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La prima piramide della storia egizia fu realizzata nella necropoli di Saqqara nel corso della III dinastia (2660 a.C. circa). Venne costruita al centro del complesso funerario dedicato a Djoser aggiungendo al di sopra della màstaba originaria altri cinque livelli di grandezza decrescente al fine di sviluppare il monumento funebre verso l’alto. L’usanza di tumulare i defunti affonda le sue radici nella preistoria e nacque dal bisogno di proteggere le salme dall’assalto degli animali saprofagi. Col passare del tempo le salme vennero seppellite a profondità sempre maggiori, mentre i tumuli assunsero gradualmente un aspetto monumentale. Durante il periodo predinastico l’accesso agli ambienti funerari ipogei veniva coperto con un grande tumulo di pietra rettangolare chiamato “màstaba”. L’evoluzione di questa struttura tronca verso una forma piramidale fu dettata probabilmente dalla necessità di stabilire un collegamento simbolico tra il defunto e i luoghi celesti a cui la sua anima era destinata. L’introduzione di questa architettura funeraria inedita fu attribuita all’architetto reale Imhotep, merito per il quale venne ricordato e divinizzato per tutti i secoli a venire.
Nel cuore della piramide non ci sono stanze, tutti gli ambienti funerari furono scavati nel sottosuolo roccioso prima che la piramide fosse edificata. L’esploratore Girolamo Segato riuscì ad entrare nella camera sepolcrale nel 1821, ma la trovò già violata.
Vennero recuperati solo pochi oggetti, tra cui una maschera funeraria e un piede della mummia, ma anche questi andarono perduti durante il naufragio occorso alla nave che li stava trasportando in Germania. Durante le successive esplorazioni furono trovati altri pozzi, gallerie e cunicoli scavati nella roccia e persino un deposito di mummie della famiglia reale.
L’entrata del sepolcro si trova sul lato nord e conduce ad un pozzo verticale molto largo e profondo, un tempo sbarrato con un macigno di 3 tonnellate (fig.2). In fondo al pozzo, a circa 30 metri di profondità, si trova la camera sepolcrale, un ampio ambiente ipogeo rivestito con pesanti lastre di granito rosa. Dal grande pozzo verticale partono quattro gallerie orientate verso i punti cardinali che conducono a diversi ambienti e tra questi vi sono i famosi appartamenti “blu”, così chiamati per via del prezioso rivestimento parietale realizzato con preziose ceramiche bianche e turchesi (fig.3). All’interno di questi ambienti si trovano tre panelli di calcare decorati con la figura in rilievo del faraone Djoser (fig.3 e 4).
Tutti i rilievi celebrano l’eterna regalità del faraone defunto, concetto fissato dall’immagine di un falco che vola sulla testa di Djoser stringendo tra gli artigli il simbolo dell’eternità “shen”. Tra gli altri simboli i più importanti ci sono quelli alla destra del faraone, il simbolo della vita“ankh” e lo scettro delle divinità “uas”, entrambi rappresentati in versione semi umanizzata mentre sorreggono dei ventagli con le braccia. A sinistra del volto di Djoser è rappresentato il “serekht”, una cornice rettangolare che contiene i simboli geroglifici che compongono il nome del sovrano, in questo caso “Netjerykhet”. Il collegamento con il secondo sovrano della III dinastia fu possibile soltanto nel 1889 quando venne rinvenuta la “Stele della carestia”, un’epigrafe di epoca tolemaica scritta in caratteri geroglifici ritrovata sull’isola di Sehel vicino ad Assuan. L’epigrafe riporta i nomi del secondo sovrano della III dinastia Netjerykhet Djoser e del suo sommo consigliere e ingegnere Imhotep, attribuendogli il merito di aver placato una terribile carestia che afflisse l’Egitto per sette lunghi anni.
All’interno di una galleria furono rinvenuti moltissimi vasi e piatti appartenuti alle famiglie reali della I e II dinastia e alcuni addirittura precedenti. Alla base della piramide vi sono 11 pozzi verticali, dal cui fondo partono altrettante gallerie nelle quali vennero trovate ulteriori mummie della famiglia reale e molti manufatti. Essendo crollato il soffitto delle gallerie, i reperti integri recuperati furono solo qualche centinaio su un totale di 36.000 oggetti inventariati.
Il “serdab” si trova all’esterno della piramide, vicino al tempio settentrionale. Gli egizi credevano che il Ka del defunto si staccasse dal corpo dopo la morte e che superasse i confini del mondo fisico per sottoporsi al giudizio di Osiride nel Regno dei morti. Credevano che il Ka avesse bisogno di essere nutrito con offerte di cibo per continuare a vivere nell’aldilà e per questo motivo alcune tombe egizie avevano un ambiente pubblico, chiamato “serdab”, destinato a contenere una statua del defunto. Il serdab era provvisto di un foro (o finestra) che oltre a permettere l’introduzione di offerte lasciavano all’anima del defunto la possibilità di andare e venire liberamente.
Manuel Bonoli
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