Tavola V dell’Epopea di Gilgamesh

L’Epopea di Gilgamesh è un poema babilonese di ambientazione sumera che raccoglie tutti quegli scritti che hanno come oggetto le vicende del leggendario re di Uruk.  La versione più completa di quest’opera venne redatta in lingua accadica su dodici tavolette d’argilla attorno al 1200. a.C., rielaborando in un’unica narrazione i racconti mitologici della letteratura sumera incentrati sulle imprese di Gilgamesh, brevi storie risalenti alla III dinastia di Ur (circa 2000 a.C.).

  • Gilgamesh e Agga
  • Gilgamesh e Huwawa
  • Gilgamesh e il Toro Celeste
  • Enkidu agli inferi (Gilgamesh e l’aldilà)
  • La morte di Gilgamesh
  • Mito di Ziusudra (mito del diluvio)

Il poema classico promuove la profonda amicizia, il cambiamento interiore e la nobiltà d’animo. La relativa semplicità d’espressione nasconde invece una profondità poetica inaspettata, dalla quale emerge il tema apparentemente dominate; la morte e il suo impossibile superamento.
Sebbene non esistano testimonianze archeologiche che possano attestare la passata esistenza di un sovrano chiamato Gilgamesh molti storici ritengono plausibile l’ipotesi che il mito sia nato per divinizzare un personaggio rilevante dell’epoca predinastica.

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Riassunto del poema
la traduzione completa dell’opera è disponibile a questo indirizzo:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_1.htm

Presentazione del grande Gilgamesh

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L’epopea inizia con una solenne descrizione del grande Gilgamesh, sovrano della città sumera di Uruk. Il giovane re, per due terzi divino e per un terzo umano, possedeva una bellezza e una forza fisica che nessun uomo sulla Terra poteva eguagliare. Il suo cuore impavido lo spingeva a cimentarsi continuamente in nuove avventure, costringendo gli uomini della città a seguirlo in pericolose imprese. Per via del suo coraggio non esitava a buttarsi neppure negli scontri dall’esito più incerto e senza alcun timore aveva affrontato e sconfitto mostri e fiere di ogni genere. Questa sua attitudine e le continue battaglie suscitarono un notevole malcontento tra le mogli e le madri degli uomini che erano costretti a battersi al suo fianco. L’ego prevaricatore del Re impediva dunque a sui sudditi di vivere in serenità e di dedicarsi alle attività cittadine.

Tratto dalla tavoletta I – presentazione di Gilgamesh:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_1.htm

Di colui che vide ogni cosa, voglio narrare al mondo;
di colui che apprese e che fu esperto in tutte le cose.
Di Gilgamesh, che raggiunse la più profonda conoscenza,
che apprese e fu esperto in tutte le cose.
Egli esplorò ogni paese
ed imparò la somma saggezza.
Egli vide ciò che era segreto, scoprì ciò che era celato,
e riportò indietro storie di prima del diluvio.

La creazione di Enkidu

Il malcontento dei sudditi di Gigamesh fu tale da arrivare alle orecchie degli Dei. Il concilio divino decise perciò di dare vita ad una creatura che pareggiasse la forza del grande Re e che non avesse timore di affrontarlo, in modo da limitarne la sua irrequietezza. Per questo compito fu incaricata la Dea Aruru, che creò Enkidu. Enkidu non fu generato nella condizione umana, ma nelle sembianze di una creatura selvaggia che viveva nella steppa. Un cacciatore lo vide e in preda allo spavento avvisò Gilgamesh di quell’incontro. Gilgamesh disse al cacciatore di portare ad Enkidu la Prostituta sacra per ammansirlo e grazie a questa iniziazione la creatura selvaggia fu civilizzata raggiungendo lo stato umano. A Gilgamesh apparve in sogno che un uomo bello e potente stava arrivando in città e così stava effettivamente avvenendo, quell’uomo era Enkidu che dopo aver raggiunto la condizione umana stava cercando Gilgamesh per affrontarlo e per dimostrare che la sua forza superava quella del Re. Enkidu arrivò in città mentre Gilgamesh era in procinto di accoppiarsi con una novella sposa per fruire dello jus primae noctis. Questa circostanza fece infuriare Enkidu che si pose dinnanzi a Gilgamesh impedendogli di compiere il suo volere, così i due si affrontarono.

