L’archeoastronomia è un campo della ricerca scientifica che combina gli studi di archeologia con quelli di astronomia al fine di indagare il livello di comprensione che i nostri antenati ebbero dei fenomeni celesti e il ruolo pratico e spirituale che queste conoscenze assunsero all’interno delle loro società. Le indagini di archeoastronomia aiutano pertanto a comprendere il pensiero di chi ha riflettuto sui fenomeni della natura e sul significato dell’esistenza, ponendosi nel “limbo” tra la scienza esatta che studia la volta celeste e la scienza umana che studia l’uomo, in quanto soggetto di pensiero e di azione.

          L’origine dell’astronomia si perde nella notte dei tempi. Non potremo mai sapere con esattezza dove e quando ebbero luogo le prime osservazioni critiche della volta celeste ma non vi è dubbio sul fatto che fu la giostra eterna del cielo a rivelare ai nostri antenati del Paleolitico le scadenze metronomiche della natura, regolando i ritmi della caccia e della raccolta.

Osso di Blanchard. (circa 31.000 a.C.)

         I primi reperti archeologici che lasciano intendere un vero e proprio interesse per gli eventi astronomici risalgono al Paleolitico superiore; si tratta di piccoli oggetti in osso, avorio o pietra, incisi con tacche e simboli al fine di misurare lo scorrere del tempo. Una delle testimonianze più antiche è stata scoperta agli inizi del secolo scorso nell’Abri Blanchard, in Dordogna. Il manufatto è costituito da un frammento osseo risalente a 33 mila anni fa che reca incisioni riconducibili ai cicli lunari. Gli intagli sono infatti caratterizzati da una sequenza di forme che rappresentano le fasi crescenti e calanti della Luna. Un altro osso, trovato nella stessa regione, presenta incisioni raggruppate in serie da 29 o 30 tacche, che probabilmente corrispondono alla conta dei giorni tra una luna piena e l’altra. Ritrovamenti di questo genere non sono affatto rari anche se l’interpretazione dei segni è spesso oggetto di opinioni discordanti. Un caso eclatante è stato rinvenuto in Germania, nella valle di Ach, ed è costituito da un manufatto in avorio di mammut che secondo l’interpretazione di alcuni ricercatori contiene una un’antica rappresentazione della costellazione di Orione. Questa presunta mappa stellare risalente a 32 mila anni fa contiene anche 86 incisioni presumibilmente riconducibili al numero di giorni annui in cui la stella più luminosa della costellazione era visibile in cielo nel luogo del ritrovamento.

Pitture rupestri di Lascaux.

Altre testimonianze potrebbero celarsi tra i simboli e le immagini ritratte nell’oscurità delle grotte paleolitiche. In Francia, ad esempio, all’interno delle grotte di Lascaux, sono state scoperte seimila figure risalenti a 17 mila anni fa che ritraggono cortei di animali, uomini e simboli astratti. Sotto la figura di un cavallo sono stati notati 29 punti scuri che ancora una volta rimandano il pensiero al ciclo lunare, mentre altri 13 punti sotto la figura di un grande cervo potrebbero essere correlati al numero di lunazioni che si verificano approssimativamente in un ciclo di quattro stagioni. Alcuni ricercatori ritengono inoltre che il complesso pittorico sia in realtà una rappresentazione del cielo stellato, al pari delle moderne carte celesti delle costellazioni. A Lascaux compare anche un chiaro riferimento solare: l’entrata della grotta è infatti allineata con il solstizio d’estate e probabilmente fu proprio per questa sua caratteristica che fu scelta come luogo sacro.

Pitture rupestri di Lascaux.

        Al di là della mera funzione calendariale dell’astronomia preistorica e dei possibili riferimenti astronomici celati tra le rappresentazioni artistiche del Paleolitico, esiste un legame tangibile tra l’osservazione del cielo e lo sviluppo delle concezioni spirituali e divinatorie; ciò ha aperto la strada a nuove ed interessanti prospettive per la comprensione dei processi cognitivi che hanno determinato lo sviluppo del pensiero metafisico che sta alla base di tutte le religioni.

