I primi contadini del neolitico praticarono la cosiddetta “agricoltura secca”, ciò significa che l’irrigazione dei campi era affidata unicamente alle precipitazioni piovose. La produttività dei primi modelli agricoli doveva sperare in un buon apporto di acqua piovana perciò possiamo immaginare che una sola stagione di siccità avrebbe compromesso la produttività delle coltivazioni, condizionando la vita di un intero villaggio. Questa condizione sfavorevole venne migliorata per la prima volta nel corso del IV millennio a.C. in Bassa Mesopotamia con l’introduzione dell’agricoltura irrigua, basata sullo sfruttamento delle acque fluviali mediante la costruzione di canali che permettevano l’irrigazione periodica e programmata dei campi. L’agricoltura irrigua e altre innovazioni fondamentali vennero introdotte quasi simultaneamente e con successo anche in altre zone del Vicino Oriente dell’Asia. Le civiltà che si svilupparono nel bacino idrografico del Tigri e dell’Eufrate, nella valle del Nilo e lungo il corso dell’Indo, vennero perciò chiamate civiltà fluviali o idrauliche. Intorno ai grandi corsi d’acqua sopracitati nacquero sistemi socio-economici capaci di produrre eccedenze alimentari che potevano sostenere la vita nei centri abitati, favorendo lo sviluppo di una moltitudine di attività commerciali e artigianali. I villaggi sorti nei territori più fertili del Vicino Oriente si ampliarono in maniera esponenziale fino a diventare vere e proprie città caratterizzate da una complessa stratificazione sociale e da un’elevata specializzazione del lavoro: l’agricoltura e la pastorizia erano infatti molto sviluppate e la produzione di eccedenze alimentari permetteva agli abitanti di dedicarsi ad altre attività. Anche i centri di culto ebbero un ruolo importante nello sviluppo delle prime città, dato che divennero poli di attrazione nei confronti dei villaggi vicini sprovvisti di un tempio. Questo fenomeno di accentramento urbano si concretizzò per la prima volta in Bassa Mesopotamia contemporaneamente allo sviluppo della civiltà Sumera. Per indicare le complesse trasformazioni che portarono alla nascita delle città e le conseguenze che tale fenomeno determinò sul piano sociale ed economico, gli storici utilizzano l’espressione “rivoluzione urbana”.
La differenza tra i villaggi neolitici e le prime città non si limitava alle dimensioni, nelle città si svilupparono mano a mano complesse politiche, economie e religioni, determinando una maggiore stratificazione sociale; contadini e i pastori erano impegnati nella produzione del cibo, in minor numero rispetto al passato grazie all’introduzione delle tecniche speciali, gli artigiani lavoravano l’argilla, il cuoio e i metalli, con i quali fabbricavano manufatti di vario genere che potevano essere barattati dai mercanti. Una classe amministrativa controllava la costruzione dei canali e la disposizione dei campi agricoli e registrava la raccolta e la distribuzione dei prodotti alimentari raccolti. I soldati provvedevano alla difesa delle scorte di cibo e delle ricchezze accumulate. I sacerdoti, infine, interpretavano i segni celesti e si occupavano delle cerimonie religiose per far sì che le divinità protettrici si mostrassero benevole nei confronti degli uomini che abitavano la città. L’improvvisa evoluzione dei centri urbani avvenuta in Bassa Mesopotamia nel corso del IV millennio a.C. favorì lo sviluppo di moltissime attività, che per essere controllate e sfruttate a livello economico su tutto il territorio necessitarono di un sistema di controllo indiretto. A questo scopo, nell’arco di un periodo relativamente breve, vennero introdotti segni grafici, pesi di misura e recipienti standard, con i quali si poterono compilare elenchi contabili delle attività commerciali e dei prodotti. L’evoluzione della scrittura cuneiforme fu perciò una conseguenza dell’urbanizzazione.