Tratto dalla tavoletta I – Aruru è incaricata di compiere il volere di An, la creazione di Enkidu:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_1.htm

«Tu, Aruru, creastì l’umanità,
ora dai vita al pensiero di An».«Sia egli la controparte del suo cuore burrascoso,
che possa contrastarlo, ed Uruk ne venga alleviata!».
La dea Aruru udite queste parole
diede vita al pensiero di An.La dea Aruru lavò le sue mani,
prese un grumo di argilla, lo gettò nella piana.
Nella piana lei creò Enkidu, l’eroe,
creatura del silenzio, reso forte da Ninurta.

Lo scontro tra Gilgameh ed Enkidu

La violenza dello scontro tra Gilgamesh ed Enkidu fu tale da far tremare le mura di Uruk. Per la prima volta Gilgamesh si confrontò con un avversario capace di eguagliare la sua forza e persino di piegarlo come annunciato dai suoi sogni. Tuttavia Enkidu riconobbe che Gilgamesh era un uomo superiore ad ogni altro e dal loro scontro, anzi che un’eterna lotta, nacque un profondo rispetto reciproco. I due eroi, che secondo i piani degli Dei avrebbero dovuto combattersi, diventarono sinceramente amici.

Tratto dalla tavoletta II – scontro tra Gilgamesh ed Enkidu:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_2.htm

per Gilgamesh, un rivale simile a un dio fu posto -,
Enkidu bloccava con il suo piede l’accesso alla porta
della casa del padre della sposa;
egli non permetteva a Gilgamesh di entrare:
essi allora si affrontarono davanti alla porta della casa
del padre della sposa;
si rotolarono nella strada, il Paese tutto fu scosso.
Gli stipiti si frantumarono, le mura tremarono.

Gilgamesh ed Enkidu nella foresta dei cedri

Gilgamesh propose al nuovo compagno di avventure un’impresa temibile. Era determinato ad affrontare Khubaba, il guardiano della foresta dei cedri, un terribile mostro dotato di una forza sovrumana. Enkidu era titubante, ma Gilgamesh non gli lasciò alternativa. I due Eroi tremarono davanti al mostro della foresta dei Cedri, ma alla fine unendo le loro forze ebbero la meglio e lo uccisero. Questa fu la prima delle tante imprese compiute dai due eroi, le stesse imprese che gli Dèi credettero di scongiurare inviando a Gilgamesh un rivale di pari forza.

Tratto dalla tavoletta IV – I due eroi uniscono le forze contro il mostro della foresta dei cedri. ( [ ] indica parti mancanti):
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_4.htm

Come tori selvaggi, essi si affrontano,
per la prima volta egli muggì, pieno di terrore.
Il guardiano della Foresta grida,
[ ]
Khubaba come un dio grida.
Gilgamesh aprì la sua bocca e disse ad Enkidu:
“Di Khubaba la forza è troppo grande,
da soli non possiamo affrontarlo, [ ]
gli stranieri [ ];
un sentiero tortuoso non è percorribile facilmente
da uno solo, ma da due; [ ]
unendo la forza di noi due [ ]
una corda a tre fili è difficile da rompere
e un forte leone non può prevalere su due leopardi

L’offesa alla Dea Ishtar

La Dea Ishtar fu molto colpita dalle imprese dei due eroi. Ammirata dall’impareggiabile bellezza e forza di Gilgamesh tentò di sedurlo, ma venne respinta a causa della nota e infausta fine a cui erano destinati i suoi amanti. La Dea umiliata si rivolse ad An, il padre degli Dei, invocando l’invio del Toro Celeste nella città Uruk per provocarne la distruzione e per uccidere Gilgamesh. In un primo momento il Padre degli dèi rifiutò la sconsiderata richiesta del Dea, ma in seguito ad un ricatto di quest’ultima accettò. An inviò sulla terra il Toro celeste che provocò danni e distruzione, uccidendo più di trecento uomini. A quel punto Gilgameh ed Enkidu lo affrontarono e lo uccisero causando l’irrefrenabile ira della Dea Ishtar.

Tratto dalla tavoletta VI – La Dea Ishtar umiliata si rivolge al padre degli Dei:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_6.htm

Quando Ishtar udì queste parole,
Ishtar divenne furiosa e salì al cielo.
Ishtar salì su e al cospetto di suo padre An cominciò a piangere,
le sue lacrime scorrevano al cospetto di sua madre Antu:”Padre mio, Gilgamesh mi ha umiliata più e più volte!
Gilgamesh ha pronunziato ingiurie contro di me,
ingiurie e offese contro di me!”.

