Tavola XI dell’Epopea di Gilgamesh (XII secolo a.C.), esposta al Britsh museum di Londra
Il diluvio è un tema mitologico ricorrente che nel corso dei secoli venne assorbito e rielaborato da diverse etnie mediorientali e che in ultimo divenne una narrazione cardine della tradizione ebraica con il racconto biblico di Noè. Nell’arco di un secolo sono stati recuperati presso separate sedi diverse versioni analoghe a quella della Genesi biblica, la più antica delle quali è l’epica di Ziusudra. Il mito sumero di Ziusudra è contenuto all’interno della “Genesi di Eridu” un frammento di argilla datato alla I dinastia di Babilonia (XVIII secolo a.C.). Il nome di Ziusudra (Zin-Suddu) è elencato anche nella Lista reale sumerica specificando che fu l’ultimo re a detenere il potere nella città di Shuruppak prima di una grande alluvione. Il mito del diluvio sumero ispirò poi il mito di Atrahasis, una composizione letterale paleobabilone scritta in lingua accadica datata al XVII secolo a.C. La versione babilonese che vede come protagonista Utnampishtim risale invece al XII secolo a.C. ed è contenuta all’interno della tavola XI dell’Epopea babilonese di Gilgamesh.
Sebbene ogni versione abbia elementi distintivi, i caratteri peculiari della storia sono comuni in tutte le versioni elencate.
Versione Babilonese del Diluvio
La decisione del Consiglio divino
Tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh:
Utnapishtim parlò a lui, a Gilgamesh:
“Una cosa nascosta, Gilgamesh, ti voglio rivelare,
e il segreto degli dèi ti voglio manifestare.
Shuruppak – una città che tu conosci,
che sorge sulle rive dell’Eufrate –
questa città era già vecchia e gli dèi abitavano in essa.
Bramò il cuore dei grandi dèi di mandare il diluvio.
Prestarono il giuramento il loro padre An,
Enlil, l’eroe, che li consiglia,
Ninurta il loro maggiordomo,
Ennugi, il loro controllore di canali;
Ninshiku-Ea (enki) aveva giurato con loro.
La motivazione che spinse gli dèi a voler distruggere l’umanità non viene rivelata in questa versione del mito, tuttavia la si evince da altre opere letterali precedenti. Gli uomini erano diventati troppo numerosi e il loro baccano disturbava il sonno degli dèi, così Enlil, adirato, riunì il consiglio superiore presieduto da An (dio del cielo e padre degli Anunnaki), Ninurta (dio del vento del sud), Ennugi (dio dei canali d’irrigazione) e Ninshiku-Ea/”Enki” (dio delle acque sotterranee). Insieme decisero di mettere fine al tempo dell’uomo. Enki, tuttavia, sabotò l’iniziativa promossa dal fratello Enlil avvisando Utnampishtim dell’imminente diluvio, ragguagliando l’uomo su come costruire un’arca che gli permettesse di sopravvivere al flagello. Per farlo usò uno stratagemma abbastanza singolare. Per non tradire il giuramento divino non parlò direttamente a Utnampishtim ma rivolse le sue parole al muro della casa in cui l’uomo abitava, fingendo di non sapere che Utnampishtim lo stava ascoltando al di là della parete.
Enki rivela a Utnampishtim la decisione degli dèi e lo istruisce su come costruire un’arca
tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh:
Tavola XI dell’Epopea di Gilgamesh (XII secolo a.C.), esposta al Britsh museum di Londra
Le loro informazioni (quest’ultimo) però le rivelò ad una capanna.
“Capanna, capanna! Parete, parete!
Capanna, ascolta; parete, comprendi!
Uomo di Shuruppak, figlio di Ubartutu,
abbatti la tua casa, costruisci una nave,
abbandona la ricchezza, cerca la vita!
Disdegna i possedimenti, salva la vita!
fai salire sulla nave tutte le specie viventi!
La nave che tu devi costruire
-le sue misure prendi attentamente,
eguali siano la sua larghezza e la sua lunghezza – ;
tu la devi ricoprire come l’Apsu”.
Io compresi e così io parlai al mio signore Enki:
“L’ordine, mio signore, che tu mi hai dato,
l’ho preso sul serio e lo voglio eseguire.
