introduzione

L’adattamento dell’uomo ad un regime di vita pienamente sedentario ebbe inizio attorno al X millennio a.C. in Medio Oriente, nelle regioni elevate e umide situate ai margini settentrionali del deserto siriaco e della Mesopotamia, in un arco di cerchio che per convenzione è stato definito Mezzaluna Fertile. Le condizioni ambientali e climatiche che si crearono in quest’area geografica al termine dell’ultimo evento glaciale agevolarono il graduale e spontaneo sviluppo delle economie agricole, relegando le occupazioni di caccia e raccolta ad un ruolo sempre più marginale. Nelle regioni pedemontane della Mezzaluna Fertile, come i versanti occidentali dei Monti Zargos e i rilievi dell’Anatolia meridionale e del Levante, crescevano spontaneamente i cereali e i legumi selvatici che si prestarono ad essere coltivati durante il neolitico (farro, frumento, orzo, ceci, piselli, lino e lenticchie), oltre a ciò esistevano nella loro forma selvatica quattro delle più importanti specie animali da allevamento (mucche, capre, pecore e maiali). L’uomo, in queste regioni privilegiate, acquisì la capacità di produrre gli alimenti necessari alla propria sussistenza addomesticando le piante e gli animali selvatici e poco alla volta imparò a trasformare le risorse e a farne scorta creando i primi sistemi economici fondati sulla specializzazione del lavoro e sul baratto. Gli agricoltori neolitici occuparono poi le fertili pianure alluvionali del Medio Oriente, come in Mesopotamia, dove misero a cultura enormi appezzamenti di terreno e dove costruirono insediamenti che nel corso dei tempo si strutturano diventando veri e propri agglomerati urbani caratterizzati da significative stratificazione sociali, da elevate specializzazioni del lavoro e da complesse interazioni pubbliche e commerciali.

In Europa la transizione neolitica non fu altrettanto spontanea e non si concretizzò fin quando non furono introdotti nel continente i prodotti e le innovazioni fondamentali della rivoluzione neolitica. Ciò avvenne grazie all’azione dei colonizzatori neolitici dell’Asia Minore e del Levante e alle interazioni culturali e commerciali che essi stabilirono con i gruppi mesolitici dell’Europa sud-orientale; ma i contatti non furono immediati. Le catene montuose dell’Anatolia ostacolarono per molto tempo i circuiti di scambio intercontinentali, mentre la navigazione nel Mediterraneo necessitò di un lungo periodo di apprendimento prima che si potesse inaugurare l’epoca dei commerci marittimi e dei grandi flussi coloniali. La situazione mutò soltanto nel corso del VII millennio a.C. con il moltiplicarsi dei viaggi in mare aperto e con l’approdo di natanti levantini sulle coste del Mediterraneo centrale (corrente di diffusione mediterranea). In seguito, l’aumento demografico in Anatolia e la ricerca di nuove terre coltivabili indirizzarono gli agricoltori neolitici verso le pianure alluvionali dei Balcani orientali (corrente di diffusione continentale). Le comunità mesolitiche dell’Europa centrale e sud-orientale furono allora coinvolte in un graduale processo di assimilazione che portò allo sviluppo di nuove culture nelle zone di contatto. Gli innovativi sistemi d’insediamento, le tecniche agricole e le rivoluzionarie esperienze che permettevano la trasformazione e la conservazione dei prodotti alimentari, vennero localmente accolte e rielaborate, favorendo la transizione neolitica delle popolazioni locali.
Economie di villaggio basate sulla domesticazione delle piante e degli animali comparvero dunque in Tessaglia e nei Balcani centro-orientali, per poi diffondersi anche alle pianure alluvionali dell’Europa Centrale e lungo le coste del Mar Adriatico e del Mar Tirreno. Il regime di sussistenza neolitico venne successivamente acquisito anche dalle culture post-paleolitiche dell’Europa nord-occidentale e nord-orientale, anche in zone climatiche indubbiamente svantaggiate, a volte del tutto incompatibili con il regime alimentare neolitico, come se questo tipo di “progresso” fosse divenuto un’ineluttabile necessità.

La diffusione della cultura neolitica in Europa

L’ambiente Mediterraneo, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, non offriva condizioni ambientali e climatiche tali da favorire la spontanea evoluzione di una società agricola pertanto la transizione neolitica in Europa non si concretizzò fin quando non furono introdotti nel continente i “pacchetti d’innovazione” sviluppati in Medio Oriente. L’origine mediorientale delle piante e degli animali domestici utilizzati dalle società neolitiche europee venne intuita oltre un secolo fa da storici e botanici di illustre fama, come A. De Candolle e V. Hehn, per poi essere scientificamente dimostrata dalle ricerche biologiche più moderne.