Sigillo sumero che mostra un’attività agricola. Una bestia da soma trascina l’aratro seminatore (apin) mentre due uomini lo guidano. Questo strumento era dieci volte più efficace della zappa nel lavorare la terra e seminare
La stratificazione sociale sommariamente descritta fu possibili grazie alla produzione di eccedenze alimentari. Le innovazioni tecniche che portarono a questa evoluzione agricola sono perfettamente descritte nel testo sottostante, tratto del libro “Uruk, la prima città” di Mario Liverani.
Tratto da”Uruk, la prima città” di Mario Liverani. Edizione Laterza
La questione dell’accumulazione primaria di eccedenze alimentari, in termini che siano archeologicamente verificabili, può porsi nel modo seguente: nella fase immediatamente anteriore al decollo urbanistico e organizzativo della grande Uruk (tardo-Uruk, ca. 3500-3000) possono individuarsi fattori tecnici o di altra natura che accrescano la produzione agricola ad un tasso accelerato e comunque superiore al tasso di aumento demografico? La risposta viene da tutto un complesso di innovazioni da collocarsi (come vedremo) durante la fase antico-Uruk (ca, 4000-3500), e che sono correlate tra di loro a comporre un complesso organico e inscindibile. La documentazione relativa è solo in parte ben nota, in parte invece non ancora adeguatamente valutata – e certo non valorizzata in riferimento al problema della rivoluzione urbana.
Il campo lungo. La necessità di una sistemazione idraulica del territorio basso-mesopotamico, come fattore indispensabile per la crescita demografica, produttiva e organizzativa sfociata nella prima urbanizzazione, era ben presente fin dal tempo di Childe. E del resto la coincidenza delle zone di alluvio irriguo con le sedi delle più antiche civiltà era un fatto già avvertito dagli studiosi del secolo scorso, e che darà luogo alla famigerata (e certamente abnorme) teoria del <<dispotismo idraulico>> come definito da Karl Wittfogel. Ma solo di recente si è messo in evidenza come il momento essenziale in tale processo sia stata la messa a punto del sistema dei campi lunghi, con irrigazione a solco. Nell’alluvio basso-mesopotamico sono storicamente attestati due sistemi di irrigazione, ben diversi tra loro: l’irrigazione a bacino e l’irrigazione a solco, rispettivamente adattabili meglio alle due sotto-zone idrologiche e geo-morfologiche della <<valle>> e del <<delta>>. L’irrigazione a bacino, che comporta la completa sommersione del campo sotto un sottile strato d’acqua (poi rapidamente assorbito da terreno per percolazione verticale), viene praticata in campi quadri recintati da un piccolo argine. Questi campi sono necessariamente di modeste dimensioni e perfettamente orizzontali (altrimenti la sommersione non sarebbe omogenea), e possono essere sistemati anche individualmente, a livello famigliare, e con modesta necessità di coordinamento con i campi contigui. Comportano dunque una gestione di ambito famigliare e di villaggio, e una sistemazione idraulica del territorio per aggiustamenti parziali e progressivi, senza bisogno di particolare pianificazione e centralizzazione. Invece l’irrigazione a solco viene praticata in campi lunghi, sottili striscie parallele tra loro, che si estendono in lunghezza per molte centinaia di metri, in leggera e regolare pendenza, e che hanno una <<testata alta>> adiacente al canale da cui ricavano l’acqua, e una <<testata bassa>> verso acquitrini o bacini di drenaggio. L’acqua inonda solo i solchi, e il terreno è imbevuto per percolazione orizzontale. Questi campi, data la loro dimensione e il loro rigido posizionamento rispetto al canale, possono essere convenientemente sistemati solo in maniera coordinata e pianificata, colonizzando ex novo un’area piuttosto estesa, con grossi blocchi di campi paralleli ordinatamente disposti a spina di pesce ai lati del canale. La costante inclinazione del terreno si adatta alla morfologia del delta, con canali sopraelevati (per accumulo di sedimenti) entro i loro argini, e bacini o paludi laterali di sfogo dell’acqua eccedente. I campi lunghi dunque richiedono per l’impianto e la gestione la presenza di un’agenzia centrale di coordinamento. Una volta istallati, consentono una produttività su più larga scala, in connessione con le altre innovazioni che vedremo subito. I campi lunghi – che la documentazione successiva mostra prevalenti nel sud basso-mesopotamico – sono già ben presenti nella prima documentazione amministrativa <<arcaica>> di Uruk III (sia nel sud sia nel nord); e sono del resto implicati dalla forma stessa del segno arcaico sumerico per <<campo>> (gan2) che chiaramente riproduce un blocco di campi lunghi perpendicolari ad un canale. Nei testi amministrativi arcaici, i campi lunghi sono organizzati in blocchi di grandi dimensioni, e di gestione centralizzata (nella fattispecie templare).
