Venere di willendorf (calcare, 24.000-26.000 a.C., Austria). fonte immagine

Il culto neolitico della “Dea Madre” è il tenue retaggio di una concezione spirituale nata agli albori della mente umana, in un epoca, quella del paleolitico, in cui l’uomo viveva in perfetta simbiosi con i cicli della natura. All’epoca la sopravvivenza dell’uomo dipendeva dai frutti che la natura gli metteva a disposizione perciò è probabile che la prima immagine divina ad essere concepita dalla mente umana fosse proprio quella della “Madre Terra”. Il calore del Sole, i frutti della terra e tutti gli animali erano solo alcuni dei tanti doni che lo spirito della natura donava all’uomo e pertanto quello spirito, il cui eco si rifletteva nella capacità riproduttiva di tutte le femmine del clan, non poteva essere rappresentato in altro modo se non con il corpo formoso di una donna. Il corpo della donna, come le stagioni, il Sole e la Luna, segue dei cicli per cui è assolutamente logico ipotizzare che i nostri antenati lo avessero iconizzato al fine di rappresentare lo spirito creativo che dona vita a tutte le cose. Quello spirito lo si poteva riscontrare costantemente in ogni fenomeno naturale e siccome la sua benedizione doveva essere sempre presente ovunque l’uomo andasse, era necessario portarla con sé sotto forma di amuleto, insieme a tutti gli utensili necessari alla sopravvivenza. Da questa esigenza nacque il tema artistico delle “Veneri paleolitiche”, rappresentato da statuette di piccole dimensioni ottenute dalla lavorazione di pietra e ossa, che raffigurano il corpo femminile accentuando il dimorfismo sessuale. Scoperte recenti, come nel caso della venere di Tan-Tan, potrebbero, e il condizione è più che necessario, collocare l’orizzonte cronologico di questo fenomeno ad un’epoca compresa tra i 500.000 e 300.000 anni fa, dunque ad un tempo antecedente a quello che vide la comparsa dell’uomo anatomicamente moderno in Africa centro-meridionale.

Cronologia delle figure femminili più significative del Paleolitico:

  • Venere di Hohle Fels (35.000-40.000 a.C., Germania)
  • Venere di Dolní Věstonice (27.000-31.000 a.C., Repubblica Ceca)
  • Venere di Lespugue (27.000 a.C., Francia)
  • Venere di Willendorf (24.000-26.000 a.C., Austria)
  • Venere di Moravany (23.000 a.C., Slovacchia)
  • Venere di Laussel (20.000 a.C., Francia)
  • Venere di Frasassi (20.000 a.C., Italia)

Le veneri preistoriche, le pitture rupestri e le inumazioni sono importanti documenti psichici che mettono in luce i reconditi timori che fin dai tempi più antichi risiedono nell’animo umano e i comportamenti che nostri antenati assunsero di fronte ai grandi misteri della vita e della morte. Dal ritrovamento di queste disposizione artistiche e simboliche riecheggiano i riti del passato, concepiti dall’uomo nel tentativo di trovare conforto alle proprie inquietudini, portando al presente i principi di un’antica credenza che al giorno d’oggi è ancora molto diffusa; ovvero la rinascita dello spirito dopo morte. Dalle tombe del paleolitico emerge un evidente correlazione tra la donna e i poteri che governano tutti i cicli di vita e morte che si osservano in natura. Per esempio nella grotta di Cro-Magnon, in Francia sud-occidentale, sui corpi inumati dei nostri antenati paleolitici furono disposte numerose conchiglie. Queste conchiglie, la cui forma ricorda neanche troppo vagamente quella dei genitali femminili, pare che fossero associate ad una primitiva forma di adorazione di una divinità femminile, insieme ad altri elementi propiziatori, come l’ocra rossa, associata al sangue mestruale che nella donna annuncia il rinnovamento della capacità riproduttiva. L’utilizzo di questi simboli è senza dubbio la dimostrazione che i nostri antenati tentarono di propiziare la rinascita del defunto invocando lo spirito rigenerativo della Dea Madre. Questa associazione è rafforzata dal fatto che i riti di rigenerazione non si limitarono al trattamento dei defunti. Esistono prove che dimostrerebbero l’esistenza trascorsa di riti legati alla rigenerazione delle piante e degli animali di cui l’uomo si nutriva. Ad esempio nella caverna di Tuc D’Audoubert sono state scoperte le rappresentazioni di due bisonti modellati nell’argilla, una femmina seguita da un maschio, e impronte umane impresse nel terreno argilloso durante una danza rituale. (Riane Eisler 1987, 1995)
I riti sciamanici furono una componente importante della vita dell’uomo e ne ritroviamo una potente sintesi nella pittura rupestre dell’uomo stregone trovata all’interno della grotta di Trois Frères (Francia meridionale, 13.000 a.C.), oppure nella statuetta in avorio dell’uomo-leone ritrovata nella grotta di Hohlenstein (Germania centro-meridionale, 40.000 a.C.). Insieme a queste rappresentazioni teriomorfe i nostri antenati intagliarono anche le prime figure femminili.