In sintesi, abbiamo un’eccessiva tendenza a credere alla dolcezza, alla facilità spontanea della vita nel Mediterraneo. Ci si lascia ingannare dal fascino del paesaggio. La terra coltivabile è rara, le montagne aride o poco fertili sono onnipresenti (“Troppo osso, poca carne”, diceva un geografo); l’acqua piovana è mal distribuita: abbonda quando la vegetazione riposa, in inverno, e sparisce quando lo spuntare delle piante la richiederebbe. Il grano, come le altre piante annuali, deve affrettarsi a maturare. La fatica degli uomini non sarà addolcita dal clima, ogni lavoro agricolo viene svolto quando il calore è più forte, per ottenere un raccolto spesso troppo magro. “semina nudo, ara nudo, mieti nudo”, ossia quando fa troppo caldo per vestirsi, è questo il consiglio di Esiodo. “nudus ara, sere nudas”, ripete Virgilio. E se il grano manca alla fine dell’anno, aggiunge, “allora scuoti la quercia nella foresta, per alleviare la fame”.

Tratto da “Memorie del Mediterraneo. Preistoria e antichità” di Fernand Braudel (Autore), R. De Ayala (a cura di), P. Braudel (a cura di), E. Z. Merlo (Traduttore). Edizione Bompiani

Grotta di Franchthi (fonte immagine)

Le attività archeologiche concentrate nei siti pre-agricoli dell’Europa sud-orientale hanno dissolto quasi ogni dubbio in merito a quali fossero le reali condizioni di sussistenza antecedenti all’introduzione dei prodotti e delle innovazioni neolitiche.
Tra i siti archeologici più significativi troviamo la grotta di Franchthi, un rifugio naturale situato in prossimità della costa del Golfo Argolico, un’insenatura del Mar Egeo nel Peloponneso sud-orientale. La grotta fu occupata per la prima volta durante il Paleolitico superiore, approssimativamente attorno al 38.000 a.C., da gruppi di cacciatori composti da non più di 30 individui per volta. Rudimentali strumenti di pietra e ossa macellate rappresentano la debole testimonianza di un antico sfruttamento stagionale ad uso di campeggio e di un’attività venatoria mirata all’uccisione di grandi prede, principalmente asini selvatici e cervi rossi. Questo regime di sussistenza perdurò senza significative variazioni fino al 18.000 a.C., epoca in cui avvenne un prolungato abbandono del territorio obbligato dal protrarsi di un intenso evento glaciale. La grotta tornò ad essere visitata duemila anni più tardi fino al successivo periodo glaciale, iniziato attorno al 12.900 a.C.. Lo sfruttamento della grotta ricominciò nuovamente nell’11.700 a.C. in concomitanza con l’inizio della fase di riscaldamento che determinò lo scioglimento dei ghiacciai wurmiani del Nord Europa (inizio dell’Olocene), quando i cambiamenti climatici post-glaciali determinarono in sensibile miglioramento delle condizioni di sussistenza incoraggiando il repentino sviluppo della cultura mesolitica. Gli occupanti mesolitici della grotta ampliarono la loro base di risorse alimentari includendo anche piante selvatiche, pesci e molluschi. I reperti recuperati all’interno della grotta hanno evidenziato un sensibile incremento nello sfruttamento delle risorse ittiche tra il 7.900 e il 7.500 a.C.; in particolar modo con il consumo di tonno. Il tonno è un pesce che vive in banchi che non si avvicinano mai alla costa pertanto l’ottenimento di questo alimento dimostra il raggiungimento di un’evoluta scienza della navigazione già in epoca mesolitica. Precoci abilità nautiche, che andavano ben oltre al semplice cabotaggio costiero, sono certificate anche dal ritrovamento di altre materie prime, come l’ossidiana dell’isola di Milo, un’isola vulcanica delle Cicladi che dista un centinaio di chilometri dalla terra ferma.
La navigazione ha cambiato il mondo e ha permesso all’uomo di evolvere. Per quanto ne sappiamo, tutto è iniziato circa dodici mila anni fa, e lo sappiamo grazie ad una eccezionale scoperta fatta sull’Isola di Cipro, ovvero il ritrovamento di ossa fossili macellate riconducibili ad una specie estinta di ippopotami nani. Si è appreso che furono i cacciatori mesolitici dell’Asia Minore e del Levante a sfidare i pericoli del mare al fine di cacciare gli ippopotami sull’isola di Cipro e che ciò avvenne già nel 9700 a.C. e per molte generazioni prima che l’isola fosse colonizzata da insediamenti stabili.
Fa un certo effetto pensare a questi uomini e al loro coraggio, ma sopratutto alla loro vulnerabilità difronte ai pericoli del mare, in un certo senso paragonabile a quella dell’uomo moderno rispetto ai primi viaggi interplanetari che si accinge a compiere nel sistema solare.

