimento vi fu anche il fatto che la collina di Sacsayhuaman fu teatro della sanguinosa battaglia che nel 1536 contrappose i conquistatori spagnoli all’ultima resistenza inca. Oggi si sta considerando l’ipotesi che Sacsayhuman fosse in realtà un grande centro cerimoniale; l’ampia piazza di fronte alle mura poligonali potrebbe essere stata progettata per contenere migliaia di persone durante le attività cerimoniali, mentre il palco elevato scavato nella roccia che fronteggia l’intero complesso potrebbe essere stato un luogo riservato all’élite sociale (fig.5). Comprendere la funzione di Sacsayhuaman è complicato perché tutti gli edifici della parte alta vennero smantellati dagli spagnoli che durante la costruzione degli edifici governativi e religiosi della città coloniale.
La Testa del Puma
La pianta dell’antica città imperiale riproduceva la forma di un puma, la “fortezza” rappresentava la testa, mentre i due fiumi che attraversano la città (oggi tombati) delimitavano la figura del corpo. Il fatto che che l’antica capitale dell’impero fosse consacrata al puma è confermato anche da una complessa rappresentazione incorporata all’interno di una parete poligonale collocata nel centro storico di Cuzco (fig.6).
fig.6 Evidenziata in arancione la forma stilizzata del puma incorporata all’interno ella parete megalitica
fonte: “Commentari reali degli Inca” di Garcilaso de la Vega, edizione Bompiani “Un’ipotesi sulla costruzione dei muri poligonali incaici” di giuseppe Quaglino, 2017
Abu Simbel è un tempio Egizio rupestre situato sulle sponde del lago Nasser a 300 km dall’odierna città di Assuan. E’ stato costruito nel 1265 a.C. dal faraone Ramses II, uno dei più grandi e longevi sovrani di sempre, per divinizzare se stesso e per esaltare il suo lungo regno.
Facciata del tempio rupestre di Abu Simbel.
La facciata e l’interno del tempio sono stati scolpiti nella roccia, quattro colossi di Ramses II troneggiano maestosi all’ingresso, mentre all’interno sono stati scavati diversi ambienti che si sviluppano lungo una navata centrale fiancheggiata da numerosi pilastri. Percorrendo la navata si viene condotti all’interno di un ambiente definito “sala dei nobili”, qui un piccolo santuario contiene le statue sedute di quattro divinità rivolte verso l’entrata: da sinistra a destra, Path di Menfi (Dio dell’arte e della tenebra), Amon-Ra di Tebe (Dio del Sole e di tutte le cose del creato), Ramses II divinizzato e Ra-Harakhti (divinità nata dal sincretismo tra il Dio Ra e Harakhti, Horo all’orizzonte, probabilmente durante la V dinastia). Due volte all’anno, il 21 febbraio e il 21 ottobre, si configurava “il miracolo del Sole”, le prime luci dell’alba penetravano all’interno del tempio, attraversavano la lunga navata centrale e illuminavano le statue delle divinità all’interno del santuario (immagine in testata).
Il tempio di Abu Simbel durante “il miracolo del Sole”, la luce dell’alba va ad illuminare le statue delle 4 divinità egizie
Durante il resto dell’anno il santuario rimaneva completamente al buio, mentre nei due giorni sopracitati le statue venivano illuminate ad eccezione della prima a sinistra, Ptah, Dio dell’arte e della tenebra e giustificatamente avvolto dall’oscurità, Amon-Ra e Ra-Harakhti venivano illuminati per 5 minuti ciascuno mentre il Sole illuminava per ben 20 muniti la figura divinizzata di Ramses II, riscaldando e caricando di energia la statua del grande faraone divenuto Dio. Riguardo a le date scelte non c’è accordo tra gli egittologi, alcuni sostengono che il 21 febbraio e il 21 ottobre erano rispettivamente le date della nascita e dell’incoronazione del sovrano, altri pensano invece che si tratti dalle date che coincidono approssimativamente con la fine della piena del Nilo e l’inizio del successivo raccolto.
Trasloco del tempio iniziato nel 1964
Nel 1960 iniziarono il lavori di costruzione della Diga di Assuan, questo progetto prevedeva la creazione di un’enorme bacino artificiale che avrebbe sommerso il tempio di Abu Simbel. Grazie all’intervento dell’UNESCO venne studiato un sistema per salvare il tempio, furono impiegate risorse senza precedenti per finanziare un progetto che prevedeva lo spostamento del tempio 300 metri più indietro e 65 metri più in alto. tra il 1964 e il 1969 duemila uomini tagliarono e spostarono il tempio pezzo per pezzo servendosi delle più avanzate tecnologie del periodo. Una volta ricomposto il tempio, venne costruita un’enorme cupola di calcestruzzo per poter reggere il peso della roccia depositata sopra di esso al fine di ripristinare l’aspetto originale della montagna. Nonostante l’enorme sforzo e l’accuratezza nelle misurazioni servite dalla migliore tecnologia del XX secolo, venne commesso un errore di orientamento. Dopo lo spostamento il “miracolo della Sole” non avvenne più nelle consuete date, ma con un giorno di ritardo, il 22 febbraio e il 22 ottobre.
