E’ qui, ad Ħaġar Qim, tra “le pietre della preghiera”, come le chiamavano gli abitanti dell’isola, che mi recavo al tramonto quando la luce era radente e meglio esaltava le pietre e i rilievi scolpiti, per immaginare ad occhi aperti come doveva svolgersi la vita 6000 anni fa. Il trasporto delle pietre cavate, forse fatto cantando per sopportare meglio la fatica, i raggi del Sole che entravano in coincidenza del solstizio d’estate da un pertugio volutamente creato nella pietra, ad illuminare un altare presso il quale venivano svolti riti la cui natura non riusciremo a comprendere mai completamente; forse la vestizione di alcuni personaggi, uomini e donne, in parte pronti a ritirarsi in zone non facilmente visibili a tutti all’interno delle absidi. E la luce? La luce nella notte? Da quale fonte proveniva? Dal chiarore di un cielo stellato oppure dal fuoco delle torce? Oppure al calar del Sole ogni attività terminava? Mi pareva ancora di udire un vociare di bambini e bambine, un chiacchericcio gioioso che presto veniva zittito dall’intervento di qualche adulto, poi insieme, mano nella mano, forse entravano per celebrare qualche importante cerimonia “di passaggio” nella loro vita, come l’inizio della pubertà o il ricordo di qualche antenato o antenata a loro particolarmente cari.
Tratto da “Malta: le costruzioni preistoriche. Un archeologo racconta” di Monica Piancastelli. Edizione Polaris, 2018.
Ħaġar Qim è un complesso templare preistorico collocato all’estremità meridionale dell’isola di Malta, in cima ad un promontorio calcareo che degrada dolcemente verso il mare. Gli edifici del complesso vennero eretti dalla cultura neolitica di Malta e Gozo tra IV e il III millennio a.C., utilizzando enormi blocchi di calcare globigerina, una roccia relativamente facile da lavorare per il via del proprio grado di durezza non molto elevato. Il complesso templare comprende due costruzioni polilobate dedicate al culto della fertilità e una struttura primitiva di cui non si conosce il significato. In seguito al declino della cultura neolitica gli edifici del complesso furono demoliti; il tempio settentrionale giace tutt’ora in rovina mentre quello meridionale è stato ristrutturato all’inizio del secolo scorso.
Il Tempio meridionale, definito anche “Tempio principale”, venne realizzato ad intervalli separati di tempo e con ripetuti rifacimenti e modifiche durante il periodo di Tarxien (circa 3150 – 2500 a.C.). In principio fu innalzato un tempio pentalobato con cinque absidi del tutto simile al tempio settentrionale ma con il passare del tempo furono aggiunte altre camere. La planimetria del complesso assomiglia pertanto all’impronta di un canide, con i quattro cuscinetti delle dita disposti sul lato sud-occidentale, in corrispondenza delle camere aggiunte al progetto iniziale (vedi planimetria sopra).