Sarebbe appassionante assistere alle “navigazioni selvagge” che per prime, nel Mediterraneo e altrove, sfidarono i pericoli del mare. Ma non è possibile, e allora discuteremo ancora senza purtroppo arrivare a conclusioni precise. Se esistono, le testimonianze in proposito sono rare e di difficile interpretazione.
Le prime navigazioni devono essere cominciate molto presto, fra il X e il VII millennio. Ma le prove in merito sono assai fragili. Nessuno potrebbe quindi pronunciarsi con sicurezza a proposito degli enigmatici disegni incisi nelle grotte della regione di Santander, sull’oceano, o vicino a Malaga, sul Mediterraneo. Possiamo interpretarli come imbarcazioni paleolitiche? Si, diceva l’abate Breuil. Ma finché non avremo notizie più certe non dobbiamo essere imprudenti. Allo stesso modo nessuna prova formale corrobora le ipotesi di alcuni geografi sulla nascita della navigazione, sia sul Mar Rosso, sia tra la costa dell’Asia Minore e le vicine grandi isole dell’Egeo. Conferma quest’ultima supposizione il fatto che Creta o Cipro siano state popolate, sembra, all’inizio del neolitico, all’incirca verso il VII o il VI millennio. Questi primi abitanti dovettero per forza arrivare dal mare. Zattere e rudimentali imbarcazioni leggere, se non vere e proprie barche, esistevano già nel VII millennio, e probabilmente anche prima; non è nemmeno escluso che un giorno si possano trovare, in un’isola che non è mai stata saldata al continente, specialmente a Cipro, le cui grotte-riparo non sono state ancora esplorate tutte, tracce di un popolamento mesolitico, o addirittura paleolitico; il nostro problema avrebbe allora una portata assai diversa.
Personalmente credo, pur senza averne prove sufficienti, all’antichità delle navigazioni selvagge. In primo luogo, non rappresentano affatto la quadratura del cerchio. Alcune società primitive sfidarono i pericoli dell’acqua e del mare; pensiamo alle zattere degli amerindi o, sulle coste del Perù, a quelle barche fatte di giunchi legati – i caballitos, i cavallini, sui quali i pescatori, sfidarono le onde, si avventurarono all’argo! D’altra parte, per quanto riguarda il Mediterraneo, un cabotaggio iniziato in tempi remoti sembra l’unico modo per spiegare la diffusione di certe merci.
Così l’espansione della ceramica detta cardiale (decorata imprimendo sull’argilla fresca una conchiglia, il cardium) sarebbe avvenuta per mezzo di un cabotaggio primitivo, forse a partire dal golfo di Alessandria, dietro Cipro. Di là, zattere avrebbero raggiunto Grecia, Italia, Provenza, Spagna, Sicilia, Malta, e forse le rive dell’Africa del Nord. In effetti, su tutte queste coste si ritrovano cocci decorati a impressione, che un tempo venivano fatti risalire al III millennio, ma che scavi recenti obbligano a portare molto più indietro nel tempo. Esattamente fino a quando? In Tessaglia, sono stati datati alla fine del VI millennio. Per l’Occidente, se ne discute, e se ne discuterà ancora: V? VI millennio? L’unica certezza è che questa ceramica corrisponde ovunque alla diffusione delle prime forme neolitiche di agricoltura.

Tratto da “Memorie del Mediterraneo. Preistoria e antichità” di Fernand Braudel (Autore), R. De Ayala (a cura di), P. Braudel (a cura di), E. Z. Merlo (Traduttore). Edizione Bompiani. 1998. pag.106-107