Alla morte del faraone Amenofi III (XVIII dinastia), avvenuta nel 1353 a.C., salì al trono il figlio Amenofi IV. Quest’ultimo, ispirato dall’idea che Aton fosse l’unico dio, diede inizio ad una rivoluzione teologia senza precedenti. A quel tempo il pantheon egizio era affollato da un gran numero di divinità con Amon-Ra al disopra di tutte le altre. Amenofi IV lo sostituì improvvisamente con Aton, scontrandosi con i sostenitori del pensiero teologico tradizionale. Contrariamente a quanto avvenne in precedenza non vennero più ammesse immagini personificate del dio Sole, Aton venne dunque rappresentato con la forma di un grande globo luminoso circondato da lunghi raggi. Inizialmente fu consentito il culto di tutte le divinità a patto che si riconoscesse ad Aton il ruolo di divinità suprema, ma nel quarto anno del suo regno, Amenofi IV diede un taglio netto con passato, proclamando Aton unico e vero dio.. Il sovrano cambiò il suo nome da Amenofi IV (“pace di Amon”) in Akhenaton (“colui che è utile ad Aton”) e prese le distanze dalle vecchie sedi religiose facendo costruire una nuova capitale reale. La costruì 400 km più a nord di Tebe e gli diede il nome di Akhetaton (“orizzonte di Aton”).
Il passaggio al culto esclusivo di Aton fu probabilmente una manovra repressiva nei confronti del clero tebano che a dispetto degli ordini impartiti dal sovrano continuava a riconoscere ad Amon il ruolo di divinità principale. Questa iniziativa riportò il potere sacrale nelle mani del sovrano, potere che nel corso del tempo si era gradualmente indebolito sminuendo l’importanza della discendenza reale. Il clero tebano aveva incrementato mano a mano la sua influenza politica sul paese e la sede principale del culto di Amon situata a Karnak aveva accumulato ricchezze fino a diventare una sorta di stato nello stato in grado di influenzare le decisioni politiche. Sicuramente il progetto monoteistico di Akhenaton gli procurò non pochi oppositori, sia tra gli uomini di rango che tra i normali cittadini. I cambiamenti imposti furono troppo rivoluzionari per raccogliere successo in un paese così profondamente legato alla sua millenaria cultura e il timore di una insurrezione accompagnò Akhenaton per tutti gli anni del suo regno.
Rilievo conservato al Neues museum di Berlino. Akhenaton, Nefertiti e figli in una scena di vita famigliare (1350 a.c. circa).
Nel diciassettesimo anno di regno Akhenaton morì per cause sconosciute. La successione e gli immediati eventi che seguirono la morte di Akhenaton non sono ben documentati, ma si suppone che fu suo fratellastro Smenkhara a succedergli per un breve periodo. Smenkhara continuò a regnare dalla città di Akhetaton ma pochi anni dopo con l’ascesa al potere di Tutankhaton, avvenuta in circostanze poco chiare, la nuova capitale reale venne per sempre abbandonata. Tutankhaton era figlio di Akhenaton e della sua seconda moglie Kiya e nel momento in cui fu incoronato aveva soltanto nove anni. Per via della sua giovane età fu facile manipolarlo e nel giro di poco cambiò il suo nome da Tutankhaton (“immagine vivente di Aton”) a Tutankhamon (“immagine vivente di Amon). Quando Tutankhamon ristabilì il culto di tutte le divinità la città di Akhetaton venne demolita mentre il nome del padre venne cancellato dalla storia. Negli anni che seguirono la morte del faraone eretico si tentò in tutti i modi di cancellare qualsiasi traccia che potesse rimandare alla sua memoria, i documenti vennero distrutti, i templi e le statue vennero abbattute, mentre il suo nome venne omesso da tutte le liste reali.
Rovine di Akhetaton (odierna Tel el-Amarna). fonte immagine.