La morte di Enkidu

La Dea umiliata chiese nuovamente vendetta agli Dei. Quest’ultimi stabilirono che i due eroi si erano macchiati di terribili colpe e che Enkidu doveva morire. Alcuni giorni dopo Enkidu si ammalò. Giacque in agonia per dodici giorni, durante i quali maledì il cacciatore che lo aveva trovato e la prostituta che tramite l’iniziazione sessuale lo aveva civilizzato e condotto tra gli uomini, salvo poi ritirale. Enkidu ripensò che gli stessi eventi che lo avevano condotto verso la condanna a morte lo avevano portato a conoscere Gilgamesh, compagno d’avventura e amico sincero che lo aveva fatto sedere al suo fianco ricoprendolo di onori. Enkidu morì e per sette giorni il grande Re pianse la sua scomparsa. Questo evento determinò un profondo cambiamento in Gilgamesh che perdette la sua spavalderia e la sua incontenibile voglia di avventura. Il Re di Uruk realizzò che la morte è l’inevitabile traguardo della vita e sorte comune per tutti gli uomini.

Tratto dalla tavoletta VII – Enkidi ritira le maledizioni alla Prostituta sacra:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_7.htm

“Perché, o Enkidu, stai maledicendo la mia prostituta
Shamkat?
E’ lei che ti offrì da mangiare pane adatto agli dei;
è lei che ti offrì da bere birra adatta ai re;
è lei che ti rivestì di paludamenti splendenti;
è lei infine che scelse per te come compagno il buon Gilgamesh;ed ora Gilgamesh, che è il tuo amico amato,
ti deporrà per riposare in un grande letto;
in un letto destinato all’amore egli ti farà riposare;
ti farà giacere in un luogo di pace, il luogo alla sinistra.
I re della terra baceranno i tuoi piedi,
ed egli farà in modo che il popolo di Uruk possa piangerti,
possa emettere lamenti per te;
e gli uomini robusti si caricheranno il fardello per te;
e per quanto riguarda se stesso egli trascurerà il suo aspetto
dopo la tua morte,
con indosso soltanto una pelle di leone egli vagherà
nella steppa”.
Udì Enkidu le parole del guerriero Shamash;
la sua ira si calmò, il suo cuore si placò;
la sua rabbia scomparì.

Il viaggio di Gilgamesh

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Gilgamesh, assalito da opprimenti pensieri, decise di intraprende un lungo e faticoso viaggio per incontrare Utanapishtim, dal quale sperava di riceve il segreto della vita eterna. Utanapishtim era un antenato di Gilgamesh che al tempo del diluvio fu salvato dagli Dèi e innalzato al loro pari con il dono dell’immortalità. Dopo la morte dell’amato compagno Enkidu, le imprese di Gilgamesh non erano più rivolte a soddisfate il suo ego smisurato, ma miravano a raggiungere la dimora lontana dell’eroe del diluvio per apprendere il segreto della vita eterna. Il pensiero della morte e lo sconforto generato dall’idea che un giorno non sarebbe più esistito divennero un’ossessione e trovare un modo per evitare questo destino divenne la sua ragione di vita. Il viaggio fu angosciante, Gilgamesh dovette superare gli uomini scorpione e attraversare la tenebra a tentoni per molte ore prima di arrivare al giardino degli Dèi dove nessun uomo partorito da una donna era mai stato. Poi attraversò le acque della morte che lo separavano dall’isola felice di Dilmun dove incontrò Utanapishtim. Questo fu un viaggio formativo per la coscienza e per lo spirito del Re di Uruk.

Tratto dalla tavoletta IX – L’animo affranto di Gilgamesh:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_9.htm

Gilgamesh, per Enkidu, il suo amico,
piange amaramente, vagando per la steppa:”Non sarò forse, quando io morirò, come Enkidu?
Amarezza si impadronì del mio animo,
la paura della morte mi sopraffece ed io ora vago per la steppa;
verso Utnapishtim, il figlio di Ubartutu,
ho intrapreso il viaggio, mi muovo veloce colà.