Che cosa dico però alla città, agli artigiani e agli anziani?
Enki aprì la sua bocca, così parlò a me il suo servo:
“Tu, o uomo, devi parlare loro così:
‘Mi sembra che Enlil sia adirato con me;
perciò non posso vivere più nella vostra città
non posso più porre piede sul territorio di Enlil.
Per questo voglio scendere giù nell’Apsu,
e là abitare con il mio signore Enki.
Su di voi però Enlil farà piovere abbondanza,
abbondanza di uccelli, abbondanza di pesci.
Egli vi regalerà ricchezza e raccolto.
Al mattino egli farà scendere su di voi focacce,
di sera egli vi farà piovere una pioggia di grano”.
A questo punto della descrizione è interessante aprire una parentesi dedicata al più recente racconto Biblico del diluvio perché tra i caratteri cuneiformi dell’Epopea di Gilgamesh c’è la chiave per capire le macroscopiche incongruenze che emergono dalla narrazione dell’episodio Biblico.
Nella Genesi biblica il Signore viene descritto a tratti furioso e a tratti compassionevole, quasi come se avesse una doppia personalità.
tratto dalla Sacra Bibbia, Genesi 6,5-7:
Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti
In questi versi della Genesi bibilica (e non sono certo gli unici) il Signore viene descritto come un dio iracondo, ben diverso dall’entità onnisciente che tutto vede e tutto sa descritta dalla dottrina cattolica. Al contrario possiede sentimenti umani, si addolora nel vedere la malvagità insita nell’animo umano e si pente di aver creato l’uomo. Dunque è un dio che può sbagliare e cambiare idea, ed è ciò fa vedendo Noè, un uomo giusto che viveva seguendo la sua parola. E’ il cosiddetto “antropomorfismo divino” che domina tutta la Genesi e biblica.
Tratto dalla Sacra Bibbia, Genesi 6,9-12)
Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam, e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra.
In queste righe il Signore si ravvede delle sue intenzioni e decide di proteggere Noè e la sua famiglia dal diluvio imminente fornendogli precise istruzioni. Dalle azioni del Signore emerge una doppia personalità, da un lato è irascibile e non si fa alcuno scrupolo all’idea di cancellare ogni forma di vita dalla Terra, dall’altra è compassionevole e desideroso di preservare dalla distruzione il seme della vita, salvando Noè, la sua progenie e ogni forma di vita animale e vegetale. L’incongruenza è evidente e lo è ancora di più se si considera che sono stati i figli di Noè a ripopolare la Terra dopo il diluvio, nonostante quest’ultimi fossero inclini alle medesime carenze morali che affliggevano il resto dell’umanità. Dopo aver letto le vicende descritte nel mito del diluvio babilonese sarà chiaro al lettore il motivo della “doppia personalità” del dio ebraico della Bibbia. Nell’Epopea di Gilgamesh le divinità che interagiscono con l’uomo sono molteplici e tutte hanno una propria personalità, come nel caso di Enlil ed Enki, il primo vuole distruggere il genere umano, il secondo lo vuole salvare. I miti arcaici descritti nei testi dell’antica Mesopotamia, come quello del diluvio, furono assorbiti e rielaborati dalla mitologia ebraica, dunque l’adattamento di racconti politeistici ad una nuova versione monoteistica ha fatto sì che le azioni compiute da più divinità diventassero quelle di una sola, con evidenti contraddizioni.
La costruzione dell’arca
Tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh:
Appena l’alba spuntò,
si raccolse attorno a me tutto il paese;
il falegname portò la sua ascia,
il giuncaio portò il suo …
I giovani uomini [ ]
le case [ ] le mura di mattoni.
I fanciulli portarono pece.
Il povero [ ] portò il necessario.
Al quinto giorno disegnai lo schema della nave;
la sua superficie era grande come un campo,
le sue pareti erano alte 120 cubiti.
Il bordo della sua copertura raggiungeva anch’esso 120 cubiti.
Io tracciai il suo progetto, feci il suo modello:
suddivisi la superficie in sei comparti,
innalzai fino a sette piani.
La sua base suddivisi per nove volte.