Fortunatamente non tutte le prove della sua esistenza vennero cancellate, alcune delle informazioni su cui si basano le ricostruzioni storiche che riguardano il faraone eretico provengono da importati reperti archeologici rinvenuti tra le rovine di Akhetaton, tra questi le Lettere di Amarna, la Stele della frontiera e l’Inno ad Aton. La composizione letterale conosciuta come “Grande inno ad Aton” offre preziose informazione sul pensiero teologico che ha contraddistinto la rivoluzione religiosa promossa da Akhenaton. Si ritiene che sia stato composto dal faraone in persona e sono state trovate diverse versioni nelle tombe dei dignitari reali ad Amarna, ma il testo più completo è stato rinvenuto sulle pareti della tomba di Ay, più precisamente su una parete del corridoio d’ingresso.
I migliori reperti del periodo di Amarna dal Neues Museum di Berlino
Akhenaton, Nefertiti e figli.
Tu sorgi bello all’orizzonte del cielo, o Aton vivo, che hai dato inizio alla vita. Quando risplendi all’orizzonte orientale tutte le terre riempi della tua bellezza. Tu sei bello, grande, splendente, alto sopra ogni terra! I tuoi raggi abbracciano le terre, fino al limite di quel che tu hai creato. Tu sei Ra quando raggiungi i loro confini, * e le sottometti per il tuo figlio amato. * Tu sei lontano, ma i tuoi raggi sono sulla terra. Tu sei davanti agli uomini, ma essi non vedono la tua via. * Quando tu vai in pace all’orizzonte d’occidente, * a terra è nell’oscurità come morta; * i dormienti sono nelle loro camere, le teste sono coperte. Nessun occhio vede l’altro; se si togliessero tutti i loro beni di sotto la testa, essi non se ne accorgerebbero. Tutti i leoni escono dalle loro tane; tutti i serpenti, essi mordono. L’oscurità è una tomba. Giace la terra in silenzio. Poiché il suo creatore riposa all’orizzonte. All’alba tu riappari all’orizzonte, risplendi come Aton per la giornata. Tu scacci le tenebre e lanci i tuoi raggi. Le Due Terre sono in festa *: svegliate e levate sui due piedi. Tu le hai fatte alzare. Lavano le loro membra, prendono le loro vesti; le loro braccia sono in adorazione al tuo sorgere. La terra intera si mette al lavoro. Ogni animale gode del suo pascolo. Alberi e cespugli verdeggiano. Gli uccelli volano dai loro nidi, con le loro ali festeggiano il tuo ka. * Gli animali selvatici saltano in piedi; tutti quelli che volano e si posano vivono, poiché tu risplendi per loro. Le navi salgono e scendono la corrente, poiché ogni via si apre al tuo sorgere. I pesci del fiume guizzano dinanzi a te. I tuoi raggi arrivano in fondo al Grande Verde. * Tu che procuri che il germe sia fecondo nelle donne, e che fai la semenza negli uomini. Tu che fai vivere il figlio nel grembo della madre sua, e lo calmi perché non pianga. Tu nutrice di chi è ancora nel grembo che dai il respiro per far vivere tutto ciò che hai fatto. Quando esce dal grembo e respira nel giorno della nascita, tu apri la sua bocca completamente e provvedi ai suoi bisogni. Quando il pulcino è nell’uovo * tu gli dai l’aria perché viva. * Tu lo completi perché rompa l’uovo e ne esca per pigolare e completarsi e camminare sulle sue zampe appena ne è uscito. Come numerose sono le tue opere, che sono nascoste alla vita! Tu dio unico, del quale non esistono eguali. Tu hai creato la terra per il tuo desiderio, * quando tu eri solo; * con gli uomini, il bestiame ed ogni animale selvatico, e tutto quel che è nella terra – e si muove sui suoi piedi -, e tutto quel che è nella terra – e vola sulle sue ali. E i paesi stranieri, la Siria, la Nubia e la terra d’Egitto. Tu hai collocato ogni uomo al suo posto e hai provveduto ai suoi bisogni. Ognuno ha il suo cibo, ed è contata la sua durata di vita. Le lingue loro sono diverse nelle parole, * e i loro caratteri anche; e le loro pelli, * poiché ti hai differenziato i popoli stranieri. * Tu crei Hapi nel Duat * e lo porti in superficie per fare vivere i rekhyt * così come tu le hai create. Tu, signore di tutti loro che ti affatichi per loro, o Aton del giorno, grande di dignità! Tu mantieni in vita anche le terre più lontane, poiché tu hai posto un Hapi nel cielo che discende per loro sui monti come Grande Verde * e bagna i loro campi e le loro contrade. * Come son efficaci i tuoi consigli, o signore dell’eternità! L’Hapi del cielo è tuo per gli stranieri e per tutti gli animali del deserto che si muovono sulle zampe: ma Hapi viene dal Duat per l’Egitto. * I tuoi raggi nutrono