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Introduzione

L’adattamento dell’uomo ad un regime di vita pienamente sedentario ebbe inizio attorno al X millennio a.C. nelle regioni umide situate ai margini settentrionali del deserto siriano e della Mesopotamia, in un arco di cerchio che per convenzione è stato definito Mezzaluna Fertile. Le condizioni ambientali e climatiche che si andarono ad instaurare in quest’area geografica al termine dell’ultimo evento glaciale agevolarono la transizione tra la vita nomade e quella sedentaria e lo spontaneo sviluppo delle economie agricole, relegando le occupazioni di caccia e raccolta ad un ruolo sempre più marginale. Nelle regioni privilegiate della Mezzaluna Fertile crescevano spontaneamente i cereali e i legumi selvatici che si prestarono ad essere coltivati durante il neolitico (farro, frumento, orzo, ceci, piselli, lino e lenticchie), oltre a ciò esistevano nella loro forma selvatica quattro delle più importanti specie animali da allevamento (mucche, capre, pecore e maiali). L’uomo acquisì la capacità di produrre gli alimenti necessari alla propria sussistenza addomesticando le piante e gli animali selvatici e poco alla volta imparò a trasformare le risorse e a farne scorta istituendo i primi sistemi economici fondati sulla specializzazione del lavoro e sul baratto. Le società agricole emergenti occuparono in seguito i fertili bacini alluvionali, come in Mesopotamia, dove costruirono insediamenti che nel corso del tempo si strutturano diventando veri e propri agglomerati urbani legati da complesse interazioni culturali e commerciali. Questo lento processo di civilizzazione è stato definito “Rivoluzione neolitica”, una denominazione di uso comune ma spesso criticata in quanto incline a fraintendimenti. La transizione neolitica, infatti, non può essere spiegata con un semplice sistema cronologico di cause e conseguenze dato che quest’ultime spesso si confondono all’interno di quadro d’interazione quanto mai complicato. Gli albori di questo processo possono essere collocati con un buon grado di precisione all’interno di tre regioni geografiche circoscritte: lungo i versanti occidentali dei monti Zargos, nelle regioni pedemontane dell’Anatolia sud-orientale e nelle oasi naturali del Levante. Al contrario, le dinamiche di diffusione della cultura neolitica sono ancora al centro di complesse teorizzazioni; ogni ricostruzione deve infatti tenere conto di tutte le interazioni intercorse tra i numerosi nuclei culturali coinvolti in questo processo.

Secondo l’opinione dello storico francese Fernand Braudel, la rivoluzione neolitica fu una trasformazione dei comportamenti umani che non può essere inquadrata come un evento che “nasce” in una certa data e in un certo luogo e a tal proposito scrisse:

La “rivoluzione neolitica”, come ogni altro fatto autenticamente preistorico, è una rivoluzione al rallentatore, che a rilento dà i suoi primi frutti, si stabilizza, si estende. Le sue fasi si misurano in millenni, non ancora in secoli. Infine, non la si dovrebbe immaginare come una ricetta miracolosa scoperta una volta per tutte in Asia Anteriore e diffusasi in seguito, a poco a poco, in tutto il mondo. Rimane l’ipotesi che questa ricetta, completa o no, sia stata inventata in diversi punti del globo, indipendenti l’uno dall’altro. Forse sono esistiti, come dedusse Emili Werth da varie graminacee selvatiche e specie animali, numerosi centri autonomi di invenzione e diffusione.

Tratto da “Memorie del Mediterraneo”, Fernand Braudel, pag.59

Insediamenti della Mezzaluna Fertile nell’VIII millennio a.C., in nero i siti abbandonati prima del 7500 a.C.