Aratro seminatore sumero. Nel sigillo della fig.1 il dio Enlil lo impugna nella mano destra, nella fig.2, invece, viene tirato da una bestia da soma.
L’aratro seminatore. La lavorazione del campo lungo è strettamente connessa all’introduzione dell’aratro a trazione animale, che solo può consentire di scavare solchi rettilinei della lunghezza di molte centinaia di metri. Lo stesso aratro può a sua volta aver contribuito (assai secondariamente rispetto ai problemi dell’irrigazione) a configurare i campi lunghi, facendo risparmiare (a parità metrica di solco) i momenti della rotazione e riposizionamento: si tenga presente che i testi posteriori documentano che l’aratro era trainato da due o tre coppie di buoi, e dunque qualcosa di tutt’altro che maneggevole. E’ comunque evidente che l’aratro a trazione animale comporta un risparmio di tempo enorme rispetto all’esecuzione dello stesso lavoro alla zappa, a parità numerica di personale impiegato. La triplice connessione <<campo lungo – irrigazione a solco – aratro a trazione animale>> è talmente stretta e organica che non si potrebbe immaginare il funzionamento del sistema se non nella sua coerente completezza. Al momento della semina, poi, l’aratro a trazione animale si trasformava in aratro-seminatore, mediante l’istallazione di un imbuto a cannello che consente di mettere a dimora i semi – uno per uno – ben addentro il solco. L’uso dell’aratro-seminatore porta a minimizzare le perdite di semente rispetto alla semina per dispersione, e dunque a migliorare (nell’ordine del 50%) il rapporto tra semente e raccolto. Ciò contribuisce a spiegare l’altissima produttività della cerealicoltura basso-mesopotamica (famosa già per Erodoto, e confermata dai dati testuali) che resterebbe stupefacente col sistema della semina manuale per dispersione. Naturalmente la collocazione a dimora dei singoli semi, ben addentro nel solco, è praticabile solo mediante l’aratro seminatore a trazione animale, altrimenti (con operazione manuale) richiederebbe un tempo enorme. Se raffigurazioni complete dell’aratro-seminatore all’opera risalgono solo ad epoche più tarde, però il relativo segno sumerico apin è già ben attestato nei documenti arcaici di Uruk IV e III.