Nel suo mezzo infissi pioli per le acque;
scelsi le pertiche e approntai tutto ciò che serviva alla sua costruzione:
tre sar di bitume grezzo versai nel forno,
tre sar di bitume fine impiegai;
tre sar di olio portarno le persone portatrici dei canestri.
Tranne un sar di olio che il niqqu ha consumato,
e due sar di olio messi da parte dal marinaio.
Come approvvigionamento macellai buoi,
giorno dopo giorno uccisi pecore;
mosto, birra, olio e vino
gli artigiani bevvero come fosse acqua del fiume,
essi celebrarono una festa come se fosse la festa del Nuovo Anno!
Al sorgere del sole io feci un’unzione;
al tramonto la nave era pronta.
Il varo della nave fu molto difficile;
corde per il varo furono lanciate sopra e sotto;
due terzi di essa stavano sopra la linea d’acqua.
Tutto ciò che io possedevo lo caricai dentro:
tutto ciò che io possedevo di argento lo caricai dentro,
tutto ciò che io possedevo di oro lo caricai dentro,
tutto ciò che io possedevo di specie viventi le caricai dentro:
sulla nave feci salire tutta la mia famiglia e i miei parenti,
il bestiame della steppa, gli animali della steppa,
tutti gli artigiani feci salire.
L’inizio del diluvio me lo aveva indicato Shamash:
“Al mattino farò scendere focacce, la sera farò piovere
una pioggia di grano;
allora sali sulla nave e chiudi la porta!”.
Nell’epopea di Gilgamesh, come nella Bibbia, il diluvio ha un carattere punitivo, anche se sono diversi i motivi che spinsero gli dèi Anunnaki e il Signore ebraico a compiere un’azione così drammatica. Nella Bibbia gli uomini vengono puniti per la loro malvagità, perché ogni disegno concepito dai lori cuori non era altro che male. Nell’epopea di Gilgamesh, invece, si fa riferimento alla “rumorosità” del genere umano. Va ricordato che nella mitologia babilonese gli dèi erano divisi in due categorie, Gli Anunnaki e gli Igigi. Quest’ultimi erano esasperati dal duro lavoro a loro imposto dagli Anunnaki e a un certo punto si rifiutarono di lavorare, scontrandosi duramente con Enlil, uno dei principali componenti dell’aristocrazia superiore. Fu allora che intervenne Enki, il fratello di Enlil, che mise in accordo tutti creando un sostituto che lavorasse nei campi al posto degli Igigi. Creò l’uomo, una creatura che dalla terra nasce e alla terra ritorna quando muore. Siccome la decisione di distruggere il genere umano appare uno sconsiderato capriccio, vista l’importanza di quest’ultimo nell’equilibrio tra Anunnaki e Igigi, il termine “rumorosità” potrebbe anche essere reinterpretato con un eccessivo aumento della popolazione e un progresso intellettivo, tramite cui l’uomo tentava di rendersi indipendente dalla volontà divina.
L’arrivo del diluvio
Tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh:
Venne il momento indicato:
al mattino scesero focacce, la sera una pioggia di grano.
Io allora osservai le fattezza del giorno:
al guardarlo, il giorno incuteva paura.
Entrai dentro la nave e sprangai la mia porta.
Al marinaio Puzur-Amurri, il costruttore della nave,
regalai il palazzo con tutti i suoi averi.
Appena spuntò l’alba,
dall’orizzonte salì una nuvola nera.
Adad all’interno di essa tuonava continuamente,
davanti ad essa andavano Shullat e Canish;
i ministri percorrevano monti e pianure.
Il mio palo d’ormeggio strappò allora Erragal.
Va Ninurta, le chiuse d’acqua abbatte.
Gli Anunnaki sollevano fiaccole,
con la loro luce terribile infiammano il paese.
Il mortale silenzio di Adad avanza nel cielo,
in tenebra tramuta ogni cosa splendente.
Il paese come un vaso egli ha spezzato.
Per un giorno intero la tempesta infuriò,
il vento del sud si affrettò per immergere le montagne nell’acqua:
come un’arma di battaglia la distruzione si abbatte
sugli uomini.
A causa del buio il fratello non vede più suo fratello,
dal cielo gli uomini non sono più visibili.