 

La transizione tra la vita nomade e quella sedentaria

L’assestamento climatico post-glaciale portò all’instaurarsi di inverni miti e primavere piovose che determinarono la formazione di una fascia boschiva molto produttiva lungo i margini settentrionali del deserto siriano e della Mesopotamia. La dolcezza del clima agevolò la riproduzione delle piante e degli animali selvatici incrementando la quantità e la selezione delle risorse alimentare che la natura metteva a disposizione dell’uomo, tant’è che in alcuni casi il nomadismo non fu più necessario poiché il territorio insediato poteva soddisfare i bisogni nutrizionali dell’uomo in ogni momento dell’anno. Questa condizione privilegiata agevolo l’evoluzione di molti nuclei culturali della Mezzaluna Fertile ma descriverli tutti nel dettaglio non sarebbe utile al fine di questa ricerca pertanto mi limiterò ad esporre l’avvento della cultura neolitica attraverso i dati raccolti durante gli scavi del sito di Tell-el Sultan; senza dimenticare che esistettero diversi centri di sviluppo e che le datazioni locali relative all’introduzione delle principali innovazioni neolitiche differiscono sensibilmente a seconda dei siti esaminati.

Il fiume Giordano scorre verso sud seguendo la depressione tettonica che delimita il confine tra Giordania e Cisgiordania, per poi sfociare all’interno del Mar Morto, il bacino endoreico più profondo al mondo. I cacciatori-raccoglitori del Paleolitico percorsero questo ambiente relativamente arido fin dai tempi più antichi, spostando la posizione dei loro accampamenti in maniera periodica per seguire le migrazioni stagionali degli animali selvatici e per approfittare dei frutti spontanei della natura nei luoghi e nei momenti più opportuni. Questo regime di sussistenza durò fino alla scoperta di un’oasi fertile e produttiva che poteva offrire piante, frutti e selvaggina in ogni stagione dell’anno. Alla fine del X millennio a.C. un nucleo di uomini piantò radici in questa regione privilegiata situata nelle vicinanze della moderna città di Gerico, costruendo accampamenti stabili che nel corso del tempo vennero sostituiti con vere e proprie abitazioni di fango e pietra; quando quest’ultime non furono più adatte ad ospitare una società che cresceva e si strutturava ne costruirono di nuove sulle macerie di quelle precedenti, innumerevoli volte nell’arco di novemila anni.

Tell-el Sultan

La ripetuta sovrapposizione di complessi abitativi ha creato Tell-el Sultan, una collinetta artificiale composta da fango, pietra e limo. L’accumulo di materiali edili e la conseguente erosione determinata dagli eventi atmosferici si verificò ripetutamente nell’arco di migliaia di anni, offrendo ai ricercatori di oggi una situazione archeologica privilegiata; gli strati accumulati nel sito di Tell-el-Sultan rivelano infatti la sequenza cronologica delle attività umane svolte nel sito, documentando l’evoluzione tecnologica e sociale avvenuta all’alba della civiltà e oltre, dal paleolitico superiore ai tempi più recenti. Tell-el Sultan non è l’unico esempio di questo genere, il fenomeno dei tell (“collina” in arabo) ha interessato decine di centri abitati della Mezzaluna Fertile, restituendo al presente i resti stratificati di numerosi villaggi mesolitici e neolitici. I dati raccolti dimostrerebbero tuttavia che non esiste un modello unico di “transizione neolitica” e che ogni sito presenta peculiari caratteristiche di sviluppo e diffusione.
Gli scavi più profondi realizzati a Tell-el Sultan hanno portato alla luce un insediamento costituito da abitazioni circolari di mattoni crudi e pietrisco, oltre agli strumenti litici utilizzati durante le attività di caccia e raccolta. La transizione tra la vita nomade e quella sedentaria avvenuta Tell-el Sultan non fu un evento isolato e nemmeno il primo caso della storia; questo regime di sussistenza pre-agricolo, caratterizzato da uno stile di vita sedentario sostenuto esclusivamente dalle attività di caccia e raccolta fu tipico dalla cultura natufiana, una cultura mesolitica diffusa lungo le coste orientali del Mar Mediterraneo già a partire dal XII millennio a.C.
Il periodo natufiano può essere interpretato come un mero collegamento tra il Paleolitico superiore e il neolitico antico dato che l’adozione di una dimora fissa determinò l’incremento della collaborazione sociale e l’accentramento dei convincimenti spirituali e mistici.

