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Bisogna riconoscere che quando noi pensiamo all’uomo della preistoria commettiamo generalmente due grandi ingiustizie nei suoi confronti, sottovalutandone enormemente alcuni aspetti.     
Sicuramente l’uomo neolitico possedeva meno informazioni rispetto a noi, ma un conto è poter usufruire di numero inferiore di nozioni, un altro è avere una differente predisposizione al ragionamento. Da questo punto di vista, dobbiamo immaginare che il nostro antico progenitore avesse una curiosità intellettuale analoga alla nostra, una capacità di ragionamento simile e che si ponesse già in maniera critica di fronte ai problemi e ai fenomeni naturali. Se pensiamo alla raffinata sensibilità degli artisti che decorarono le grotte di Altamira, in Spagna, o quelle di Lascaux, in Francia, non possiamo non riconoscere nella mano che ha tracciato quelle figure una sensibilità almeno pari alla nostra.        
La seconda grande ingiustizia che commettiamo nei confronti dell’uomo della preistoria consiste nel sottovalutare enormemente la sua completa e assoluta integrazione nell’ambiente naturale che lo circondava.

Tratto da “Cieli perduti, Archeoastronomia: le stelle dei popoli antichi” di Guido Cossard, UTET 2010, DeA Planeta libri 2018. Pag.5

Le indagini sul genoma umano hanno dimostrato che le qualità genetiche della nostra specie erano già formate quando i nostri antenati migrarono dall’Africa al Vicino Oriente, all’incirca 60.000 anni fa e che le piccole variazioni del genoma avvenute a partire da quell’epoca non sono sufficienti per giustificare l’enorme complessità di comportamenti acquisiti dall’uomo nelle epoche più recenti della storia. La transizione tra la vita nomade e quella sedentaria ebbe inizio soltanto attorno al 12.000 a.C. nelle regioni del Levante, ciò significa che coloro che vissero in quelle regioni durante il Paleolitico non modificarono il loro regime di sussistenza per almeno 50.000 anni. La sedentarietà favorì invece lo sviluppo di numerose innovazioni tecniche e sociali concatenate e di ulteriori trasformazioni dei modi di vivere a cominciare dalla sostituzione del regime di sussistenza basato su caccia e raccolta che nell’arco di un tempo relativamente breve venne sostituito con un’economia di villaggio incentrata sull’addomesticamento delle piante e degli animali selvatici.

Se le qualità genetiche della nostra specie si erano già formate 60.000 anni fa, come mai ci vollero 50.000 anni prima che si verificasse un significativo progresso sociale e tecnologico? E per quale motivo l’adozione di una dimora fissa fece scattare la scintilla nel motore del progresso?
Il Paradosso preistorico verte proprio sullo scarto temporale che separa la formazione del genoma umano moderno e il “decollo” socio-culturale.
Oggi sappiamo per certo che l’evoluzione culturale e tecnologica dell’Homo sapiens non fu determinata da nuove qualità genetiche emerse improvvisamente all’alba del neolitico e che le abilità cognitive degli uomini delle caverne non erano inferiori a quelle di coloro che gettarono le basi della civiltà durante la rivoluzione neolitica, o rispetto agli stessi uomini del ventunesimo secolo; dunque quale è la sostanziale differenza tra queste generazioni di uomini?
Durante il Paleolitico lo sviluppo di un linguaggio articolato facilitò la condivisione delle esperienze personali e la trasmissione del sapere favorendo la formazione di un “bagaglio culturale” comune. Con il passare dei millenni l’accrescimento del sapere fece sì che ogni individuo potesse beneficiare dell’esperienza accumulata dalle precedenti generazioni, tuttavia la condivisione delle esperienze personali fu drasticamente limitata per tutta la durata del Paleolitico a causa dall’esiguo numero di persone che vivevano a stretto contatto tra loro; ogni clan nomade era infatti composto da non più di 20 o 30 individui. Inoltre il nomadismo bloccò lo sviluppo della cultura materiale dato che la dimensione e la quantità degli strumenti concepiti doveva essere rapportata all’esigenza di un bagaglio ridotto per non appesantire i frequenti spostamenti sul territorio.
Lo sviluppo dei primi insediamenti stabili e la possibilità di poter accumulare gli oggetti e le risorse determinò un importante aumento demografico; cosicché sempre più persone si trovarono a confrontare vicendevolmente le proprie esperienze personali; dalle interazioni quotidiane negli spazi condivisi dei villaggio derivarono infatti conoscenze e relazioni condivise. La condivisione del sapere all’interno delle comunità sedentaria fu terreno fertile per la sperimentazione delle idee e per l’accrescimento della conoscenza, mettendo in luce le abilità concettuali dell’uomo, che per ovvie ragioni non potevano essersi formate di punto in bianco all’alba della rivoluzione neolitica ma dovevano essere latenti nella mente umana già da decine di migliaia di anni.
L’arretratezza tecnica e sociale dei nostri antenati è forviante in quanto coloro che trovano riparo nelle caverne vivendo di caccia e raccolta non erano meno intelligenti di coloro che iniziarono a produrre il cibo in maniera autonoma, o di coloro che fondarono città, stati e imperi, semplicemente erano meno sapienti in quanto potevano beneficiare di un bagaglio culturale estremamente ridotto rispetto a quello delle più recenti generazioni di uomini. Tale bagaglio culturale iniziò ad arricchirsi grazie alla sedentarietà e all’aumento demografico. L’adozione di una casa cambiò radicalmente la condizione umana permettendo l’addomesticamento delle piante e degli animali e favorendo lo sviluppo di tecniche speciali destinate alla trasformazione e conservazione delle risorse alimentari. Lungo le sponde dei grandi corsi d’acqua della Mesopotamia nacquero inoltre i primi sistemi socio-economici capaci di produrre eccedenze alimentari (rivoluzione neolitica secondaria) favorendo lo sviluppo delle attività artigianali e commerciali. I villaggi sorti nei territori più fertili del Vicino Oriente si ampliarono in maniera esponenziale fino a diventare vere e proprie città caratterizzate da una complessa stratificazione sociale e da un’elevata specializzazione del lavoro. Lo sviluppo dei primi sistemi di scrittura favorì  poi la gestione dei rapporti sociali e l’accrescimento del sapere. Non è un caso che lo sviluppo delle prime civiltà storiche coincida con l’introduzione di un sistema indiretto capace di conservare le informazioni.