Gli dei ebbero paura del diluvio,
indietreggiarono, si rifugiarono nel cielo di An.
Gli dei accucciati come cani si sdraiarono la fuori!
Ishtar grida allora come una partoriente,
si lamentò Belet-Ili, colei dalla bella voce:
“Perché quel giorno non si tramutò in argilla,
quando io nell’assemblea degli dei ho deciso il male?
Perché nell’assemblea degli dei ho deciso il male,
dando, come in guerra, l’ordine di distruggere le mie genti?
Io proprio io ho partorito le mie genti
ed ora i miei figli riempiono il mare come larve di pesci”.
Allora tutti gli dei Anunnaki piansero con lei.
Gli dei siedono in pianto.
Secche sono le loro labbra; non prendono cibo!
Sei giorni e sette notti
soffia il vento, infuria il diluvio, l’uragano livella il paese.
Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, il diluvio
cessa la battaglia,
dopo aver lottato come una donna in doglie.
Si fermò il mare, il vento cattivo cessò e il diluvio si fermò.
Io osservo il giorno, vi regna il silenzio.
Ma l’intera umanità è ridiventata argilla.
Come un tetto è pareggiato il paese.
La missione esplorativa degli uccelli
Tratto dalla tavoletta XI dell’Epopea di Gilgamesh
Aprii allora lo sportello e la luce baciò la mia faccia.
Mi abbassai, mi inginocchiai e piansi.
Sulle mie guance scorrevano due fiumi di lacrime.
Scrutai la distesa delle acque alla ricerca di una riva:
finché ad una distanza di dodici leghe non scorsi un’isola.
La nave si incagliò sul monte Nisir.
Il monte Nisir prese la nave e non la fece più muovere;
un giorno, due giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere;
tre giorni, quattro giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere;
cinque giorni, sei giorni, il monte Nisir prese la nave
e non la fece più muovere.
Quando giunse il settimo giorno,
feci uscire una colomba, la liberai.
La colomba andò e ritornò,
un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.
Feci uscire una rondine, la liberai;
andò la rondine e ritornò,
un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.
Feci uscire un corvo, lo liberai.
Andò il corvo e questo vide che l’acqua ormai rifluiva,
egli mangiò, starnazzò, sollevò la coda e non tornò.
L’astronomia fu una delle prime scienze ad essere praticate dall’uomo. I nostri antenati, fin dalla preistoria, non si limitarono al ruolo di semplici spettatori dei fenomeni astronomici e grazie a ripetute osservazioni scoprirono un nesso tra i moti celesti e l’alternarsi delle stagioni. Tra i movimenti ricorrenti dell’ingranaggio cosmico individuarono i riferimenti necessari a misurare il tempo e sulla base di questi compilarono dei calendari convenzionali utili al fine di organizzare tutte le attività umane, da quelle religiose a quelle necessarie al sostentamento. La progressione stagionale del Sole divenne oggetto di profonde venerazioni e credenze, le quali influenzarono i convincimenti religiosi che emersero all’alba delle epoca storica. Oggi l’archeoastronomia combina gli studi di archeologia con quelli di astronomia, indagando la conoscenza e la comprensione che gli antichi abitanti della terra avevano dei fenomeni celesti, come li utilizzavano e quale ruolo avevano all’interno delle loro società.
La cultura di Xochicalco è una delle meno conosciute del periodo epi-classico. Furono un popolo di commercianti che si stabilì nel cuore del Messico, in corrispondenza dell’attuale regione di Morelos, tra la caduta dell’impero Teotihuacan e il fiorire della civiltà tolteca, approssimativamente tra l’VIII e il IX secolo d.C.. Gli abitanti di Xochicalco, così come tutti i popoli precolombiani, possedevano sofisticati calendari astronomici, dai quali ricavavano le previsioni necessarie a regolare tutte le loro attività.
