Una generazione che ignora la storia non ha passato… né futuro.
(cit.Robert Anson Heinlein)

Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia è la lezione più importante che la storia ci insegna.
(cit.Aldous Huxley)

 

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fig.1 Isola di Pasqua. fonte immagine

Le indagini archeologiche hanno dimostrato che la colonizzazione dell’Isola di Pasqua cominciò attorno al 600 d.C. I primi colonizzatori conosciuti furono polinesiani e quella che svilupparono divenne la civiltà più isolata della storia. Gli abitanti dell’isola, a differenza di tutti gli altri popoli dell’antichità, non dovettero mai fronteggiare l’insidia di una minaccia esterna, per cui mantennero la loro identità culturale intatta per secoli. L’Isola, con una superficie di 166 km quadrati, è collocata a 3200 km dalle coste del Sud America e a 2200 km dell’isola abitabile più vicina. La sua latitudine garantiva ai colonizzatori un clima umido e temperato, mentre il terreno di origine vulcanica era particolarmente fertile e produttivo. Tuttavia questa combinazione di circostanze favorevoli non salvò la civiltà polinesiana dell’isola da un drammatico decadimento.
Quando i primi europei sbarcarono sull’isola nel 1722, trovarono una piccola comunità indigena che viveva in una condizione di totale carestia. Sull’isola non crescevano alberi e senza legna da ardere gli indigeni non potevano scaldarsi durate i periodi dell’anno più freddi. Oltre a ciò gli era preclusa la possibilità di pescare in mare aperto perché non avevano la materia prima necessaria per realizzare robuste zattere. La vegetazione dell’isola era brulla, tanto che quando il navigatore olandese Jakob Roggeveen l’avvistò dal mare ebbe l’impressione di aver trovato un’isola desertica. Anche la varietà faunistica era estremamente ridotta, non vi era traccia di rettili, uccelli terrestri e animai domestici all’infuori dei polli. A dispetto di una così grave sterilità vennero trovate monumentali statue di pietra che tradivano l’esistenza passata di una civiltà numerosa e organizzata, ben diversa da quella che viveva in quel momento sull’isola.
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Sull’Isola di Pasqua esistono circa 900 statue statue Moai, delle quali 200 sono collocate su piattaforme di pietra allineate lungo le coste, mentre altre 700 giacciono abbandonate in prossimità delle cave in cui furono scolpite. La maggior parte delle statue dell’isola provengono dal cratere RANU RARAKU, la cava in cui vennero scolpiti i moai, e alcune di esse furono trasportate anche per 10 km fino alla costa. Osservando la dimensione e il numero delle statue si desume che i loro artefici facessero parte di una società organizzata e prosperosa, basata sulla stratificazione sociale e sulla specializzazione del lavoro, mentre un nutrito gruppo di persone si dedicava alla realizzazione dei Moai, obbligatoriamente altrettanti avrebbero dovuto provvedere al loro sostentamento.
L’uomo di oggi farebbe bene a dedicare particolare attenzione allo studio dei fattori che causarono il collasso di questa prospera civiltà, perché a determinarlo fu la poca lungimiranza nella gestione delle risorse che l’ambiente offriva.

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Uno dei tanti Moai abbandonati nei pressi della cava sul cratere vulcanico di Rano Raraku. fonte immagine