Caverne tempio, statuette, sepolture e riti sembra fossero associati alla concezione che la vita umana, quella animale e quella vegetale abbiano origine dalla stessa sorgente, la grande Dea Madre Onnidispensatrice, che troviamo anche in periodi successivi della civiltà occidentale. Indicano inoltre che i nostri antichi progenitori riconoscevano che noi e il nostro ambiente naturale siamo parti integranti e collegate del grande mistero della vita e della morte, e che per questo motivo tutta la natura deve essere trattata con rispetto. Questa coscienza – in seguito evidenziata nelle statuette della Dea circondata da simboli naturali come animali, acqua e alberi, oppure essa stessa in forma animale – era indubbiamente alla base del nostro perduto retaggio psichico. Centrale è anche l’evidente timore reverenziale, la meraviglia per il grande miracolo della nostra condizione umana: il miracolo che s’incarna nel corpo di una donna. A giudicare da queste prime testimonianze psichiche, si tratta di un tema fondamentale nei sistemi di fede preistorici dell’Occidente.

Tratto da “Il calice e la spada, la civiltà della Grande Dea dal neolitico ad oggi” di Riane Eisler, FORUM editrice universitaria Udine (terza stampa 2018, Traduzione curata da Vincenzo Mingiardi)

Le veneri paleolitiche, l’utilizzo d’ocra rossa e delle conchiglie a forma di vagina nei luoghi di sepoltura sono le prime manifestazioni di una credenza che in seguito assunse le caratteristiche di una vera e propria religione incentrata sul culto della Dea Madre. Questo culto, largamente diffuso nell’epoca neolitica, è sopravvissuto fino ai momenti più recenti della storia nella figura composita della Magna Mater della mitologia Greco-romana. La continuità storica di questa credenza la si distingue anche in altre divinità note, come Iside, Nut e Maat in Egitto, oppure in Astarte, Ishtar, e Lilith nella Mezzaluna Fertile. Nella tradizione cattolica, invece, la si riconosce nella figura della Vergine Maria. (Riane Eisler 1987, 1995)

fonti:

Il calice e la spada, la civiltà della Grande Dea dal neolitico ad oggi” di Riane Eisler, FORUM editrice universitaria Udine (terza stampa 2018, Traduzione curata da Vincenzo Mingiardi)
Prima edizione italiana: Pratiche 1996.
Seconda edizione italiana: Frassinelli 2006

Titolo originale “The chalice and the Blade. Our history, our future” 1987, 1995.

https://storia-controstoria.org/paleolitico/le-veneri-del-paleolitico/

Fonte immagine in testata-https://www.amusingplanet.com/2016/09/15000-year-old-bison-sculptures-at-tuc.html

The following two tabs change content below.
Divulgatore storico esperto in archeoastronomia.
Spread the love