Il passaggio del Sole allo zenit era un’evento di particolare importanza, al pari dei solstizi e degli equinozi, in quanto coincideva sempre con una rilevante variazione climatica (e ancora oggi è così). Lo zenit è un punto immaginario della volta celeste che si trova esattamente sopra la testa dell’osservatore e quando il Sole lo raggiunge i suoi raggi cadono perpendicolari rispetto al piano dell’osservatore. Questo fenomeno è osservabile soltanto alle latitudini comprese tra i due tropici; all’equatore il Sole raggiunge lo zenit nel giorno dell’equinozio, mentre ai tropici lo raggiunge durante i solstizi (sul tropico del cancro il 21 giugno, sul tropico del capricorno il 21 dicembre). Nelle fasce comprese tra l’equatore e i tropici il passaggio del Sole allo zenit si può osservare in periodi intermedi a seconda della latitudine, mentre al di là delle fasce tropicali il Sole non raggiunge mai lo zenit.
Osservatorio verticale di Xochicalco. A sinistra: lo spiraglio a camino realizzato con pietre a secco. fonte immagine | A destra: Il centro della grotta. fonte immagine
A differenza di solstizi ed equinozi equinozi, che avvengono contemporaneamente in tutto il mondo, il passaggio del Sole allo zenith si verifica in giorni differenti in rapporto alla distanza che separa il punto d’osservazione dalla linea dall’equatore. Quando il Sole raggiunge lo zenit gli oggetti verticali non producono ombre, per cui gli antichi utilizzavano pilastri, steli o bastoni verticali per monitorare questo evento astronomico. Gli astronomi potevano inoltre monitorare l’avvicinarsi del fenomeno attraverso lo studio giornaliero delle ombre. Al di là delle credenze religiose, era di fondamentale importanza sapere quanti giorni mancavano al passaggio del Sole allo zenit. In Messico il primo passaggio annuale del Sole allo zenit avviene a metà maggio e coincide con l’inizio della stagione piovosa, mentre il secondo passaggio del Sole allo zenit si verifica a fine luglio e coincide con l’inizio del periodo di raccolta.
Grazie allo studio delle ombre, i sacerdoti e gli astronomi potevano stabilire quanto mancava all’inizio delle piogge e di conseguenza determinare il momento più propizio per la semina. Alla latitudine di Xochicalco il primo passaggio del Sole allo zenit si verifica esattamente il 14 maggio, circa un mese prima del solstizio d’estate, mentre il secondo passaggio del Sole allo zenit avviene il 28 luglio, poco più di un mese dopo il solstizio.
Ogni società del passato concepì un proprio insieme di credenze al fine di dare una spiegazione alle misteriose forze che provocano i mutamenti stagionali per cui gli eventi astronomici che li accompagnano erano celebrati con importanti attività liturgiche.
Piramide-tempio del Serpente piumato. fonte immagine
La Grotta del Sole di Xochicalco (così come la struttura “P” di Monte Albán) è un osservatorio zenitiale sotterraneo anticamente utilizzato per monitorare la progressione stagionale del Sole. I raggi del Sole penetrano all’interno della grotta mediante un’apertura sul soffitto, proiettando una colonna luminosa. Durante il passaggio del del Sole allo zenith, il 14 maggio e 28 luglio, il fascio di luce che attraversa lo spiraglio cade verticalmente, proiettando l’immagine del Sole sul pavimento della grotta.
L’architettura del centro cerimoniale di Xochicalco permette di rilevare anche il giorni equinoziali. La piramide principale del complesso e altre due piramidi-tempio satelliti circondano la piazza della “stele dei due glifi”. Le due piccole piramidi tempio sorgono a est e a ovest della stele posta al centro della piazza, mentre la piramide principale domina il lato nord dell’area cerimoniale. Osservando l’alba equinoziale dal centro della piazza, nel punto in cui è stata collocata la stele, si può osservare il Sole mentre sorge alle spalle della piramide-tempio est.