La slitta trebbiatrice. L’utilizzazione della trazione animale – con conseguente risparmio di tempo e manodopera – si applica anche ad altre due operazioni: la trebbiatura e il trasporto del raccolto. La trebbiatura viene praticata in apposite aie, mediante una slitta trainata da un asino, con numerose file di lamette di selce inserite sotto il pianale. E’ l’attrezzo chiamato tribulum dia latini, e attestato ancora in età moderna (prima dell’avvento della meccanizzazione) in un’ampia area che abbraccia il Vicino Oriente e il Mediterraneo. Per il periodo di Uruk, se ne hanno attestazioni iconografiche; e si hanno anche concentrazioni di lamette di selce spiegabili come appartenenti a slitte da trebbiatura. Il caratteristico <<lustro>> che le lamette di selce acquistano col ripetuto taglio di spighe di cereali, e che tradizionalmente è fatto risalire all’uso delle lamette nei falcetti da mietitura, può altrettanto bene risalire al loro uso nelle slitte da mietitura. Tra i segni della scrittura arcaica di Uruk IV-III è anche attestato (peraltro raramente) il carro a quattro ruote, evidentemente impiegato per il trasporto del raccolto. In generale, la diffusione della trazione animale rientra in quella che è stata definita <<rivoluzione secondaria>> (rispetto alla rivoluzione agro-pastorale all’inizio del neolitico), che ebbe luogo nel millennio a ridosso dei processi della prima urbanizzazione. Si noti peraltro che i bassa Mesopotamia (come pure nella valle del Nilo, e in gene nelle vallate alluvionali) il mezzo più economico ed efficiente per il trasporto del raccolto dai campi alle aie e dalle aie ai magazzini era costituito dalla barche, che potevano usare la fitta rete di canali e rami fluviali.
I falcetti di terracotta. Infine, la mietitura di grandi estensioni cerealicole si avvale di un attrezzo quale il falcetto di terracotta, a forma di mezzaluna e col bordo interno affilato, il cui costo di manifattura è estremamente basso in confronto a qualunque altro tipo di lama (di selce, per non dire poi di metallo), e consente dunque l’utilizzo simultaneo di manodopera numerosa. Il falcetto di terracotta, presumibilmente di tipo <<usa e getta>>, stante il rapido deterioramento dell’affilatura, non ricostruibile, caratterizza la bassa Mesopotamia nel periodo tardo -Ubaid e antico-Uruk, dunque proprio il periodo formativo del sistema di cerealicoltura intensiva quei delineato.
Lettura consigliata da Civiltà eterne.it
Fonte:
“Uruk, la prima città” di Mario Liverani. Edizione Laterza
Il processo di selezione naturale e la deriva genetica hanno guidato il percorso evolutivo della nostra specie per milioni di anni determinando l’acquisizione di nuovi comportamenti. Recenti indagini condotte sul genoma umano hanno però dimostrato che le qualità genetiche della nostra specie si erano già formate quando i sapiens arrivarono in Europa per la prima volta 40.000 anni fa e che le piccole variazioni del genoma avvenute a partire da quel periodo non sono sufficienti per giustificare l’enorme complessità di comportamenti acquisiti dalla nostra specie nelle epoche più recenti. Dal momento dell’apparizione dell’Homo sapiens in Europa trascorsero 30.000 anni prima che avvenisse un significativo sviluppo socio-culturale. Soltanto attorno al 10.000 a.C. cominciò in Asia Anteriore la prima fase della Rivoluzione neolitica, quando il paleolitico regime di sussistenza basato su caccia e raccolta venne gradualmente sostituito con un’economia di villaggio incentrata sull’addomesticamento di piante e animali. Da quel momento lo sviluppo culturale della nostra specie imboccò un binario decisamente più veloce.
Se le qualità genetiche dell’Homo Sapiens si erano già formate 40.000 anni fa, come mai ci vollero 30.000 anni prima che si verificasse un significativo progresso sociale e tecnologico? E come mai una volta innescato il processo di civilizzazione l’evoluzione socio-tecnologica fu esponenziale nonostante non esistano sostanziali differenze tra il genoma degli uomini di oggi e quello degli uomini preistorici?
Il Paradosso preistorico verte proprio sullo scarto temporale che separa la formazione del genoma umano moderno e il “decollo” socio-culturale.