Il Tempio principale è circondato da un bastione megalitico caratterizzato da una facciata monumentale ricurva e da un imponente portale trilitico (fig.1 e 2). Il portale conduce al primo recinto di pietre, attraversato da un corridoio pavimentato sul quale si affacciano due absidi, una a destra e una sinistra. Due diaframmi di pietra, paralleli al calpestio isolano l’abside di destra da quella di sinistra creando due ambienti di culto indipendenti. Gli ingressi alle absidi non sono posizionati l’uno di fronte all’altro ma risultano leggermente sfalsati, ciò significa che coloro che varcavano la sogli di un’abside non potevano assistere a ciò che succedeva all’interno de quella difronte (fig.7). Proseguendo l’esplorazione del primo recinto si nota la presenza di quattro arredi litici particolari: un altare, una pietra decorata con due spirali contrapposte (fig.4 e 5), un piedistallo decorato con motivi vegetali e delle nicchie mensolate (fig.5). Questi elementi sono molto importati al fine di comprendere il significato religioso della struttura e dei riti che furono praticati al suo interno; ad essi vanno aggiunte le numerose statuette recuperate all’interno delle absidi, tutte di aspetto opulento e pertanto chiaramente correlate al tema della fertilità (fig.6). Tra tutte le figure umane rinvenute merita di essere ricordata “la Venere di Malta”, una figura femminile di terracotta priva di testa che giaceva all’interno del primo recinto. La figura è rappresentata in posizione stante, con un braccio disteso lungo il fianco e l’altro piegato sotto il seno; questa posizione è frequente tra le statuette antropomorfe recuperate a Malta ma il suo significato rimane totalmente ignoto. Il luogo del ritrovamenti non è certo casuale dato che il primo recinto è anche il nucleo più antico del Tempio.[1] Altre statue e statuette recuperate all’interno del tempio hanno corpi molto più grassi, quasi in maniera innaturale, ma di fatto risultano asessuate; la parte inferiore del corpo ha caratteri femminili ma la parte superiore è priva di seni quando invece anch’essi dovrebbero apparire di notevoli dimensioni (fig.6). In questo caso la mancanza di sesso riconduce al sacro, ad una trascendenza che non conosce genere.[2] Resti di animali domestici sacrificati completano il quadro simbolico. Il tema dominate è la fertilità, la rigenerazione ciclica della natura ma si percepisce anche l’esistenza di un livello liturgico più profondo, correlato a credenze che riguardano l’aldilà e la vita dopo la morte. I convincimenti spirituali sviluppati dalla cultura neolitica di Malta e Gozo affondano le proprie radici nella notte dei tempi, all’epoca in cui gli uomini della preistoria compresero che la riproduzione delle piante e degli animali di cui si nutrivano erano parte di eterno ciclo rigenerativo apparentemente correlato alle configurazioni periodiche del cielo notturno e del moto illusorio del Sole. Da tale osservazione maturò l’idea che anche la vita dell’uomo potesse beneficiare di tale rinnovamento e ciò incoraggiò i primi ragionamenti spirituali relativi a quella che a tutt’oggi rimane la più grande speranza collettiva del genere umano: il raggiungimento di una nuova dimensione di esistenza oltre alla morte.
Tra gli arredamenti litici rinvenuti si nota la presenza di grandi spirali scolpite in bassorilievo; le spirali contrapposte rappresentano il moto apparente del Sole e l’eterno ciclo rigenerativo della natura; la spirale che gira in senso antiorario allarga gradualmente l’ampiezza del suo arco e pertanto venne utilizzata per rappresentare il moto apparente del Sole nel periodo dell’anno che vede le giornate allungarsi; la spirale che gira in senso orario, al contrario, restringe l’ampiezza del suo arco e perciò fu utilizzata per descrivere il moto apparente del Sole durante l’altra metà del suo ciclo annuale, quella che vede le giornate accorciarsi.
La spirale è un simbolo fondamentale dell’arte neolitica del Mediterraneo e dell’Europa atlantica; a Malta compare sulle pareti dell’ipogeo Hal Saflieni e nei templi di Ggantija, Mnajdra, Hagar Qim e Tarxien. Le steli e le pietre incise con i motivi a spirale segnano le soglie o i percorsi di elevazione verso gli altari. A Malta esistono due filoni figurativi: uno sottolinea la simmetria e l’armonia, con due o quattro spirali collocate una a fianco dell’altra o a gruppi di due, l’altro mette in risalto la forza vitale della natura, con una successione di spirali incise su grandi pietre rettangolari che fanno pensare alle piante o alle onde del mare.[3]
Nel secondo recinto del Tempio troviamo soltanto un abside sul lato nord-orientale ma in passato dovettero esservene altre due a completamento della pianta pentalobata tipica dell’architettura monumentale del periodo antico, una sul lato sud-occidentale a fronte di quella rimasta intatta e una più piccola al termine del corridoi centrale. L’abside rimasta intatta fino al giorno d’oggi presenta un foro ellittico sulla parete che consente ai raggi solari di penetrare durante l’alba del solstizio d’estete (fig.8 / nell’immagine in testata il foro dell’equinozio all’alba del solstizio di estate). Si suppone che una statua di donna fosse collocata su un altare nel punto illuminato dal Sole all’alba del Solstizio e per tanto questo ambiente è stato nominato “camera dell’oracolo”. Che fosse o meno la sede di un oracolo non lo possiamo sapere per certo ma è sicuro che tale disposizione astronomica fu pensata per consacrare un oggetto a cui si attribuivano poteri magici, probabilmente una delle tante statue di donna trovate all’interno del complesso.