tutte le piante; quando tu risplendi, esse vivono e prosperano per te. Tu fai le stagioni per far sì che si sviluppi tutto ciò che hai creato: l’inverno per rinfrescarle, l’ardore perché ti gustino. Tu hai fatto il cielo lontano * per risplendere in esso, * e per vedere tutto, tu unico, * che splendi nella tua forma di Aton vivo, * che sorgi e brilli, lontano e vicino. Tu fai milioni di forme da te, tu unico: * città, villaggi, campi, vie, fiumi, Ogni occhio ti vede davanti a sé, poiché tu sei l’Aton del giorno sopra la terra. Quando te ne sei andato via, * non c’è occhio che veda * quello che tu hai creato * e tu l’hai creato, * per non essere solo a vedere te stesso. * Tu sei nel mio cuore. * Non c’è nessun altro che ti conosca * eccetto il tuo figlio Nefer-kheperu-Ra, Ua-en-Ra * che tu hai reso saggio nei tuoi consigli e nella tua forza. La terra è nella tua mano come tu l’hai creata. Se tu splendi, essi vivono, e tu tramonti, essi muoiono; tu sei la durata stessa della vita e si vive di te. Gli occhi vedono bellezza, finché tu non tramonti. Si depone ogni lavoro quando tu ti posi a occidente. Quando tu risplendi,e fai prosperare (…) per il re, ogni piede si affretta, sin da quando hai fondato la terra. Tu ti alzi per il tuo figlio che è uscito dal tuo corpo * il re della Valle e re del Delta che vive della Verità il Signore delle Due Terre Nefer-kheperu-Ra, il figlio di Ra, che vive di Maat * Il Signore delle corone Akhenaton, grande di durata di vita e la grande sposa del re, la signora delle Due Terre, Nefer-neferu-Aton Nefertiti. Viva, giovane per sempre, in eterno.
La posizione di Machu Picchu e la presenza di moltissimi osservatori solari ci fa credere che fosse una città sacra riservata al culto del Sole. Nel maggio 2015 ho passato due intere giornate nella cittadella, nelle quali ho avuto modo di comprendere quanto fosse importate per gli antichi Inca l’osservazione dei fenomeni celesti. A tale scopo realizzarono indicatori e osservatori di pietra al fine controllare la progressione stagionale del Sole e riconoscere i giorni in cui avvenivano solstizi, equinozi ed altri fenomeni celesti rilevanti per la cultura inca. Conoscere con precisione il giorno dell’anno in cui avvenivano determinati eventi astronomici era indispensabile al fine di stabilire quali fossero i momenti più opportuni in cui svolgere le attività necessarie al sostentamento e le funzioni religiose.
Gli osservatori astronomici più importanti di Machu Picchu sono:
Il tempio del Sole
La pietra intihuatana
Il foro dell’equinozio
La sala degli specchi d’acqua
L’Intimachay
Tempio del Sole
fig.1 Tempio del Sole
Il Tempio del Sole è caratterizzato da una pianta semicircolare che si affaccia verso est e per via della sua particolare forma venne soprannominato “El Torreon” (fig1). Questo ambiente era un luogo di culto dedicato a Inti (il sole) in cui venivano svolte importanti funzioni religiose. L’osservatorio sorge in cima ad un enorme macigno che affiora dal terreno ed è composto con blocchi a secco finemente lavorati. La posizione anomala del macigno potrebbe far pensare che sia stato in qualche modo collocato in quella posizione; anche se questa ipotesi sembra audace non bisogna dimenticare che gli inca riuscirono a spostare e a collocare con precisione millimentri gli enormi blocchi di Sacsayhuaman a Cuzco. Ai piedi della roccia si trova una piccola grotta, al cui interno furono realizzate delle nicchie che probabilmente fungevano da santuario. Nonostante non vi fu mai rinvenuta alcuna mummia, Hiram Bingham, l’uomo a cui va il merito della scoperta di Machu Picchu, battezzò questa cavità “Tomba Reale”, ipotizzando che fosse un sepolcro destinato a contenere le spoglie del sovrano Inca figlio del Sole. Al centro dell’edifico semicircolare posto sulla parte superiore del tempio, si trova una pietra sacra che fungeva da altare. Sulla parete semicircolare, invece, ci sono due finestre, una rivolta verso nord-est e l’altra verso sud-est. La finestra rivolta a nord-est è orientata con precisione verso il punto in cui sorge il Sole nel giorno del solstizio d’inverno. All’alba del 21 giugno (le stagioni sono invertite in Perù), i primi raggi del Sole passano dalla finestra proiettando una sagoma luminosa sulla pietra sacra. In questo giorno la luce del Sole è perfettamente parallela ad un intaglio scolpito sulla pietra, configurando un allineamento che si verifica soltanto una volta all’anno (fig.2).