Oggi sappiamo per certo che l’evoluzione culturale e scientifica dell’Homo sapiens non fu determinata da nuove qualità genetiche emerse improvvisamente all’alba dell’epoca storica e che gli uomini dell’età della pietra non erano meno intelligenti di quelli che che avviarono la rivoluzione neolitica e il processo di civilizzazione 10.000 anni fa (o degli stessi uomini del ventunesimo secolo), semplicemente potremmo definirli meno sapienti.
Durante il paleolitico lo sviluppo di un linguaggio articolato facilitò la condivisione delle esperienze personali e la trasmissione del sapere favorendo la formazione di un “bagaglio culturale” che poteva essere tramandato alle successive generazioni. Con il passare dei millenni l’accrescimento del sapere fece sì che ogni individuo potesse beneficiare dell’esperienza accumulata dalle precedenti generazioni. L’evoluzione culturale determinata dall’accrescimento del sapere iniziò perciò ad influenzare i comportamenti umani in maniera di gran lunga superiore a quanto potessero fare l’evoluzione del genoma e la selezione naturale (due processi naturali molto lenti). Tuttavia l’acquisizione di un linguaggio articolato non fu sufficiente per concretizzare un significativo sviluppo culturale ma servirono altre innovazioni.
Con la transizione ad un regime di vita sedentario (attorno al 10.000 a.C.) avvenne uno sviluppo esponenziale della cultura materiale. Il controllo esercitato sulla proprietà permise di possedere un maggior numero di beni personali incoraggiando la produzione di strumenti pesati da dedicare alle tecniche speciali e oggetti funzionali e artistici capaci di riflettere nella forma e nel significato i gusti e le concezione dell’uomo. La precedente esigenza di spostarsi continuamente soffocò la vena artistica e ingegneristica dell’uomo, limitando la produzione manifatturiera allo stretto necessario. Sebbene esistessero concezioni spirituali paleolitiche (ma anche ingegneristiche), raramente si traducevano in una produzione artistica per problemi d’ingombro siccome era sconveniente impiegare risorse, in termini di tempo e fatica, nella produzione di oggetti che prima o tardi si sarebbero dovuti abbandonare. Un cacciatore-raccoglitore del paleolitico era costretto a percorrere enormi distanze per sopperire al proprio bisogno alimentare perciò poteva trasportare soltanto lo stretto necessario, perlopiù armi e utensili da impiegare durante le attività necessarie alla sopravvivenza. L’adozione di una casa cambiò radicalmente la condizione umana permettendo l’addomesticamento delle piante e degli animali e favorendo lo sviluppo di tecniche speciali destinate alla trasformazione e conservazione delle risorse alimentari. Lungo le sponde dei grandi corsi d’acqua della Mesopotamia nacquero i primi sistemi socio-economici capaci di produrre eccedenze alimentari (rivoluzione neolitica secondaria) favorendo lo sviluppo delle attività artigianali e commerciali. I villaggi sorti nei territori più fertili del Vicino Oriente si ampliarono in maniera esponenziale fino a diventare vere e proprie città caratterizzate da una complessa stratificazione sociale e da un’elevata specializzazione del lavoro.
Lo sviluppo dei primi sistemi di scrittura favorì la gestione dei rapporti sociali e l’accrescimento del sapere. Non è un caso che lo sviluppo delle prime civiltà storiche coincida con l’introduzione di un sistema indiretto capace di conservare le informazioni.
La condivisione del sapere all’interno di comunità che diventarono mano a man sempre più ampie permise alla nostra specie di sviluppare capacità concettuali innate da molto tempo nella mente umana.
Grotte di Chauvet, Francia. Circa 32000 anni sono state rappresentate 500 immagini di elementi naturali. fonte immagine.
