Parziale ricostruzione del tetto di un’abitazione natufiana nel sito di Beidha, Giordania. fonte  immagine. Copyright Michael D. Gunther

Il fiume Giordano scorre verso sud seguendo la depressione tettonica che delimita il confine tra Giordania e Cisgiordania, per poi sfociare all’interno del Mar Morto, il bacino endoreico più profondo al mondo. I cacciatori-raccoglitori del Paleolitico percorsero questo ambiente relativamente arido fin dai tempi più antichi, spostando la posizione dei loro accampamenti in maniera periodica per seguire le gazzelle selvatiche e altri animali durante le loro migrazioni stagionali e per approfittare dei frutti spontanei della natura nei luoghi e nei momenti più opportuni. Questo regime di sussistenza perdurò fino allo sviluppo di oasi fertili e produttive, ricche di foraggio in ogni stagione dell’anno. Nel X millennio a.C. alcuni nuclei di uomini piantarono radici in questi luoghi privilegiati, costruendo accampamenti stabili che nel corso del tempo vennero sostituiti con vere e proprie abitazioni di fango e pietra; quando quest’ultime non furono più adatte ad ospitare una società che cresceva e si strutturava ne costruirono di nuove sulle macerie di quelle precedenti, innumerevoli volte nell’arco di novemila anni. La ripetuta sovrapposizione di complessi abitativi ha creato Tell es-Sultan, una collinetta artificiale composta da fango, pietra e limo. L’accumulo di materiali edili e la conseguente erosione determinata dagli eventi atmosferici si verificò ripetutamente nell’arco di migliaia di anni, offrendo ai ricercatori di oggi una situazione archeologica privilegiata; gli strati accumulati nel sito di Tell-el-Sultan rivelano infatti la sequenza cronologica delle attività umane svolte nel sito, documentando l’evoluzione tecnologica e sociale avvenuta all’alba della civiltà e oltre, dal paleolitico superiore ai tempi più recenti. Tell-el Sultan non è l’unico esempio di questo genere, il fenomeno dei tell (“collina” in arabo) ha interessato decine di centri abitati della Mezzaluna Fertile, restituendo al presente i resti stratificati di numerosi villaggi mesolitici e neolitici.
Gli scavi più profondi realizzati nel sito di Tell es-Sultan hanno portato alla luce i resti di un insediamento stabile del 9500 a.C. attribuito alla cultura natufiana e gli strumenti litici utilizzati suoi abitanti durante le attività di caccia e raccolta. Questa cultura mesolitica, diffusa dalle coste del Levante al Medio corso dell’Eufrate, si distingue nettamente da quelle epipaleolitiche nomadi che la precedettero per la tendenza a risiedere permanentemente nello stesso luogo.

Abitazione natufiana. fonte immagine. Copyright  Anton Ivanov / Shutterstock

Il natufiano è dunque l’epoca cerniera durante la quale si andò a compiere la prima transizione tra la vita nomade e quella sedentaria, preparando i presupposti per la rivoluzione neolitica, intesa come il processo nel corso del quale le comunità umane sono passate dalla predazione alla produzione di sussistenza. L’adozione di una dimora fissa fu determinata dalla presenza di risorse alimentari sufficienti e ripartite nell’arco di tutto l’anno, a tal punto da rendere inutili gli spostamenti stagionali ma anche da una trasformazione socio-cognitiva costruita mentalmente.
Le prime abitazioni rinvenute mostrano ambienti circolari semi-interrati che si allungano in corrispondenza dell’ingresso assumendo una forma che è stata definita “ad utero”. Esse sono costituite da una base di pietrisco, da pali di legno infissi nel terreno lungo tutto il perimetro e da pareti realizzate con canne e fango, l’interno è invece rivestito con un intonaco di gesso che dal pavimento risale sulle pareti senza soluzione di continuità creando un morbido profilo concavo dipinto con ocra rossa o gialla. Gli strati d’intonaco che si sono potuti osservare mostrano ripetuti rifacimenti di valenza rituale: all’interno dell’intonaco furono infatti inseriti semi o frutti combusti e resti di animali selvatici per propiziale la prosperità del nucleo famigliare. Questa casa, rotonda e senza finestre, dipinta con l’ocra rossa, rappresenta la casa dove siamo nati tutti, l’accogliente e protettivo ventre di una madre. Le prime abitazioni ad essere fabbricate dall’uomo mostrano pertanto una chiara continuità ideologica con la concezione paleolitica del rifugio in grotta, ovvero quella di trovare riparo all’interno del ventre protettivo della Madre Terra. (Lorenzo Nigro, 2019)

 

fonte immagine in testata:http://www.art-and-archaeology.com/ Copyright Michael D. Gunther

fonti:
“Gerico, la rivoluzione della preistoria” di Lorenzo Nigro, MAPG-Edizioni <<il Vomere>>, 2019. Pag.36-37-38
“Ritorno a Gerico, scavare tra archeologia e leggenda”, Lorenzo Nigro, pubblicato su Archeo, attualità del passato
“Nascita delle divinità. Nascita dell’agricoltura. La rivoluzione dei simboli nel Neolitico” di Jacques Cauvin, 2010 Editoriale Jaka Book. (prima edizione italiana 1997. Traduzione di Marco Fiorini
Titolo originale “Naissance des divinitè. Naissance de l’agricolture. La révoution des symboles au Néolithique”, 1994 CNRS Editions, Paris

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Divulgatore storico esperto in archeoastronomia.
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