In Siria l’occupazione stabile del sito di Mureybetad è stata datata all’XII millennio a.C., dunque anticipa di circa duemila anni quella di Tell-el Sultan. In Giordania, invece, la prima occupazione stabile del sito di Behidha avvenne attorno all’XI millennio a.C. Lungo la costa del Mediterraneo, nei siti di El Wad e Nahal Oren, la transizione alla vita sedentaria fu ancor più precoce, mentre dal sito natufiano di Tell Abu Hureyra provengono le tracce di un sistema proto-agricolo basato sulla coltivazione della segale che anticipa l’esordio della cultura neolitica dei cereali.

 

Domesticazione delle piante

mortaio di pietra nelitico

A Tell-el Sultan la coltivazione delle piante, in particolare quella dell’orzo e del frumento, divenne un’attività primaria soltanto tra 8.500 e il 7.500 a.C. In altri siti del Levante lo sviluppo dell’agricoltura fu decisamente più precoce, ad esempio in Siria, nei siti di Tell Aswad e Mureybet, dove sono emerse le tracce di alcuni modelli agricoli che risalgono ad un epoca compresa tra 9.500 e l’8.700 a.C.
Per anni si è creduto erroneamente che l’adattamento dell’uomo ad uno stile di vita sedentario fosse avvenuto simultaneamente all’introduzione delle prime attività agricole ma le indagini più recenti hanno invece dimostrato il contrario, ovvero che l’agricoltura e sui vantaggi furono scoperti in seguito allo sviluppo dei primi insediamenti stabili.
I fattori che favorirono l’introduzione delle attività agricole a scapito delle mansioni di caccia e raccolta non sono chiari; sta di fatto che le società stanziali scoprirono, forse per caso, che alcuni terreni permettevano lo sviluppo delle piante, indipendentemente dal fatto che il seme fosse stato piantato dall’uomo o dalla natura. Nell’arco di molto tempo vennero selezionate le piante migliori, ottenendo controparti domestiche superiori alle forme selvatiche per qualità e rendimento. La selezione delle piante più adatte ad essere coltivate, invece, avvenne probabilmente in maniera inconsapevole, raccogliendo gli esemplari che producevano i semi più grandi e le spighe di cereali intere. Le mutazioni delle piante selvatiche verso la loro forma domestica fu oltremodo favorita dalle pratiche di coltivazione dato che le operazioni di semina andarono ad annullare gli svantaggi riproduttivi delle piante che producevano i semi più grandi. L’introduzione delle attività agricole determinò una rapida trasformazione dei villaggi neolitici, che si strutturarono con belle case rotonde di mattoni crudi su fondamenta di pietra, con spazi dedicati alle tecniche speciali, silos per lo stoccaggio dei prodotti e cisterne. Il perfezionamento delle tecniche agricole e la conseguente produzione di eccedenze alimentari andarono infine a modificare l’organizzazione economica dei villaggi, permettendo lo sviluppo di nuove attività artigianali e commerciali dato che le scorte di cibo potevano garantire al sostentamento dell’intera popolazione, anche a quello di coloro che non erano impiegati nell’ambito della produzione alimentare. Parallelamente allo sviluppo urbano iniziarono a circolare moltissimi prodotti pregiati: comparve il sale, lo zolfo e il bitume del Mar Morto, la nefrite e altre rocce vulcaniche dell’Anatolia, i turchesi del Sinai e le conchiglie del Mar Rosso. Questi indizi dimostrano che accanto allo sviluppo della “cultura dei cereali” si ebbe anche una “rivoluzione della circolazione” e lo sviluppo di vere e proprie attività commerciali.

 

Sviluppo della cultura materiale e del pensiero metafisico.