L’abside sinistra è stata completamente rimodellata e trasformata in una corte d’accesso ad altre camere, nicchie e piccoli spazi che costituiscono la parte più recente del complesso. Alcuni ambienti sono accessibili soltanto dall’interno, altri soltanto dell’esterno, in alcuni casi comunicano tramite piccoli passaggio o finestre; ciò dimostra che esistette una complessa organizzazione religiosa
All’esterno, lungo le mura megalitiche che cingono il raggruppamento di ambienti interni, si susseguono altari, pietre sacrificali, tempietti, edicole e menhir che costituiscono una sorta di percorso liturgico foraneo. Partendo dal portale principale e percorrendo la cinta esterna di macigni in senso antiorario si incontra un vano con tre robusti pilastri e una pietra trapezoidale a guisa di altare (fig.9). A destra di questo vano si nota un macigno forato dal quale si scorge l’interno della stanza dell’oracolo. Il foro mostra evidenti segni di utilizzo e pertanto si presume che fosse utilizzato dai sacerdoti del tempio per comunicare con l’esterno, forse per pronunciare risposte oracolari e per intonare canti e versi liturgici verso coloro che si presentavano davanti all’altare trapezoidale. Proseguendo verso il lato occidentale si arriva ai piedi di un menhir alto sei metri e ad una pietra spianata che fa pensare ad un altare sacrificale. Avvicinandosi alla porta settentrionale si incontra un’edicola (tempietto) con una piastra di pietra forata, probabilmente per contenere i recipienti di offerte.[4] Sul lato occidentale si trovano invece i varchi di accesso alle stanze secondarie, quelle aggiunte per ampliare il progetto iniziale.
In conclusione possiamo affermare che Ħaġar Qim fosse un complesso centro cerimoniale dedicato al culto della fertilità e della rigenerazione. Apparentemente non sembrerebbe esservi alcuna correlazione diretta con il culto della morte e con eventuali credenze che riguardano l’aldilà ma gli stessi elementi simbolici osservati ad Ħaġar Qim e negli altri templi di superfice dell’arcipelago li troviamo anche all’interno dell’ipogeo Ħal-saflieni, un luogo sotterraneo dedicato al trattamento della morte e alla liturgia ad essa correlata. Le spirali e le statuette di donna sono state ritrovate anche all’interno dell’ipogeo, addirittura la forma degli ambienti scavati nella roccia riproduce quella dei templi eretti in superficie. Tali elementi suggeriscono che gli antichi abitanti dell’arcipelago adorarono le forze vivificanti della natura non solo per propiziare il rinnovamento delle piante e delle prede di caccia di cui si nutrivano ma anche perché furono convinti che da tali forze potevano ricevere un beneficio ancor più prezioso: il rinnovamento della vita dopo la morte.
fonti:
[1]“Malta: le costruzioni preistoriche. Un archeologo racconta” di Monica Piancastelli. Edizione Polaris, 2018.
[2]“Missione a Malta. Ricerche e studi sulla preistoria dell’arcipelago maltese nel contesto mediterraneo”, a cura di A. Anati e E. Anati, Jaka Book, Centro camuno di studi preistorici (prima stampa 1988). Pag.166. Capitolo di Marco Pirelli.
[3]“Le spirali nei templi neoliticidi Malta e Gozo” di Anna Polo. Parco di Studio e Riflessione Casa Giorgi Aprile 2011
[4] “Missione a Malta. Ricerche e studi sulla preistoria dell’arcipelago maltese nel contesto mediterraneo”, a cura di A. Anati e E. Anati, Jaka Book, Centro camuno di studi preistorici (prima stampa 1988). Pag.120. Capitolo di Luigi Cottinelli.
Manuel Bonoli
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