Non possiamo dire con certezza se le nicchie ai piedi della struttura fossero o meno destinate ad accogliere le spoglie reali ma se cosi’ fosse si andrebbe a delineare un quadro simbolico decisamente interessante. Fin dall’epoca preistorica il Solstizio d’Inverno fu considerato il punto di partenza che dava inizio alla rinascita della natura pertanto i raggi di Sole si allineano una volta all’anno con la pietra sacra della struttura potevano creare un collegamento simbolico tra il Sole e defunti, propiziando la rinasciata dello spirito dopo la morte.
fig.2 Orientamento astronomico del Tempio del Sole
Per chiarire meglio il funzionamento di questo indicatore solare ho realizzato un filmato esplicativo:
fig.3 Tempio del Sole, lato sud, allineamento solare durante gli equinozi.
Durante la visita al Tempio del Sole il mio accompagnatore mi ha fatto notare la presenza di alcune protuberanze sulla facciata del tempio. Mi ha spiegato che alcune di quelle poste sul lato sud furono realizzate per segnalare i giorni equinoziali. Durante gli equinozi, quando il Sole è alto nel cielo, le protuberanze poste nella parte alta proiettano delle lunghe ombre che scendono fino alla base della grande roccia sulla quale poggia il tempio e qui vanno a combaciare con alcune scanalature intagliate nella parete (fig.3). Questo avviene con precisione soltanto due volte all’anno, nei giorni equinoziali, il 20 marzo e il 23 settembre (queste date sono soggette a piccole variazioni nell’arco degli anni). Sebbene i solchi possano sembrare una scala scolpita sulla parete, non è così, in quanto non conducono da nessuna parte. Sul web non ho trovato immagini relative a questo fenomeno, quindi mi riservo il beneficio del dubbio, confidando però nelle parole del mio accompagnatore. Effettivamente protuberanze come queste si possono osservare anche sulle pareti di molti altri monumenti di epoca Inca, tra quali segnalo l’osservatorio solare delle ombre di Ollantaytambo e il tempio del Sole Coricancha di Cuzco.
Pietra Intihuatana
fig.4 Pietra Intihuatana
Questa scultura di pietra si è dimostrata essere un preciso indicatore astronomico che segnala i due giorni dell’anno che corrispondono agli equinozi (fig.4). Il nome Intihuatana deriva da due parole quequa, “Inti” che significa “Sole” e “huata” che significa “legare”. Il suffisso finale “na” trasforma il verbo in sostantivo, quindi l’intera parola “Intihuatana” potrebbe essere tradotta volgarmente con la locuzione “il legatore del Sole”. Non poteva esserci un nome migliore per descrivere questa pietra in quanto a mezzogiorno del 20 marzo e del 22 settembre, durante gli equinozi d’autunno e di primavera (ricordo che in Perù le stagioni sono invertite) il Sole transita esattamente sopra il pilastro, ed in quel preciso momento da quest’ultimo non viene proiettata nessuna ombra e per alcuni minuti figil Sole viene simbolicamente “legato” alla roccia (fig.5). In questi periodi gli inca offrivano molti sacrifici al Sole, ma mai sacrifici umani. Questo fenomeno si configura perché il pilastro è stato scolpito con una inclinazione tale da combaciare precisamente con la direzione da cui provengono i raggi solari che lo illuminano nel momento in cui il Sole raggiunge la sua massima altezza nel cielo durante gli equinozi.
fig.5 A sinistra, Posizione del Sole alle ore 12:00 del 21 marzo durante l’equinozio, il Sole si trova 76,6° rispetto al terreno e alla pietra Intihuatana, il pilastro ha un’inclinazione di 13,5° rispetto allo zenit, in questo modo è perfettamente allineato con i raggi del Sole soltanto due volte all’anno durante gli equinozi. A destra i dati relativi alla posizione del Sole in localita Machu Picchu durante l’equinozio del 21 marzo.