Con la sedentarietà avvenne uno sviluppo esponenziale della cultura materiale. Il controllo esercitato sulla proprietà permise di possedere di un maggior numero di beni personali, incoraggiando la produzione e l’accumulo di oggetti in grado di riflettere nella forma e nel significato i gusti e le concezioni dell’uomo. La primitiva esigenza di spostarsi continuamente soffocò la vena artistica dell’uomo per migliaia di anni, limitando la produzione manifatturiera allo stretto necessario. Sebbene esistessero concezioni religiose paleolitiche, raramente si traducevano in una produzione artistica per problemi d’ingombro dal momento che era sconveniente impiegare risorse, in termini di tempo e fatica, nella produzione di oggetti che prima o tardi si sarebbero dovuti abbandonare. Un cacciatore-raccoglitore del paleolitico era costretto a percorrere enormi distanze per sopperire al proprio bisogno alimentare, perciò poteva trasportare soltanto pochi oggetti personali, perlopiù armi e utensili da impiegare durante le attività necessarie alla sopravvivenza. Le “veneri paleolitiche” rappresentano pertanto una straordinaria eccezione a questa condizione e dimostrano quanto il pensiero magico-religioso (o propiziatorio) fosse radicato e diffuso fin dai tempi più antichi tra le società nomadi del paleolitico. Nello specifico si tratta di statuette di piccole dimensioni ottenute lavorando la pietra o le ossa animali, che raffigurano il corpo femminile accentuando il dimorfismo sessuale. Scoperte recenti, come nel caso della venere di Tan-Tan, sembrano poter collocare l’orizzonte cronologico di questo fenomeno ad un’epoca compresa tra i 500.000 e 300.000 anni fa, dunque ad un tempo antecedente a quello che vide la comparsa dell’Homo Sapiens in Africa centro-meridionale.
Il conseguimento di un regime di vita sedentario favorì lo sviluppo di un pensiero filosofico e scientifico più profondo, orientato a soddisfare l’umano desiderio di comprendere il perché delle cose. Tuttavia, l’incapacità di concepire i principi scientifici che stanno alla base dei processi naturali, spinse il pensiero umano oltre i limiti contingenti dell’esperienza sensibile dando forma alle prime narrazioni metafisiche complesse e alla prime cosmogonie. La necessità di centralizzare queste credenze e di conservale, fece sorgere all’interno dei villaggi i primi monumenti di pietra. Nel sito di Tell-el Sultan, il livello più antico in cui si pensa di riconoscere i resti di un santuario è stato datato con il metodo del carbonio 14 al 9.500 a.C.. Alle origini della sedentarizzazione, e ben prima che gli animali e le piante fossero addomesticati, comparvero nei villaggi ampi spazi dedicati alle attività rituali e statuette connesse ai culti praticati, ma esiste un eccezione a questa regola troppo importante per non essere citata.

Santuario di Gobekli tepe

Gobekli Tepe è un sito archeologico ubicato nell’odierna Turchia a circa 20 chilometri dalla città di Şanlıurfa, non distante da confine siriano. Gli scavi del sito sono iniziati nel 1995 e hanno portato alla luce i resti di un monumentale santuario di pietra, le cui parti più antiche sono state datate al 9.500 a.C.. La sua erezione dovette obbligatoriamente interessare centinaia di persone ma nelle aree limitrofe non è stata trovata traccia di agglomerati urbani, soltanto resti materiali riconducibili ad un’occupazione stabile non urbanizzata, il che fa supporre che una società di cacciatori raccoglitori stanziale, ma segmentata, si adoperò per realizzare santuari circolari con muri di pietra a secco e per erigere imponenti pilastri che potessero accentrare le concezioni religiose di una società ampia. Anni di ricerche archeologiche in Medio Oriente portarono alla ferma convinzione che i luoghi di culto comparvero in seguito allo sviluppo dei primi agglomerati urbani, mentre la scoperta di Goblekli Tepe ha cambiato le carte in tavola mostrandoci il prodotto di un convincimento spituale profondo e radicato che precede lo sviluppo dei primi centri urbani basati sulla specializzazione del lavoro e sulla stratificazione sociale.
Indubbiamente l’acquisizione di una dimora fissa e lo sviluppo di insediamenti urbani coesi ha rafforzato il legame dell’uomo con le sue divinità dando vita ad un fenomeno, che l’archeologo britannico Colin Renfrew, citando le osservazioni di illustri colleghi, ha definito “materializzazione delle figure metafisiche”:

“il culto degli dèi indusse la gente a raccogliersi in gruppi sociali più ampi per compiere i rituali religiosi. Possiamo anche aggiungere che, per rivelarsi veramente efficaci, queste divinità, per essere davvero tali, dovevano assumere una qualche forma materiale affinché la loro presenza concreta potesse facilitare i rituali e, al contempo, agire da fulcro delle pratiche religiose. Elizabeth Marrais e i suoi colleghi parlano di un processo di <<materializzazione>>, attraverso cui, secondo quanto sostengono, i simboli assumono una forma materiale e intensificano la loro influenza. La lunga vita delle credenze religiose è agevolata dal loro permanente incarnarsi in forme materiali.

tratto da Preistoria, L’alba della mente umana, di Colin Renfrew, pag.155

La convivenza sociale andava ben oltre al semplice risiedere in abitazioni adiacenti e implicava la condivisione di pratiche rituali. Le tracce più significative si possono trovare nelle sepolture dato che la maniera di trattare i corpi dei defunti all’interno di un coeso nucleo sociale tende sempre a seguire concezioni e pratiche rituali comuni.
Elencarle tutte sarebbe inopportuno dunque mi limiterò a citare i resti di 491 individui di giovane età e i crani rivestiti di stucco ritrovati all’interno dell’abitato preceramico di Gerico, in parte perché ho scelto di ripercorrere le fasi della rivoluzione neolitica attraverso la descrizione di questo sito archeologico e in parte per il fatto che questi rinvenimenti dimostrano quanto potesse essere variegato il pensiero magico-religioso e il rapporto con la morte sviluppato da queste prime società neolitiche. L’età media dei defunti, decisamente troppo bassa per poter rappresentare lo schema della mortalità della popolazione di Gerico, e l’insolita manipolazione dei crani, suggeriscono l’idea che l’area del ritrovamento fosse un luogo di sepoltura privilegiato. In merito a questi eccezionali ritrovamenti l’archeologo Klaus Schmidt ha scritto:

“Senza perdersi in illazioni, ci si può chiedere ancora se nel caso dei defunti seppelliti a Gerico non ci troviamo di fronte addirittura a sacrifici umani, mentre i “normali” morti trovavano altrove il loro estremo riposo. Quanto bizzarro potesse essere il rapporto con la morte, che alla fine può essere interpretato solamente in quadro di tipo culturale, è ben esemplificato dai più spettacolari reperti di Gerico, e cioè dai crani rivestiti di stucco. Ad una parte dei crani deposti isolatamente rispetto al resto del corpo era stata infatti restituita la “carne”. Il volto veniva rimodellato per mezzo di argilla o gesso e conchiglie sostituivano spesso gli occhi. Sulle guance e sulla fronte si trovavano non di rado pitture. E’ oggetto di discussione se gli uomini di allora si siano affaticati nel tentativo di riprodurre realisticamente il volto del defunto, se abbiano ciò provato a rimodellare a mo’ di ritratto la fisionomia, o se tendessero solamente alla rappresentazione di un tipo ideale. Questo modo di trattare i crani non è attestato nello strato neolitico Pre-ceramico più antico, rimanendo circoscritto, almeno per quanto ne sappiamo ora, allo strato più recente. Crani rivestiti di stucco non si trovano comunque solo a Gerico, ma anche in un altro sito (Ain Ghezal).

tratto da Costruirono i primi templi 7000 anni primi delle piramidi, di Klaus Schmidt pag.44