L’incontro con Utanapishtim e il racconto del diluvio

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Quando Gilgamesh fu al cospetto di Utanapishtim gli chiese come fece ad entrare nella schiera degli Dèi e Utanapishtim gli raccontò il suo segreto. Molto tempo fa le persone erano diventate troppo numerose e il loro baccano disturbava il sonno degli Dei, cosi’ Enlil, adirato, decise di inviare un diluvio sulla terra per estinguere tutti gli uomini. Enki, il fratello di Enlil, non era d’accordo con questa decisione e di nascosto avvisò Utanapishtim del pericolo imminente. Gli disse di costruire un’arca e di entrarci con tutti i suoi famigliari e tutti gli animali. Il diluvio spazzò via tutti gli uomini, ma Utanapishtim e la sua famiglia si salvarono insieme a tutti gli animali. Quando il diluvio finì, Enlil fu stupefatto nel vedere che Utanapishtim era sopravvissuto e incoraggiato da Enki dichiarò che da quel momento Utanapishtim non sarebbe più stato mortale e che avrebbe vissuto a Dilmun nella lontananza.

Tratto dalla tavoletta XI – La decisione degli dei di mandare il diluvio sulla terra:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_11.htm

Utnapishtim parlò a lui, a Gilgamesh:”Una cosa nascosta, Gilgamesh, ti voglio rivelare,
e il segreto degli dei ti voglio manifestare. Shuruppak – una città che tu conosci,
che sorge sulle rive dell’Eufrate –
questa città era già vecchia e gli dei abitavano in essa.
Bramò il cuore dei grandi dei di mandare il diluvio.
Prestarono il giuramento il loro padre An,
Enlil, l’eroe, che li consiglia,
Ninurta il loro maggiordomo,
Ennugi, il loro controllore di canali;
Ninshiku-Ea aveva giurato con loro.

La prova del sonno

Dopo aver raccontato gli eventi del diluvio Utanapishtim mise alla prova Gilgamesh con la prova del sonno. Gilgamesh avrebbe dovuto resistere senza assopirsi per sei giorni e sei notti, ma affaticato da lungo viaggio sprofondò in un sono profondissimo. Quando si svegliò Utanapishtim gli disse che non poteva vincere la morte se egli non riusciva a vincere neppure il sonno.

Tratto dalla tavoletta XI – Gilgamesh non supera la prova del sonno:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_11.htm

Gilgamesh così parlò a lui, a Utnapishtim il lontano:
“Non appena il sonno è sceso su di me,
mi hai subito toccato e mi hai svegliato”.Utnapishtim così parlò a lui, a Gilgamesh:
“Guarda, Gilgamesh! Conta i pani!
Così apprenderai quanti giorni hai dormito.
Il pane del primo giorno è già secco,
quello del secondo giorno è raggrinzito, quello del terzo
giorno è molliccio, quello del quarto giorno ha la crosta bianca,
quello del quinto giorno ha perso colore, quello del sesto
giorno è appena cotto,
quello del settimo giorno era appena stato sfornato, quando
io ti ho toccato”.Gilgamesh così parlò a lui, a Utnapishtim il lontano:
“Ahimè! Come ho potuto fare ciò, Utnapishtim!
Dove potrò andare adesso?
I rapinatori mi hanno intrappolato,
nella mia camera da letto alberga la morte;
dovunque io ponga il mio piede, là c’è la morte”.

La pianta e il serpente

Gilgamesh fu travolto da un grande sconforto nel realizzare che neppure l’eroe del diluvio poteva aiutarlo ad evitare la morte, ma Utanapishtim lo consolò rivelandogli un’altro segreto. Sott’acqua cresceva una pianta che poteva far tornare giovani, cosi’ Gilgamesh andò nel punto che gli era stato indicato e si tuffo per raccoglierla. Quando tornò in superficie con la prodigiosa pianta manifestò l’intenzione di portarla a Uruk per restituire la giovinezza ai vecchi della città e poi ne avrebbe mangiato anche lui stesso. Questo fatto è molto importante e fa capire quanto questo viaggio sia stato formativo per lo spirito di Gilgamesh. Pensando a coloro che erano più vicini alla fine delle loro vite prima che a se stesso, dimostrò l’evoluzione del suo animo e il valore delle esperienze che trasformarono l’egocentrico Re in un nobile sovrano.
Durante la notte avvenne che Gilgamesh appoggiò distrattamente la pianta della giovinezza a terra e un serpente sentendone il profumo la mangiò. Il serpente perse immediatamente la pelle e torno’ giovane, mentre Gilgamesh pianse sconsolato. Ogni speranza di evitare la morte era persa. Qui troviamo un parallelismo simbolico non certo casuale con il mito di Adamo ed Eva, certamente non l’unico considerata la precedente descrizione del diluvio del tutto simile a quella biblica. Anche nella genesi la vita eterna era a portata di mano di Adamo ed Eva, ma quest’ultimi furono ingannati da un subdolo serpente. Gilgamesh fece ritorno ad Uruk, dove restauro’ i centri di culto distrutti dal diluvio che aveva colpito la terra moltissimi anni prima e continuò la sua vita arrivando alla fine come è destino per tutti gli uomini. Prima di morire fece scrivere tutte le sue fatiche su una stele di pietra e con la scrittura nacque la storia, non solo quella Gilgamesh, ma anche quella di tutto genere umano.