Ho realizzato una grafica che aiuta a capire meglio quanto detto. Prima di tutto bisogna sapere che osservando il cielo per un intero anno si può notare che il Sole compie archi sempre più alti ed ampi sull’orizzonte man mano che si avvicina l’estate, ed archi sempre più bassi e corti quando s’avvicina l’inverno. Questa variazione quotidiana dell’altezza del Sole rispetto al nostro punto d’osservazione si misurata in gradi e viene definita “altitudine apparente del Sole”. La massima altitudine apparente varia a seconda della latitudine in quanto la terra è sferica, così all’equatore, nel giorno dell’equinozio, il Sole transita esattamente allo zenit sopra la testa dell’osservato, a 90° rispetto al terreno. Nello stesso giorno a Machu Picchu transita un pò più basso, a 76,5° rispetto al terreno. Un pilastro verticale posto all’equatore alle ore 12:00 del giorno equinoziale non proietta alcuna ombra perché i raggi del Sole provengono esattamente da sopra di esso, dato che il Sole si trova ad un’altitudine apparente di 90°. Per fare in modo che un pilastro posto a Machu Picchu non proietti nessun ombra alle ore 12:00 dello stesso giorno è necessario che abbia un’inclinazione di 13,5° rispetto allo zenit (oppure 76,5° rispetto al terreno), perché il Sole transita ad un’altitudine apparente di 76,5°. E’ proprio 13,5° l’inclinazione con cui gli inca hanno scolpito la pietra Intihuatana, in questo modo potevano monitorare l’arrivo degli equinozi e celebrarli nel preciso momento in cui avvenivano.
Il cronista peruviano Garcilaso de la Vega descrisse questa attività inca nel XVI secolo:
“Conoscevano anche gli equinozi, che erano accolti con grande solennità. In marzo falciavano i campi di mais del Cozco con grande festa e allegria, sopratutto per quanta attiene all’andén di Collcampata, che era come un giardino del Sole. In occasione dell’equinozio di settembre, celebravano una delle quattro principali feste del Sole, che chiamavano Citua Raymi: vuol dire festa principale. Per verificare l’equinozio, si avvalevano di colonne di pietra ricchissimamente lavorate, collocate sui cortili o spiazzi che si estendevano davanti ai templi del Sole. I sacerdoti, quando sapevano che l’equinozio era vicino, avevano cura di osservare ogni giorno l’ombra proiettata da esse. Le colonne erano situate al centro di un vastissimo cerchio, che occupava tutta la estensione dello spiazzo o cortile. Secavano per metà il cerchio da oriente a occidente, mediante un filo che fungeva da diametro, ché per lunga esperienza sapevano dove esattamente situare l’un punto e l’altro. In base al percorso dell’ombra proiettata dalla colonna sul diametro, stabilivano che l’equinozio era vicino; e, quando vedevano che l’ombra percorreva il diametro da un’estremità all’altra; quella in corrispondenza della quale sorgeva il Sole e quella in corrispondenza della quale tramontava, e che a mezzogiorno il Sole illuminava la colonna da tutte le parti, senza che proiettasse ombra alcuna, dicevano che quel giorno era l’equinoziale. Adornavano allora le colonne con tutti i fiori e le erbe odorose che potevano trovare e sovr’esse ponevano la sedia del Sole e affermavano che l’astro si sedeva, con tutta quanta la luce, in cima alle colonne. Ragion per cui quel girono adoravano il Sole con maggiori ostentazioni di giubilo e amore che mai, e gli facevano grandi doni di oro e argento e pietre preziose e altri oggetti di valore.”
Tratto da “Commentari reali degli inca” di Garcilaso de la Vega, edizione Bompiani, pag.269
Foro dell’equinozio
Foro dell’equinozio
Gli antichi si accorsero che alcuni eventi astronomici si ripetevano con regolarità nel lungo periodo e che esisteva un legame diretto tra questi eventi e l’alternanza delle stagioni. Per misurare i lunghi periodi presero come riferimento solstizi, equinozi e altri eventi astronomici, gli unici “fari d’orientamento” utili a svolgere questa indispensabile attività. Mentre attraversavo gli edifici del settore urbano di Machu Picchu, il mio accompagnatore mi ha mostrato un grande blocco di pietra collocato all’interno di un muro, sul quale era stata scolpita una protuberanza forata lungo l’asse verticale che si è rilevata adatta rilevare il giorno dell’equinozio. A Machu Picchu, a metà giornata del 20 marzo e del 22 settembre, il Sole transita ad un’altezza apparente di 76,5° rispetto al terreno, se la pietra e il foro fossero stati messi a piombo non si sarebbe configurato l’allineamento, di conseguenza furono sistemati nella parete con un’inclinazione di 76,5° rispetto al terreno, in modo da risultare perfettamente allineati con la posizione occupata dal Sole a mezzogione dell’equinozio. Questo allineamento si configura soltanto due volte all’anno in corrispondenza dell’equinozio d’autunno e di primavera e può essere determinato monitorando l’ombra prodotta dalla protuberanza forata e guardando all’interno del foro mano a mano che si avvicina al momento propizio. Indicatori come questo erano indispensabili per misurare il tempo e per programmazione tutte le attività, da quelle necessarie al sostentamento a quelle religiose.