Il cielo apparve agli uomini del Paleolitico come una realtà ordinata e affidabile: il Sole ricompariva ogni giorno, la Luna attraversava diverse fasi fino a completare un ciclo mentre le stelle ritornavano in determinate posizioni con regolare precisione. Gli antichi notarono che quando il Sole descriveva archi molto bassi nel cielo il dì durava meno della notte e l’aria era fredda, mentre le piante non fruttificavano e gli animali rimanevano all’interno delle loro tane. Invece quando il Sole descriveva archi molto alti succedeva esattamente l’opposto; il dì durava più della notte, l’aria era calda, le piante fruttificavano e gli animali erano nel pieno della loro vitalità. Le attività di sussistenza dell’uomo erano regolate sulla base di questo ciclo che si ripeteva con perpetua precisione. Fu notata anche l’influenzava della Luna sulle maree e una particolare relazione tra la durata del ciclo mestruale della donna e il ciclo delle fasi lunari. In più quando sorgevano determinate stelle all’imbrunire iniziavano a cadere le foglie, al sorgere di altre iniziava a nevicare e al sorgere di altre ancora la natura si risvegliava. I cacciatori-raccoglitori del Paleolitico stabilirono allora delle relazioni di causa-effetto tra ciò che succedeva in cielo e ciò che capitava sulla terra e iniziarono a credere che i destini della vita dipendessero in realtà dagli eventi astronomici, riconoscendo astri “buoni” e astri “cattivi”, rispettivamente responsabili di avvenimenti positivi e negativi per la vita dell’uomo.

L’umano desiderio di comprendere il perché delle cose, unito all’incapacità di concepire i principi scientifici radicati alla base dei processi naturali, spinse il pensiero umano oltre i limiti contingenti dell’esperienza sensibile dando forma alle prime concezioni metafisiche legate all’adorazione della natura e dei suoi elementi. “Il cielo” assunse allora una posizione di preminenza rispetto “alla terra” e con il passare del tempo gli astri vennero divinizzati, in particolar modo il Sole che ogni giorno riappariva scacciando il freddo e il buio della notte.

Venere di willendorf (calcare, 24.000-26.000 a.C., Austria). fonte immagine

La periodica rinascita della natura di cui i nostri antenati erano testimoni li indusse a ragionare anche sul concetto di fertilità e rigenerazione e a sviluppare una ritualità propiziatoria correlata. Non a caso tra le prime sculture prodotte dall’uomo compaiono le “veneri del Paleolitico”, piccole statuette femminili con corpi pingui e attributi sessuali pronunciati. Queste immagini simboliche di fertilità venivano utilizzate per propiziare il benessere del clan. Un esempio significativo è rappresentato dalla venere di Laussel, una statuetta di donna risalente a 28 mila anni fa, originariamente dipinta con ocra rossa. La figura femminile rappresentata tiene nella mano destra un corno a falce di luna con 13 tacche mentre la mano sinistra è appoggiata sul ventre. Il numero tredici potrebbe avere una doppia relazione dato che il ciclo mestruale della donna e il ciclo delle fasi lunari si ripetono mediamente per 13 volte nell’arco di un anno, ciò significa che 13 lune piene corrispondono a 13 rinnovamenti della fertilità femminile.

Venere di Laussel.

        I fenomeni di rigenerazione che avvengono periodicamente in natura e la loro correlazione con l’eterno ciclo degli eventi celesti indusse i nostri antenati a pensare che anche la vita dell’uomo poteva essere rigenerata e tale considerazione gettò le basi per lo sviluppo di tutte concezioni spirituali che riguardano il proseguimento della vita dopo la morte. Le indagini di archeoastronomia dimostrano che tutte le credenze legate al proseguimenti della vita oltre la morte sono legate ad un pensiero condiviso, che attraversa il tempo e lo spazio, dal Paleolitico alle fasi più recenti della storia.