L’istruzione è fondamentale per sviluppare le capacità concettuali della mente, oggi come 10.000 o 40.000 anni fa. I bambini nati oggi nei paesi sviluppati possono beneficiare fin dai primi anni della loro vita degli insegnamenti forniti dai sistemi scolastici, oltre a ciò il contesto sociale in cui vivono gli dà accesso ad una quantità incalcolabile di informazioni che stimolano lo sviluppo delle loro capacità concettuali fino all’età adulta. La maggior parte delle informazioni acquisite da un individuo nell’arco della propria vita provengono delle esperienze che il genere umano ha maturato nel corso di migliaia di anni, perciò il bagaglio culturale accumulato di generazione in generazione dà modo ad ogni futuro uomo di conoscere il mondo che lo circonda senza doverlo scoprire unicamente con le proprie forze. I bambini nati in un contesto rurale di inizio secolo scorso, invece, avevano accesso ad una quantità di informazioni molto più limita, e per lo più legate alle attività che dovevano svolgere per garantirsi il sostentamento. Le capacità concettuali sviluppate dalle loro menti erano perciò limitate rispetto al loro effettivo potenziale. Un ipotetico confronto tra i bambini di oggi e di ieri nell’età adulta evidenzierebbe enormi differenze, col risultato che i secondi sembrerebbero molto meno intelligenti dei primi malgrado potenzialità intellettive del tutto equivalenti. A quel punto sarebbe evidente che gli uomini di ieri non erano meno intelligenti di quelli di oggi e che semplicemente erano meno sapienti. I bambini di cento anni fa non potevano essere meno intelligenti di quelli di oggi perché il loro genoma era identico al nostro e lo stesso discorso è valido nel contesto di un confronto tra un uomo del ventunesimo secolo e uno dell’età della pietra, dato che le variazioni del genoma avvenute negli ultimi diecimila anni sono talmente piccole da potersi considerare in tal senso trascurabili.
E’ stato l’accrescimento del sapere, maturato grazie all’acquisita capacità di saperlo tramandare alle successive generazioni, a determinare lo sviluppo sociale e tecnologico dell’uomo; dimostrarlo è estremamente semplice tramite un secondo esempio. Se un bambino di oggi crescesse senza istruzione scolastica e al riparo dal progresso sociale e tecnologico, in condizioni simili a quelle in cui vivevano gli uomini dell’età della pietra, una volta raggiunta l’età adulta diventerebbe del tutto simile ad un uomo primitivo e le sue possibilità di comprendere il contesto sociale moderno sarebbero totalmente compromesse.
Sulla base di queste valutazioni gli antropologi dividono la storia dell’evoluzione umana in due periodi, quello di speciazione, e quello tettonico. Nella lunghissima fase di speciazione, iniziata diversi milioni di anni fa, furono le variazioni del genoma a dominare il processo evolutivo, portando all’acquisizione di nuovi comportamenti. Due esempi lampanti potrebbero essere rappresentati dalla capacità di camminare in posizione eretta e dalla capacità di esprimere un linguaggio, due comportamenti che per essere sostenuti dovevano necessariamente contare su nuove qualità genetiche emerse ad un certo punto dell’evoluzione. Nella fase tettonica, invece, fu l’accrescimento del sapere a determinare l’acquisizione di nuovi comportamenti; un esempio potrebbe essere rappresentato dalla capacità maturata nell’addomesticamento degli animali, sviluppata nell’arco di molte generazioni, nelle quali vennero selezionati gli animali più adatti sulla base delle esperienze personali, oppure, la rivoluzione agricola, determinata dagli stessi principi. Chiaramente l’evoluzione genetica è continuata anche durante la fase tettonica, ma il suo contributo all’acquisizione di nuovi comportamenti è stato estremamente inferiore rispetto a quello determinato dalla capacità di conservare il sapere a beneficio delle future generazioni.
In queste argomentazioni c’è la chiave per capire come mai passò così tanto tempo tra la formazione del genotipo e il “decollo” socio-culturale. 40.000 di anni fa le qualità genetiche della nostra specie si erano già formate ma servì molto tempo prima che l’uomo riuscisse ad escogitare una maniera per conservare il sapere maturato durante le sue attività e prima che il “bagaglio culturale” tramandato di generazione in generazione fosse abbastanza ricco per determinare sensibili variazioni dei comportamenti e per stimolare ulteriormente le potenzialità nascoste nella mente umana.