L’introduzione dell’agricoltura in Europa sud-orientale avvenne all’inizio del VII millennio a.C. grazie allo sviluppo della navigazione nel Mediterraneo. Nell’arco di un breve periodo la selvaggina e le piante spontanee alla base della dieta mesolitica vennero sostituite con le piante e gli animali domestici introdotti dai colonizzatori neolitici. Le indagini archeologiche svolte all’interno della grotta di Franchthi e nell’area circoscritta all’entrata suggeriscono che i suoi occupanti iniziarono un commercio di semi e carni con il popolo neolitico del Levante, per poi sperimentare a loro volta le prime forme di agricoltura e allevamento. Con lo sviluppo delle attività agricole l’occupazione del sito di Franchthi si spostò all’esterno della grotta, nell’aria adiacente all’entrata (il paralia), dove furono costruite terrazze per le colture in crescita. Si ritiene che fosse sorto un villaggio di agricoltori in prossimità delle coltivazioni che tuttavia non può essere investigato con sistemi tradizionali a causa dell’avanzamento del mare. Il sito fu abbandonato intorno al 3000 a.C.
Lo studio di altri siti pre-agricoli dell’Europa sud-orientale, tra i quali Sesklo, Achilleion e Argissa Magoula, conferma l’introduzione delle piante domestiche in un periodo compreso tra il VII e VI millennio a.C..
La prima cultura neolitica d’Europa piantò le sue radici in Tessaglia, nei pressi dell’odierno villaggio di Sesklo. Il popolo di Sesklo edificò i suoi villaggi sulle colline, nei pressi delle fertili vallate destinate alla coltivazione di grano e orzo, e al pascolo di pecore, capre, mucche e maiali. La transizione neolitica di Sesklo è stata datata con metodi radiometrici all’inizio del VII millennio a.C., precisamente al 6900 a.C.
La cultura di Sesklo ebbe un ruolo cruciale per la diffusione della cultura neolitica in Europa; la sua influenza incoraggiò lo sviluppo delle altre culture neolitiche della penisola balcanica, in particolar modo quello della cultura di Karanovo, ma anche quello della cultura di Starčevo con tutte le sue varianti regionali: la cultura di Anzabegovo in Macedonia, di Kolsh in Albania, di Körös in Ungheria e di Criş in Romania.

La cultura della ceramica cardiale

Ceramica cardiale

Una seconda influenza neolitica raggiunse le coste dell’Europa sud-orientale alla fine del VII millennio a.C. dando origine alla “Cultura della ceramica cardiale (o impressa)”, così chiamata in virtù delle particolari decorazioni impresse sui recipienti ceramici che produceva. Le decorazioni furono realizzate utilizzando le conchiglie, in particolare il cardium, da cui deriva la definizione di ceramica cardiale. Oltre a ciò si riconoscono decorazioni realizzate con strumenti di origine vegetale, ma anche impressioni digitali, ottenute pizzicando l’argilla fresca.
Al di là delle variazioni stilistiche il fatto davvero rilevante è che la distribuzione geografica e temporale di queste ceramiche coincide, nelle regioni interessate, con l’introduzione dei primi prodotti neolitici.
L’origine della ceramica cardiale è stata individuata in Libano e ciò ha confermato l’ipotesi che la sua rapida diffusione fosse in realtà il frutto di una seconda colonizzazione neolitica partita dalle coste del Levante. All’epoca le prime culture neolitiche dell’Europa sud orientale avevano già piantato le loro radici a Sesklo, a Creta e nei Balcani Centrali, tant’è che le culture Karanovo e Starčevo non subirono l’influenza della cultura cardiale per quasi un millennio.
La cultura della ceramica cardiale si diffuse inizialmente in Tessaglia, lungo le coste balcaniche dell’Adriatico e a Corfù attorno al 6200 a.C.. Le indagini archeologiche suggeriscono poi una rapida diffondersi verso la Dalmazia tra il 6100 e il 5900 a.C. Le prime tracce della cultura cardiale in Italia risalgono al 6000 a.C. e provengono dal sito neolitico di Coppa Nevigata, situato sulla costa adriatica dell’Italia meridionale e dalla grotta di Su Coloru in Sardegna settentrionale. Nelle regioni che si affacciano sul Mare Adriatico e sullo Ionio, dalla Dalmazia alle regioni meridionali e centro-orientali della Penisola Italiana, si individua una cerchia a ceramica impressa relativamente omogenea.
Nella Francia meridionale, nelle grotte di L’Abeurador e Fontbrégoua, sono state trovate le tracce di una presunta protoagricoltura mesolitica precedente all’introduzione dei prodotti neolitici provenienti dal Levante che comprendono lenticchie, piselli, Cicer, Lathyrus cicera, vecce, ghiande di quercia, nocciole e vinaccioli di vite. Alcuni semi presentano dimensioni tali da far supporre una protezione dei vegetali attuata eliminando le specie competitrici. Ciò significa che in piccole nicchie ecologiche stava per concretizzarsi autonomamente un rivoluzione delle abitudini alimentari. L’agricoltura vera e propria comparve invece insieme alla ceramica cardiale attorno al 5500 a.C. Tutte le datazione radiometriche dimostrano la rapida diffusione della cultura cardiale  un’espansione marittima piantando colonie lungo la costa.
È inoltre attestato in tutto il Mediterraneo un fiorente commercio di materie prime direttamente connesse con le nuove attività neolitiche: l’ossidiana per l’industria litica, le pietre verdi per le accette e in genere per gli oggetti di pietra levigata, le arenarie e le rocce vulcaniche per le macine.