Quando il nomadismo fu abbandonato in favore della vita sedentaria le osservazioni della volta celeste divennero mano a mano più precise. Con l’introduzione della agricoltura fu necessario stabilire un calendario preciso in modo da poter organizzare le opere agricole ma gli elementi di cui l’uomo disponeva erano troppo aleatori per poter fare delle misurazioni precise. La caduta delle foglie, il diverso livello delle acque, la diversa percezione della temperatura e l’inizio delle nevicate erano alcuni dei tanti fenomeni inequivocabili a conferma del fatto che il tempo poteva essere suddiviso in cicli di quattro stagioni, tuttavia non era possibile determinare l’esatta durata di questo ciclo osservando la caduta delle foglie o la prima nevicata. E’ nel cielo che l’uomo trovò i riferimenti necessari a misurare il tempo. Notò che il Sole sorgeva ogni giorno in un punto diverso dell’orizzonte muovendosi tra due estremi; quando sorgeva all’estremo sud-est il dì dura molto meno della notte e la natura cadeva in uno stato di sonno mortale mentre quando sorgeva all’estremo nord-est dì durava molto di più della notte e la natura era piena di vita. Fissando il punto di osservazione e piantando dei pali in maniera da traguardare l’orizzonte in corrispondenza dei due estremi l’uomo fu in grado di contare i giorni che erano trascorsi tra un alba estiva all’estremo nord-est e un’alba invernale all’estremo sud-est e quelli trascorsi nell’arco di un ciclo completo determinando così l’esatta durata di un anno. Con il tempo i pali totemici utilizzati per mirare il cielo vennero sostituiti con strutture più imponenti, come i menhir, e poi con veri e propri tempi dotati di sofisticati marcatori temporali. Cito a titolo di esempio i tumuli neolitici dell’Europa atlantica e i complessi templari dell’arcipelago maltese; in questi siti gli oggetti di culto recuperati, le caratteristiche simboliche dell’architettura e gli allineamenti astronomici dei monumenti hanno riportato al presente i principi fondamentali di un modello religioso incentrato sul tema della fertilità e della rigenerazione, che in senso ampio abbracciavano ogni aspetto dell’esistenza umana, compresa la morte. Come vedremo in seguito esiste una continuità ideologica tra le tombe del paleolitico superiore e quelle del neolitico che si protende fino all’epoca moderna, mentre il significato simbolico degli allineamenti astronomici delle tombe monumentali preistoriche è il medesimo di quello che troviamo successivamente nei monumenti funerari dell’Antico Egitto o nelle tombe dell’Antica Grecia. Tale simbologia mira ad equiparare il ciclo stagionale del Sole, inteso come vita, morte e rinascita, a quello della vita dell’uomo al fine di propiziarne la rinascita dopo la morte.

Entrata del Tempio funerario di Hatshepsut all’alba del solstizio d’inverno

        Lo scopo di un’indagine di archeoastronomia va dunque oltre all’identificazione di un eventuale allineamento astronomico dato che ciò non ci dice nulla in merito al suo significato. Il fine ultimo dell’archeoastronomia è quello di comprendere il significato di un tale allestimento simbolico e ciò può essere fatto soltanto prendendo in esame tutti gli aspetti culturali che caratterizzano un gruppo.

       L’archeoastronomia, come materia multidisciplinare, nacque in Inghilterra nel XVIII secolo quado W. Stukeley e J. Wood notarono che l’asse principale di Stonehenge è rivolto verso il punto in cui sorge il Sole nel giorno del Solstizio estivo. Nel XIX secolo Sir J.N. Lockyer e F.C. Penrose studiarono rispettivamente gli allineamenti celesti dei monumenti egizi e greci per poi collaborare ad uno studio più accurato di Stonehenge. Nel XX secolo autori come G. Hawkins, F. Hoyle, C.A. Newham l, A. Burl, V. Castellani e molti altri, estesero le indagini alla maggior parte delle strutture megalitiche dell’Europa atlantica e del Mediterraneo ottenendo risultati particolarmente significativi.

Interno del tumulo preistorico di Newgrange all’alba del solstizio d’inverno.

 

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Divulgatore storico esperto in archeoastronomia.
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