Diodoro Siculo (I seclo a.C.), rappresentato in un affresco del 1800. fonte immagine
A proposito di questo tema, voglio riportare quanto ho letto in Biblioteca historica di Diodoro Siculo, uno storico greco vissuto nel I secolo a.C.. Durante la sua vita realizzò un’opera monumentale chiamata “Bibliotheca historica”. L’opera è composta da quaranta libri e per realizzarla attinse da moltissime fonti. Nei primi sei libri descrive la geografia, la storia e la cultura di Egitto, Mesopotamia, India, Scizia e Arabia, Nord Africa, Grecia ed Europa. Dal settimo al sedicesimo capitolo racconta, invece, la guerra di Troia fino alla morte di Alessandro il Grande, mentre nei libri che restano descrive nel dettaglio la storia dei successori di Alessandro, fino al 60 a.C.
All’interno del libro dedicato all’Egitto descrive la condizione umana precedente alla civilizzazione, concependo l’evoluzione anatomica e culturale dell’uomo. Questa esposizione è estremamente verosimile e sorprendente se si considera il fatto che è stata scritta oltre 2000 anni fa. Questo testo mette in luce la straordinaria capacità deduttiva dei grandi uomini del passato, che per deduzione e comparazione riuscirono a concepire realtà che non potevano esplorare direttamente con i propri occhi.
Tratto da Bibliotheca historica di Diodoro siculo, I secolo a.c.:
“…gli uomini dapprima nati vissero rozzamente ed a modo delle belve, sparsi pe’ campi a pascolo, e cibandosi di qualunque erba che avesse sapore, e de’ frutti spontaneamente dati dagli alberi. E come delle fiere erano infestati, l’esperienza li trasse a soccorrersi scambievolmente, e la paura li costrinse a fare insieme società, con che a poco a poco si conobbero fra loro simili. Ma i suoni della voce erano ancora confusi, nè avevano significato; ond’è che a poco a poco pronunciando parole articolate, e co’ gesti indicando ogni cosa cadente sotto i loro sensi, vennero poi finalmente a formare una lingua esprimente tutte le cose. Ma siccome per tutta la terra andavansi facendo le stesse congreghe, ed ognuno metteva insieme le parole a seconda degli accenti, tutti non usarono la stessa lingua, e perciò varie ne nacquero, se di ogni genere. E quelle prime congreghe diedero poi origine a tutte le nazioni. I primi uomini, mentre nulla di utile alla vita si era ancora inventato, la sostentarono con grande stento, non avendo nè abiti con che coprirsi, nè abituro ove ritirarsi, nè uso alcuno del fuoco, nè alcun modo di alimentarsi alquanto dolce: perciochè non sapendo ancora portare dalla campagna alla casa le provvigioni, non facevano alcuna riserva de’ frutti della terra per gli usi necessari. Quindi molti dell’inverno perivano per la inclemenza del freddo, e per la penuria di vettovaglie. Ma grado a grado ammaestrati dalla esperienza vennero nell’inverno a rifugiarsi nelle spelonche, e a nascondere ivi i frutti atti a conservarsi; e conosciuto l’uso del fuoco e degli altri comodi, incominciarono ad inventare molte arti, ed altre cose atte a ben servire alla vita. In breve: l’uso fu il gran maestro degli uomini; il quale uso ad ogni passo andò istruendo nella cognizione e pratica di ciascheduna cosa questo animale, pieno per natura sua d’ingegno, e provveduto di mani, di discorso, e d’industria, come di altrettanti ministri, ed atto a fare checchè egli voglia. E questo basti aver detto negli angusti limiti, che ci sono prescritti, intorno alla prima generazione degli uomini, e all’antichissimo modo di vivere”