Sala degli specchi d’acqua
fig6 Sala degli specchi d’acqua
Nel cuore delle terre inca il Sole transita allo zenit il 14 febbraio e il 28 ottobre e questo momento astronomico veniva osservato all’interno della “stanza degli specchi d’acqua”, così chiamata perché sulle rocce che affiorano dal terreno furono scolpite due coppe che venivano riempite d’acqua al fine di riflettere il cielo (fig.6). In queste particolari sculture venivano riconosciuti gli occhi di Pachacamac, una delle principali divinità della Mitologia Inca. Tuttavia la loro funzione non si limita al semplice simbolismo perché posizionandosi sui punti prestabiliti si può osservare il riflesso del Sole in determinati momenti dell’anno. Posizionandosi sopra gli specchi d’acqua durante il momento centrale della giornata è possibile vedere il Sole riflettersi al loro interno soltanto nei giorni in cui il Sole si trova allo zenit, attorno al 14 febbraio e al 28 ottobre, in questi giorni l’altitudine apparente del Sole sfiora i 90° rispetto all’osservatore (fig.8). Durante queste osservazioni i sacerdoti inca traevano auspici fondamentali per la comunità.
fig.7 Riflesso del Sole a mezzogiorno del solstizio d’inverno
All’interno della sala ci sono cinque pietre che determinano i punti di osservazione, posizionandosi sopra una di queste è possibile vedere il riflesso del Sole nel momento centrale della giornata del solstizio d’inverno (fig.7). Gli altri punti d’osservazione sono in fase di studio e non è da escludere che fossero utilizzati anche per osservare il cielo notturno e le fasi lunari.
fig.8 Punti di osservazione all’interno della Sala degli specchi d’acqua
L’intimachay è un tempio poco conosciuto che si trova sulle pendici della montagna (fig.9). Il tempio si affaccia ad est ed è stato ricavato da una grotta naturale. Affianco all’entrata si trova un condotto orientato verso il punto in cui sorge il Sole nel giorno del Solstizio d’inverno.
Ziusudra (o Zin-Suddu) di Shuruppak è un mitico Re sumero antidiluviano; egli viene nominato nella Lista reale sumerica come ultimo Re ad aver regnato prima del diluvio che spazzò via ogni cosa. Il suo nome significa “colui che ha visto la vita”, in riferimento al dono dell’immortalità ricevuto dagli dei per essere sopravvissuto all’inondazione che quest’ultimi scatenarono sulla Terra per estinguere il genere umano. Il mito di Ziusudra è l’epica del diluvio più antica mai rinvenuta, anticipando di circa un secolo il racconto del diluvio contenuto nel poema paleobabilonese di Atrahasis. Il mito è conservato su una tavoletta di argilla incisa con caratteri cuneiformi che risale al periodo della I dinastia di Babilonia (1800 a.C circa), quando la lingua impiegata negli scritti religiosi e nei documenti amministrativi era ancora quella sumera. Sebbene il reperto risalga ad un momento tardo della cultura sumera, è senza dubbio la trasposizione letteraria di un mito arcaico. Questa tavoletta è stata denominata “Genesi di Eridu” siccome contiene anche una parte dedicata alla creazione. Ziusudra è l’eroe del diluvio che nella letteratura accadica prende il nome di Atrhasis, e che in quella Babilonese, più precisamente nell’Epopea di Gilgamesh classica, viene chiamato Utnampishtim. Il diluvio descritto nella letteratura mesopotamica ispirò successivamente la composizione del mito ebraico/cristiano di Noè contenuto nella Genesi biblica. Nell’arco dei secoli cambiarono i protagonisti, ma i contenuti dell’evento epico rimasero invariati.
Ciò che rimane della mitica città di Eridu in Iraq.
La prima parte del mito è dedicata alla fondazione delle prime città: Eridu, Bad-Tibira, Lars, Sippar, e Shuruppak. La prima città sulla quale venne fatta scendere la regalità dal cielo fu Eridu. Dopo una considerevole sezione di testo mancante si apprende che gli dei decisero di inviare un diluvio per distruggere l’umanità. Il dio Enki, signore delle acque dolci sotterranee, avvertì il sovrano di Shuruppak dell’imminente catastrofe, invitandolo a costruire una grande barca per potersi mettere in salvo. Il passaggio che contiene le istruzioni per la costruzione della barca è andato perso. Quando il testo riprende viene descritto il diluvio, una terribile tempesta che imperversò per sette giorni. Al termine del Diluvio, Utu (il dio del Sole sumero) si manifestò a Ziusudra, che a sua volta sacrificò un bue e una pecora in suo onore. Dopo un’altra sezione di testo mancante la narrazione riprende con Ziusudra chiamato al cospetto degli dèi Anu e Enlin, che gli fecero il dono dell’immortalità per essere scampato alla sentenza divina e per aver prolungato i giorni dell’uomo sulla Terra. Infine gli dei portarono Ziusudra ad abitare in Dilmun, il leggendario giardino dell’eden. Il resto del poema è andato perduto.