A sinistra: Orientamento astronomico della Piazza della “stele dei due glifi”. fonte immagine originale | A destra: orientamento della piramide-tempio est durante l’alba equinoziale. fonte immagine originale
Garcilaso de la Vega fu uno scrittore peruviano che documentò le origini e gli aspetti culturali degli antichi abitanti del Perù. Nacque a Cuzco nel 1539 e venne soprannominato “El Inca” siccome era figlio del conquistatore spagnolo Sebastián Garcilaso de la Vega y Vargas e della principessa inca Isabel Suárez Chimpu Ocllo, una discendente del sovrano inca Huayna Capac. All’interno del suo libro “Commentari reali degli Inca” (pubblicato a Lisbona agli inizi del 1600 d.C.) riportò una descrizione delle pratiche anticamente impiegate nelle Terre Inca per deformare il cranio dei neonati:
“Deformavano il capo ai neonati appena venivano al mondo, a tale scopo ponendo loro sulla fronte un tavoletta e un’altra sulla nuca e giorno per giorno stringendole insieme fino all’età di quattro anni, in modo che il cranio ne risultasse appiattito e largo, e non contenti di averlo schiacciato il più possibile, radevano i capelli fino alla sommità e alla nuca lasciando quelli ai lati, i quali non dovevano essere pettinati e lisciati, bensì crespi e irti, onde aumentare la mostruosità delle facce “.
Tratto da “Commentari reali degli Inca”, Garcilaso de Vega, 1°edizione 1609
fig.1 Deformazione cranica riconducibile alla cultura paracas 750 a.C.-100 d.C.
Garcilaso de la Vega era di origini inca da parte di madre, ciononostante non nascose il suo ribrezzo nei confronti di queste pratiche culturali. A quell’epoca non poteva immaginare che si trattava di un fenomeno diffuso in varie parti del mondo. Tra i primi a rendersene conto ci fu il famoso antropologo Charles Darwin, che alla metà del XVII secolo scrisse:
“Sia nel Vecchio che nel Nuovo Mondo la forma del cranio veniva anticamente modificata durante l’infanzia nel modo più straordinario, come è ancora il caso in molti luoghi e cosiffatte deformità sono considerate ornamentali”
Tratto da “L’origine dell’uomo e la selezione sessuale”, Charles Darwin, 1° edizione 1871
In Sud-america, presso le etnie Tiahuanaco, Paracas, Nazca ed Inca, veniva praticata la deformazione del cranio, contemporaneamente a quanto succedeva in Centro-America tra Aztechi e Maya. Il più antico cranio deformato artificialmente risale a circa 8500 anni fa ed è stato trovato nelle caverne Lauricocha in Perù. Un’ampia disponibilità di reperti archeologici documenta l’elevata specializzazione conseguita dalla culture precolombiane nelle operazioni al cranio. Al museo regionale di Ica ne ho potuti osservare a decine, i magazzini dei musei peruviani straripano letteralmente di crani deformati e molti di questi presentano deformazioni davvero estreme. Anche in altre parti del pianeta veniva praticata la deformazione cranica; a Biblo, in Libano, vennero rivenuti diversi crani deformati datati al 4000 a.C., altri crani allungati furono trovati sull’isola di Malta, per l’esattezza all’interno dell’Ipogeo Hal Saflieni (3600 e 2500 a.C), altri ancora, risalenti all’età del ferro, vennero recuperati in Georgia.
fig.2 Principessa di Amarna, figlia di Akhenaton. XVIII dinastia (circa 1350 a.C.). Esposta al Neues Museum di Berlino.
L’arte egizia è ricca di opere artistiche che mostrano individui di stirpe reale con crani allungati. Queste rappresentazioni sono particolarmente diffuse nel contesto dell’arte amarniana, lo stile artistico che contraddistinse il regno del faraone eretico Akhenaton (XVIII dinastia, 1350 a.C.). Il sovrano e i membri della sua famiglia vennero sempre rappresentati con il cranio allungato (fig.2-3). Alcune mummie egizie presentano effettivamente crani leggermente allungati, anche se in minor misura rispetto alle rappresentazioni artistiche. La mummia di Tutankhamon (il figlio di Akhenaton) è probabilmente la mummia egizia più studiata dalle storia, attraverso sofisticate scansioni tridimensionali della sua struttura cranica è stato persino realizzato un busto di silicone per replicare il suo aspetto originale, riproducendo un cranio leggermente allungato.
Gli antropologi del XX secolo hanno documentato presso isolate tribù indigene africane recenti pratiche di deformazione cranica.
fig.3 Akhenaton, Nefertiti e figli in un rilievo di Amarna. (1350 a.c. circa). Conservato al Neues Museum di Berlino.
La deformazione artificiale del cranio e altre alterazioni del corpo, come tatuaggi e piercing, hanno sempre accompagnato le espressioni culturali dell’uomo, oltrepassando il semplice significato estetico e indicando nella quasi totalità dei casi l’appartenenza ad una casta.