Tratto dalla tavoletta XI – Gilgamesh e la pianta dell’irrequietezza:
fonte traduzione:http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/tavola_11.htm

Gilgamesh parlò a lui, ad Urshanabi il battelliere:
“Urshanabi, questa pianta è la pianta dell’irrequietezza;
grazie ad essa l’uomo ottiene la vita.
Voglio portarla ad Uruk, e voglio darla da mangiare
ai vecchi e così provare la pianta.
Il suo nome sarà: “Un uomo vecchio si trasforma in uomo
nella sua piena virilità”.Anch’io voglio mangiare la pianta e così ritornerò giovane”.

Interpretazione del poema

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Le rovine della città sumera di Uruk si trovano nell’odierno Iraq. L’origine di Uruk risale al 6000 a.c.. Divenne un’importante città sumera, poi in seguito babilonese. E’ considerata dai ricercatori la prima metropoli della storia e si stima che la sua popolazione potesse aggirarsi attorno alle 80.000 persone.

Questo poema epico, rispetto alle opere più moderne, è caratterizzato da una narrazione secca e sbrigativa, ma non priva di una grande profondità poetica che apre la strada a numerose interpretazioni.
Al primo impatto potrebbe sembrare che il tema dominate dell’opera sia la ricerca dell’immortalità, la morte e il suo impossibile superamento, ma analizzando il testo con più attenzione emergono altri aspetti molto significativi. Inizialmente Gilgamesh è un eroe egocentrico in cerca di gloria, ma dopo aver pianto la scomparsa dell’amico Enkidu viene travolto da una profonda inquietudine. Decide per ciò di intraprende un lungo e pericoloso viaggio alla ricerca della vita eterna, l’unico rimedio che possa salvarlo dal penoso destino che accomuna tutti gli uomini. Il lungo viaggio itinerante dell’eroe si sposta lentamente su un altro livello, quello spirituale, raccontando il cambiamento interiore del Re. Gilgamesh fa ritorno ad Uruk senza aver raggiunto il suo scopo, tuttavia non lo fa da eroe sconfitto in quanto torna come uomo saggio elevato ad un altro livello di consapevolezza. Il primo a sottolineare questo aspetto è stato l’archeologo e assirologo Giorgio Buccellati definendo Gilgamesh un eroe sapienziale.
Alla luce di questa interpretazione appare evidente che il tema centrale dell’opera è il cambiamento spirituale, mentre il tema della vita e della morte (dell’essere e non essere) viene immediatamente dopo. La prima parte dell’epopea, in cui vengono descritte le bellicose imprese di Gilgamesh, rappresenta “l’essere”, mentre lo smarrimento dell’eroe davanti alla morte del fedele amico Enkidu rappresenta il “non essere”, il contrasto che ne deriva riassume appunto le più grandi paure che risiedono nell’animo di ogni uomo, incentrate sul tema della morte e del suo impossibile superamento. Di fronte a queste paure “l’essere” si rivolta, cercando il modo di non venire annullato. Ma il fallimento è inevitabile per via dell’impossibilità di raggiungere la vita eterna.

fonti:
http://www.homolaicus.com/storia/antica/gilgamesh/sintesi.htm
Mitologia assiro-babilonese di Giovanni pettinato, edizione Utet (Unione tipografico-editrice torinese) 
http://www.lapietrafocaia.it/media/Il%20poema%20di%20Gilgamesh%20paradigma%20della%20vicenda%20umana%20(Testo).pdf
http://it.wikipedia.org/wiki/Gilgame%C5%A1
saggio di Giorgio Buccellati “Gilgamesh in chiave sapienziale”. “Oriens Antiquus” XI (1972): 34

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Divulgatore storico esperto in archeoastronomia.
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