Traduzione della tavoletta che contiene il Mito di Ziusudra (Genesi di Eridu):
[…]
Cercherò di impedire la distruzione della mia umanità;
per Nintu, cercherò di fermare
il genocidio della mie creature!
Voglio che la gente torni alle terre da loro abitate.
Siano tutte le loro città ricostruite:
che la loro ombra sia riposante,
che i mattoni di tutte le città
siano collocati nei luoghi sacri,
che tutte le […] dimorino nei luoghi sacri.
“La pura acqua che spegne il fuoco
io porrò opportunamente colà.
Ho perfezionato le regole divine e i sublimi me:
nei luoghi che sono stati distrutti,
farò in modo che vi sia la pace.”
Dopo che An, Enlil, Enki e Ninhursag
Ebbero creato il popolo dalla testa nera
Gli animali si moltiplicarono per ogni dove,
animali di ogni taglia: i quadrupedi furono posti
come ornamento adatto alle pianure.
[…]
”Che io possa tenere in conto il loro diligente lavoro,
il muratore del paese possa gettare solide fondamenta.”
Quando lo scettro della regalità fu condotto giù dal Cielo,
dopo che l’augusta corona e il trono regale
furono condotti giù dal Cielo,
egli con determinismo perfezionò le regole divine
e i sublimi me
pose i mattoni di quelle città in luoghi sacri.
Diede loro dei nomi, stabilì le capitali.
La prima di quelle città, Eridu,
assegnò al signore Nudmmud;
la seconda, Bad-tibira,
l’assegniò alla “tuttasanta” (Innana);
la tersa, Larak, la diede Pabilsag;
la quarta Sippar,la diede al sublime Utu;
la quinta, Suruppak, la diede a Sud.
I nomi diede a queste città, stabilì le capitali.
Non arginò l’alluvione, ma scavò il suolo e incanalò l’acqua,
dispose la pulitura dei piccoli canali
e dei fossati per l’irrigazione.
[…]
Pianse allora Nintu sulle sue creature,
pianse la pura Innana a causa delle genti,
Enki si consigliò con il suo stesso animo.
An, Enlil, Enki e Ninhursag,
gli dei dell’Universo, giurarono sul nome di An e Enlil.
In quel tempo Zi-u-sud-rà era re e sacerdote di vaticini;
una capanna edificò
con devozione, con parole ben appropriate, con timore
Giorno dopo giorno, con regolarità, stava là;
qualcosa che non era un sogno sopraggiunse:
parole di un giuramento stipulato tra Cielo e Terra.
La loro opposizione portarono gli dei fino al Ki-ur-
Zi-u-sud-rà udì,stando sul lato,
stando sulla sinistra, del muro laterale
“Muro laterale, ti devo parlare!
Presta attenzione alle mie parole,
presta l’orecchio al mio avvertimento:
per nostra iniziativa un Diluvio sui luoghi di culto si abbatterà,
la progenie dell’umanità sarà annientata.
E’ una sentenza definitiva,
la decisione dell’assemblea (divina).
Per la parola detta da An,Enlil,Enki e Ninhursag,
nella regalità il periodo di governo avrà fine.
Adesso”
[…]
I venti maligni e i venti di tempesta
tutti insieme si adunarono:
il Diluvio sui culti imperversò.
Sette giorni e sette notti
Il Diluvio sul paese dilagò.
L’arca nel Diluvio il vento maligno sballottò.
Il sole uscì, gettando luce su cielo e terra.
Zi-u-sud-rà un’apertura fece nella grande arca
E il sole e i suoi raggi all’interno della grande arca gettò.
Zi-u-sud-rà, comportandosi da re,
si prostrò davanti al dio –Sole, baciando la terra.
Il re buoi sacrificò
E rese numerose le pecore (da sacrificio).
[…]
Lo scongiuro del soffio vitale del cielo
e del soffio vitale della terra invocate.
An ed Enlil, il soffio vitale del cielo
E il soffio vitale della terra vi sia d’aiuto.
La distruzione si allontana dalla terra, se ne va.
Zi-u-sud-rà, comportandosi da re,
si prostrò davanti ad An ed Enlil, baciando la terra.
An ed Enlil (a) Zi- u-sud-rà con la moglie
Vita (eterna), come un dio gli diedero.
A vita eterna, come un dio, lo elevarono.
Allora, Zi-u-sud-rà il re,
colui che aveva salvaguardato le progenie dell’umanità
nel momento della distruzione,
in un altro paese, nel paese di Dilmun,
dove sorge il dio-Sole, fecero vivere.