– Questo testo appartiene a Civiltà eterne.it –
Lo sviluppo della scrittura cuneiforme fu una conseguenza dell’urbanizzazione. Non è un caso che i più antichi esempi di scrittura cuneiforme siano stati rinvenuti tra i resti dell’antica città sumera di Uruk. Durante il IV millennio a.C. Uruk divenne una città, la prima della storia a potersi definire tale in virtù dell’elevata stratificazione sociale e della specializzazione del lavoro. Il centro urbano arrivò a contare una popolazione di 80.000 abitanti distribuiti in soli 6 chilometri quadrati e questo contesto fece sorgere moltissime attività che per essere controllate e sfruttate a livello economico su tutto il territorio necessitavano di un sistema di controllo indiretto. A questo scopo nell’arco di un periodo relativamente breve vennero introdotti pesi di misura, recipienti standard e segni grafici con i quali si potevano compilare elenchi delle attività commerciali e dei prodotti per tenerne il conto. La protoscrittura sumera non permetteva di riportare ogni qualsivoglia pensiero e il contenuto dei testi si limitava alla compilazione di elenchi schematici, ma dopo un certo periodo di sviluppo diventò possibile scrivere tutte le informazioni desiderate. Prima della scrittura il sapere e l’identità culturale di un popolo venivano tramandati oralmente e il mito svolgeva una funzione formativa. Con l’introduzione della scrittura diventò possibile fermare un’informazione e trasferirla nel tempo e nello spazio immutata e grazie a questa invenzione ebbe inizio anche la storia.
“Enmerkar e il signore di Aratta” è un antico poema sumero che descrive l’invenzione della scrittura, una conquista dell’ingegno umano tra le più importanti nella storia dell’uomo. Questo racconto epico attribuisce l’invenzione a Enmerkar (forse il nonno di Gilgamesh), il mitico re sumero che fondò la città di Uruk. Enmerkar viene nominato anche nella Lista reale sumerica, un’elenco che antepone alle comprovate dinastie storiche la lista dei re mitici che governarono la Bassa Mesopotamia dopo il diluvio. Sebbene la reale esistenza di questi re/governatori non è documentata, non è da escludere il fatto che siano realmente esistiti in un lontano passato e che il loro mito sia lo sbiadito ricordo di una realtà storica precedente all’invenzione della scrittura. Il primo re sulla lista la cui esistenza storica è stata dimostrata da effettivi ritrovamenti archeologici è Enmebaragesi di Kish (circa 2700 a.C.).
Il poema è composto da 636 righe, il primo di un ciclo in cui si narra del conflitto, probabilmente reale, che contrappose la città di Uruk a quella di Aratta (Aratta non è ancora stata localizzata con certezza, ma probabilmente sorgeva sui monti iranici). Il poema non descrive scontri armati, bensì l’andirivieni di un messaggero che trasmetteva il pensiero dei due sovrani. Il volere di Enmerkar di Uruk era quello di sottomettere Aratta al suo dominio, ma dovette scontrasi con l’opposizione dell’innominato sovrano di Aratta. Il problema della sovranità si intrecciava con proposte di scambi commerciali, tra le granaglie di cui Uruk era ricca e il legname e le pietre dure di cui era provvista la regione di Aratta. Enmerkar faceva pervenire i suo messaggi al sovrano di Aratta tramite un messaggero che li ripeteva a voce davanti al destinatario. Venne però un momento in cui la contrattazione si fece talmente complessa che il messaggero si dimostrò incapace di tenere a mente il lungo e complicato discorso che il suo sovrano voleva recapitare al suo interlocutore. Il testo riporta:
“Il messaggero aveva la lingua pesante, non era capace di riportare il messaggio;
poiché il messaggero aveva la lingua pesante e non era capace di riportare il messaggio,
il Signore di Kullab (Uruk) impastò l’argilla e vi incise le parole come in una tavoletta;
– prima nessuno aveva mai inciso parole nell’argilla –
Ora, quando il dio Sole risplende, ciò fu manifesto:
le parole che il signore di Kulab (Uruk) aveva inciso come in una tavoletta, divennero visibili.
Dopo l’invenzione della scrittura il messaggero prese la tavoletta e si presentò davanti al sovrano di Aratta.
Enmerkar, il figlio del Sole, mi ha consegnato una tavoletta di argilla;
o Signore di Aratta, esamina la tavoletta, prendi il cuore della sua parola;
ordinami ciò che debbo riferire riguardo al messaggio ricevuto.
Il Signore di Aratta dall’araldo prese la tavoletta lavorata artisticamente;
il Signore di Aratta scrutò la tavoletta:
– la parola detta ha forma di chiodo, la sua struttura trafigge –
il signore di Aratta scruta la tavoletta lavorata artisticamente.
Prima dell’invenzione della scrittura era l’orecchio a ricevere il messaggio, successivamente fu l’occhio a svolgere questa funzione. La metafora usata dall’autore del poema è molto poetica: “la parola scritta”, appunto perché a forma di “chiodo”, è atta a trafiggere l’occhio, quasi fosse un’arma, penetrando così nella mente dell’interlocutore. Il chiodo non solo è lo strumento con il quale veniva inciso il testo sull’argilla ma è anche la forma più appropriata per colpire il nuovo organo adibito a ricevere il messaggio.