La cultura della ceramica lineare

Vaso appartenuto alla Cultura della ceramica lineare. Rinvenuto a Rauschenberg-Bracht, Hessen, Germania. Esposto all’Universitätsmuseum für Kulturgschichte di Marburgo. fonte immagine

Una seconda corrente di diffusione della cultura neolitica del Levante attraversò le aspre catene montuose dell’Anatolia e lo stretto dei Dardanelli investendo le comunità mesolitiche dei Balcani orientali. Probabilmente si trattò di una vera e propria colonizzazione determinata dall’aumento demografico e dalla conseguente ricerca di nuove terre coltivabili. La cultura neolitica in espansione raggiunse poi i bacini idrografici dell’Elba e del Reno e in breve tempo arrivò ad occupare un ampia regione geografica che si estendeva dal bacino di Parigi fino ai confini meridionali di Moldavia e Ucraina, toccando le pendici delle prealpi settentrionali.
La cultura neolitica che occupò il cuore dell’Europa tra la metà del VI e la metà del V millennio a.C è stata definita “Cultura della ceramica lineare” in virtù dell’omogenea diffusione di recipienti ceramici decorati con incisioni lineari a bande. La ceramica lineare, a differenza di quella cardiale, non ebbe origine in Medio Oriente, bensì nei Balcani centrali: la ceramica lineare sarebbe infatti apparsa per la prima volta attorno al 5500 a.C a.C. lungo il corso medio del Danubio nell’area occupata della cultura di Starčevo. Le forme ceramiche sono molto semplici, comprendono scodelle emisferiche, fiaschi e vasi su piede, mentre le decorazioni sono prive di colori.
La maggior parte degli insediamenti appartenuti alla Cultura della ceramica lineare sono localizzati su terrazzi fluviali in posizione tale da restare emersi anche in caso di piene stagionali o alluvioni. È questo il caso dei grandi insediamenti scavati a Olszanica (Polonia), Bylany (Repubblica Ceca), Langweiler, Hienheim (Germania) e Elsloo (Germania). Gli insediamenti sono caratterizzati da case rettangolari, ai lati delle quali si trovano i fossati da cui è fu estratta l’argilla per intonacare le pareti, pozzi di rifiuto e silos per la raccolta dei prodotti agricoli.
L’economia di sussistenza era essenzialmente basata sull’agricoltura e sull’allevamento. Frumento monococco e dicocco erano le coltivazioni più comuni, ma venivano coltivati anche il pisello, la lenticchia e il lino. E’ stata documentata anche la raccolta di frutti spontanei, fra i quali le nocciole, come indica il rinvenimento di molti frammenti di gusci carbonizzati. Per quanto concerne i resti faunistici, questi mancano in molti dei siti investigati a causa dell’acidità del terreno che ne ha eliminato completamente ogni traccia. Nei casi contrari è quasi sempre l’allevamento dei bovini e dei suini a dominare su quello dei caprovini per quanto, in alcuni insediamenti della Sassonia e della Turingia, l’attività di pastorizia fosse largamente dominante.

fonte immagine in testata: https://pixabay.com/fr/photos/bateaux-de-pirogue-finlande-paysage-115046/

fonti:
“Memorie del Mediterraneo. Preistoria e antichità” di Fernand Braudel (Autore), R. De Ayala (a cura di), P. Braudel (a cura di), E. Z. Merlo (Traduttore). Edizione Bompiani. 1998. pag.106-107
http://www.treccani.it/enciclopedia/la-domesticazione-delle-piante-e-l-agricoltura-europa-preistorica-e-protostorica_%28Il-Mondo-dell%27Archeologia%29/
https://en.wikipedia.org/wiki/Franchthi_Cave
http://www.treccani.it/enciclopedia/repertorio-delle-culture-dell-europa-preistorica-neolitico_%28Il-Mondo-dell%27Archeologia%29/
http://www.treccani.it/enciclopedia/repertorio-delle-culture-dell-europa-preistorica-neolitico_%28Il-Mondo-dell%27Archeologia%29/
https://en.wikipedia.org/wiki/Cardium_pottery