Fondamentalmente esistono due tipi di deformazioni, le deformazioni tabulari e quelle anulari. Le deformazione anulari sono provocate da strette fasciature che avvolgono il capo. Questo bendaggio, applicato costantemente durante i primi anni di vita, causa la dolicocefalia artificiale del cranio e in base alla posizione delle bende si possono ottenere deformazioni anulari oblique o erette. Le deformazioni tabulari sono invece provocate comprimendo soltanto la fronte e la nuca con delle tavolette.
Gli interventi al cranio non si limitavano alla sola deformazione. Un’ampio numero di ritrovamenti archeologici ha messo in luce un’antica e inaspettata confidenza con gli interventi chirurgici al cranio. Molti crani mostrano trapanazioni e protesi metalliche applicate sui fori in sostituzione delle sezioni ossee rimosse. Una ricerca sulle mummie preincaiche ha dimostrato che almeno il 5% di queste presenta una o più perforazioni craniche, di cui una parte erano state chiuse con placche che potevano essere di diverso materiale, spaziando da quelle metalliche a quelle realizzate con gusci di noci.
fig.4 A sinistra, Trapanazioni al cranio. Museo nazionale di archeologia, antropologia e storia di Lima. fig.5 A destra, Cranio con placca in Oro. Museo dell’oro di Lima. fonte immagine
L’inserimento di una protesi cranica era la procedura che seguiva la trapanazione, così come avviene tutt’oggi nelle moderne sale operatorie. Nonostante la drasticità dell’intervento, il tasso di sopravvivenza era comunque elevato e questo lo si può determinare con esattezza in base all’eventuale presenza di calcificazioni ossee attorno alle sezioni trapanate. Le trapanazioni venivano eseguite per motivi medico terapeutici, per far fronte a gravi traumi del cranio, come quelli che potevano essere causati dal colpo di una mazza alla testa. Le indagini hanno però dimostrato che oltre allo scopo terapeutico venivano eseguite trapanazioni anche nell’ambito di pratiche magico/religiose. La prima immagini a sinistra è state scattata al Museo Nazionale di archeologia, antropologia e storia di Lima e mostra due crani di origine paracas (fig.4), un popolo preincaico vissuto lungo le coste centro peruviane tra il 750 a.C e il 100 d.C.. Attorno alla sezione trapanata del cranio in primo piano sono evidenti i segni di una calcificazione ossea che si è estesa sotto la placca metallica (probabilmente in oro) che venne inserita come protesi ricostruttiva, provando di fatto che il paziente era sopravvissuto a lungo dopo l’intervento. Quasi la totalità delle placche, in quanto composte da metalli preziosi, sono andate perdute salvo poche eccezioni. Un cranio con placca in oro ancora inserita è esposto al Museo dell’oro di Lima (fig.5), in questo caso la sezione ossea è stata rimossa incidendo con uno strumento affilato quattro segmenti.
I primi interventi cranici risalgono al mesolitico (10.000-7.500 a.C.), nel corso del neolitico (7.500-5.300 a.C.) invece divenne una pratica diffusa su larga scala.
Il “cranio di Catignano” risale al 5000 a.C. ed è il più antico cranio trapanato mai rinvenuto in Italia. La più antica testimonianza in Europa è stata invece rinvenuta in Alsazia, a Ensisheim, ed è datata 7.000 a.C. In Francia, nella necropoli neolitica di Loisy-en-Brie, è stato rinvenuto un cranio trapanato dotato di lembo osseo a chiusura del foro.
A meno che il paziente non avesse perso conoscenza gli interventi venivano praticati da svegli somministrando droghe, antisettici e sedativi naturali. Nonostante ciò a tutti coloro che dovevano affrontare un simile intervento era richiesta un’elevata sopportazione del dolore e una buona dose di coraggio.
Deformazioni del cranio nel ventesimo secolo presso tribù indigene africane.
Ho inserito un raro documento filmato realizzato lo scorso secolo da un’antropologo che mostra una trapanazione ossea eseguita senza anestesia e strumenti chirurgici moderni presso la tribù keniana dei Kisii per fini rituali.