Sviluppo edile

Un’altra conseguenza rilevante della Rivoluzione neolitica è rappresentata dallo sviluppo di massicce costruzioni di pietra e fango secco. Gli scavi di Tell-el Sultan hanno portato alla luce i resti di una fortificazione dell’VIII millennio a.C., che oltre ad essere indice di una considerevole organizzazione sociale, testimonia la precoce necessità di difendere la proprietà, gli oggetti personali e le risorse alimenta conseguite. All’interno delle mura di Gerico fiorì una comunità neolitica molto organizza, capace di dar vita ad una complessa società agricola caratterizzata da un’elevata divisione interna del lavoro. Ciò nonostante Il villaggio neolitico venne abbandonato attorno al 7.500 a.C. per motivi sconosciuti, per poi essere ripopolato pochi secoli più tardi quando un nuovo nucleo di edifici urbani venne costruito sulla superficie erosa, costituita dai materiali edili “disciolti” della fase precedente. Le case acquisirono una forma rettangolare e furono realizzate alzando muri di mattoni crudi su fondamenta di pietra

 

Domesticazione degli animali

Le analisi sui resti faunistici recuperati a Tell-el Sultan permettono di datare i primi tentativi di rendere in cattività la pecora i tra 8.500 e 7.500 a.C., ma per documentare la completa domesticazione dei caprovini, bisogna risalire ad uno strato superiore compreso tra il 7.500 a.C. e il 6.000 a.C.. L’esperienza maturata dall’aver ridotto in cattività pecore e capre incoraggiò poi la domesticazione dell’uro, un grande bovino estinto diffuso in Medio Oriente e in Europa.
Determinate caratteristiche fisiche e comportamentali fanno sì che ovini e bovini possano essere addomesticati più facilmente rispetto a molte altre specie animali. Questi mammiferi hanno un’indole relativamente docile e non fuggono difronte ai minimi segnali di pericolo, inoltre sviluppano facilmente un sentimento di confidenza nei confronti dell’uomo. Questi animali preferiscono vivere in branco e non seguono rituali di accoppiamento complessi. L’allevamento di bovini e ovini si presta inoltre ai ritmi di vita dell’uomo dato che hanno una gestazione abbastanza veloce e i piccoli raggiungono rapidamente la taglia degli esemplari adulti. La domesticazione non è un fatto scontato, può avvenire con successo soltanto con un numero ristretto di specie animali e nella Mezzaluna Fertile convivevano quelli più adattabili a questo processo. La domesticazione non fu semplice perché lo choc della cattività è normalmente causa di malattie degenerative e d’infertilità, perciò il processo deve essere avvenuto obbligatoriamente per gradi, incrociando gli animali già addomesticati con i corrispettivi selvatici fino al conseguimento di una popolazione pienamente domestica.  Altre specie erbivore come i daini e cervi che popolavano in gran numero l’Europa centrale non si prestarono mai ad essere addomesticati a causa dei loro complessi rituali di accoppiamento.
L’utilizzo degli erbivori come fonte alimentare si dimostrò molto vantaggiosa perché la dieta di questi mammiferi non entrava in competizione con quella dell’uomo e l’apporto energetico fornito delle carni è superiore a quella che si può ricavare dagli animali carnivori in virtù del fatto che i principi nutritivi si riducono di circa un decimo per ogni passaggio di livello trofico.

E’ durante la rivoluzione neolitica che sono state gettate le fondamenta della civiltà.

fonti:
Memorie del Mediterraneo, Fernand Braudel
Ritorno a Gerico, scavare tra archeologia e leggenda, articolo di Lorenzo Nigro pubblicato su Archeo, attualità del passatoCostruirono i primi templi 7000 anni primi delle piramidi, Klaus Schmidt
Preistoria, L’alba della mente umana. Colin Renfrew
La domesticazione degli animali. Franco Malossi

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Divulgatore storico esperto in archeoastronomia.
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