L’istruzione è fondamentale per poter accedere alle capacità concettuali della mente, oggi come 60.000 anni fa. I bambini nati al giorno d’oggi nei paesi sviluppati possono beneficiare fin dai primi anni della loro vita degli insegnamenti forniti dai sistemi scolastici, oltre a ciò il contesto sociale in cui vivono gli dà accesso ad una quantità incalcolabile di informazioni che stimolano lo sviluppo dell’intelletto fino all’età adulta. La maggior parte delle informazioni acquisite da un individuo nell’arco della propria vita provengono delle esperienze che il genere umano ha maturato nel corso di migliaia di anni, perciò il bagaglio culturale accumulato di generazione in generazione dà modo ad ogni futuro uomo di conoscere il mondo che lo circonda senza doverlo scoprire unicamente con le proprie forze. I bambini nati in un contesto rurale di inizio secolo scorso, invece, avevano accesso ad una quantità di informazioni molto più limita, e per lo più legate alle attività che dovevano svolgere per garantirsi il sostentamento. Le capacità concettuali sviluppate dalle loro menti furono perciò limitate rispetto al loro effettivo potenziale. Un ipotetico confronto tra un individuo istruito in tempi recenti e uno vissuto nel dopo guerra in un contesto di vita contadina evidenzierebbe enormi differenze, col risultato che il secondo sembrerebbero molto meno intelligente rispetto al primo malgrado potenzialità intellettive sommariamente equivalenti. Lo stesso discorso è valido nel contesto di un confronto tra un uomo del ventunesimo secolo e un uomo dell’età della pietra, dato che le variazioni del genoma avvenute negli ultimi 60.000 anni sono talmente piccole da potersi considerare in tal senso trascurabili.
E’ stato l’accrescimento del sapere, maturato anche grazie all’acquisita capacità di saperlo tramandare alle successive generazioni, a determinare lo sviluppo sociale e tecnologico dell’uomo; dimostrarlo è estremamente semplice utilizzando un secondo esempio. Se un bambino di oggi crescesse senza istruzione scolastica e al riparo dal progresso sociale e tecnologico, in condizioni simili a quelle in cui vivevano gli uomini dell’età della pietra, una volta raggiunta l’età adulta apparirebbe sotto certi aspetti “primitivo” e le sue possibilità di comprendere il contesto sociale moderno sarebbero totalmente compromesse.
Sulla base di queste valutazioni gli antropologi dividono la storia dell’evoluzione umana in due periodi, quello di speciazione, e quello tettonico. Nella lunghissima fase di speciazione, iniziata diversi milioni di anni fa, furono le variazioni del genoma a dominare il processo evolutivo, portando all’acquisizione di nuovi comportamenti. Due esempi lampanti potrebbero essere rappresentati dalla capacità di camminare in posizione eretta e dalla capacità di esprimere un linguaggio, due comportamenti che per essere sostenuti dovevano necessariamente contare su nuove qualità genetiche emerse ad un certo punto dell’evoluzione. Nella fase tettonica, invece, fu l’accrescimento del sapere a determinare l’acquisizione di nuovi comportamenti; un esempio potrebbe essere rappresentato dalla capacità maturata dall’uomo di produrre in maniera autonoma il cibo necessario alla propria sussistenza, sviluppata nell’arco di molte generazioni, nelle quali vennero selezionate le piante e gli animali più adatti sulla base delle esperienze personali. Chiaramente l’evoluzione genetica è continuata anche durante la fase tettonica, ma il suo contributo all’acquisizione di nuovi comportamenti è stato estremamente inferiore rispetto a quello determinato dalla condivisione delle esperienze personali e dalla capacità di conservare il sapere a beneficio delle future generazioni.

Lettura tematica consigliata da Civiltà eterne.it
“Preistoria. L’alba della mente umana” di C. Matthiae e Colin Renfrew, Edizione Einaudi

Fonti:
“Preistoria. L’alba della mente umana” di C. Matthiae e Colin Renfrew, Edizione Einaudi
“Bibliotheca historica” di Diodoro siculo

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Divulgatore storico esperto in archeoastronomia.
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