I carotaggi e le seguenti analisi qualitative e quantitative sui sedimenti stratificati delle colonne estratte hanno messo in luce una realtà sconvolgente. Jonh Flenley, oggi all’Università di Massey in Nuova Zelanda e Sarah King dell’Università di Hull in Inghilterra, hanno scoperto quali specie animali e vegetali erano presenti sull’isola, prima, durante e dopo la colonizzazione polinesiana e in base a ciò hanno potuto ricostruire le cause che determinarono il decadimento della loro società. Fino a 30.000 anni prima dell’arrivo dei polinesiani l’isola era stata coperta da una foresta subtropicale composta da una razza di palma oggi scomparsa e da un sottobosco composto da arbusti legnosi, felci ed erba. La palma caratteristica di quest’isola aveva un alto tronco privo di rami e gli abitanti dell’isola fin dal momento del loro arrivo la utilizzarono per costruire robuste imbarcazioni indispensabili per la pesca in mare aperto, per costruire le capanne abitative, per alimentare il fuoco e per realizzare gli strumenti necessari al trasporto dei Moai, tra cui rulli, leve e slitte. L’analisi quantitativa dei pollini prodotti dalla palme e depositati negli strati sedimentati dimostra un calo significativo avvenuto attorno al 1200 d.c., alcuni secoli dopo la colonizzazione polinesiana dell’isola. Mano a mano che si procede verso l’alto nell’analisi dei sedimenti si nota che i pollini di questa palma diminuiscono, mentre aumentano i pollini delle erbe che sostituirono le aree di foresta disboscate, fino a quando attorno al 1500 d.C., le palme si estinsero quasi completamente. Ben prima di arrivare a quel punto gli abitanti interruppero la produzione dei Moai per privilegiare le attività necessarie al sostentamento e per questo motivo tante delle statue furono abbandonate in corso d’opera nelle cave o lungo il percorso che le doveva portare al luogo di destinazione finale.

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Purtroppo quando fu presa questa drastica decisione il danno procurato al delicato ecosistema era già irreversibile e le risorse naturali non erano più sufficienti per garantire il benessere di una vasta comunità. Le analisi sui depositi di spazzatura adiacenti agli antichi villaggi hanno rivelato che la maggior parte del cibo consumato degli abitanti dell’isola proveniva dall’oceano, tuttavia non si trattava di piccoli pesci, le temperature dell’acqua sono troppo fredde per permettere la formazione di barriere coralline e le coste dell’isola sono percorse da forti correnti e alte onde. Questi fattori non permettevano la pesca costiera per cui era necessario raggiungere il mare aperto dove gli indigeni arpionavano le focene, una specie di delfino che mediamente pesa attorno ai 70 kg. Per alimentare una comunità di 20.000 persone era necessario mettere in mare ogni giorno centinai di zattere e quando iniziò a scarseggiare il legno per costruirle diminuì l’apporto di cibo. Diminuì la disponibilità di legna da ardere per scaldarsi e per cucinare il cibo. Il drastico disboscamento e la dissennata ricerca di cibo provocò una rapida diminuzione di tutte le specie animali che popolavano la foresta, di conseguenza uccelli, insetti e i piccoli mammiferi che avevano un ruolo fondamentale nell’impollinare i fiori si estinsero, estinguendo così anche le piante fruttifere. Praticamente è questo quello che avvenne all’ecosistema dell’isola di Pasqua, mentre le violenze e rivolte sociali che accompagnarono la carestia le possiamo solo immaginarle in base al crollo demografico della popolazione.
La civiltà dell’Isola di Pasqua consumava le risorse naturali più rapidamente di quanto queste riuscissero a rigenerarsi e questo provocò l’irreversibile collasso dell’ecosistema. La comunità globale di oggi sta facendo lo stesso con l’intero pianeta e la crescita demografica sta accelerando questo processo. Negli ultimi anni si è sviluppata una maggior consapevolezza verso le questioni ecologiche e in tanti hanno portato in primo piano l’emergenza legata all’esaurimento delle risorse naturali e il danno che l’uomo sta provocando all’ecosistema con le sue attività utilizzate in maniera scorretta. Tuttavia ho l’impressione che il problema sia affrontato per lo più con la retorica dei politici, piuttosto che con iniziative concrete finalizzate alla tutela ambientale. Le principali fonti di energia non dureranno in eterno e all’attuale stato di sfruttamento si esauriranno rapidamente raggiungendo il punto d’irreversibilità, così come avvenne sull’Isola di Pasqua.

Questo testo è un riassunto del saggio di JARED DIAMOND intitolato “LA FINE DELLA CIVILTA’ POLINESIANA DELL’ISOLA DI PASQUA”, tradotto da ALDO CARPANELLI
Fonte del testo originale http://www.clio92.it/public/documenti/strumenti/Recensioni/DIAMOND_PASQUA_COLLASSO.pdf

Altre fonti:
http://journal.frontiersin.org/article/10.3389/fevo.2013.00003/full
https://it.wikipedia.org/wiki/Isola_di_Pasqua

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Divulgatore storico esperto in archeoastronomia.
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