Le concezioni teologiche che emergono dalla letteratura sumera descrivono un’epoca mitica in cui gli dèi si assegnarono diritti e doveri sulla base un semplice ordinamento sociale che divideva le divinità in due grandi categorie, quelle maggiori e quelle minori. Quelle minori dovevano lavorare la terra e provvedere al sostentamento delle divinità più importanti, ma venne il giorno in cui decisero d’incrociarono le braccia per lamentarsi della loro condizione. Le divinità maggiori compresero le ragioni degli dèi minori e per sollevarli dai loro obblighi decisero di creare l’uomo, un sostituto che potesse sopportare il peso del lavoro al loro posto. Per gli antichi sumeri il lavoro apparteneva alla condizione umana e all’opposto dei successivi convincimenti ebraici non lo consideravano una punizione divina, quanto più un destino. Leggendo “l’Inno alla zappa”, un importate testo creazionistico tratto dalla letteratura sumera, apprendiamo un concetto cardine dell’intera cultura mesopotamica: l’uomo esprime la sua natura divina e porta a termine il suo destino attraverso il lavoro.
L’Inno alla zappa è un testo sumero dedicato alla creazione dell’uomo che appartiene alla scuola di Nippur, una città della Bassa Mesopotamia fiorita nel corso del IV millennio a.C. e consacrata al dio Enlil. Prima che l’uomo fu creato, Enlil scavò un buco nella terra, creò la zappa e istituì le mansione del lavoro, successivamente elogiò le qualità della zappa fin nei minimi dettagli e la depose nel luogo in cui avrebbe cresciuto il primo uomo per affidargliela. Il testo attribuisce alla zappa un aspetto regale, presentandola come un prezioso scettro. Il fatto che le prime città della storia siano sorte presso una cultura cosi’ dedita al lavoro non è certamente un caso. Nel corso del IV millennio a.C., Uruk divenne una città, la prima della storia a potersi definire tale anche grazie all’elevata specializzazione del lavoro.
INNO ALLA ZAPPA
1 <<il Signore ha fatto veramente risplendere tutto ciò che è appropriato,
Il Signore, la cui decisione dei destini è immutabile,
Enlil, affinché il seme del Paese uscisse dalla terra,
si affrettò a separare il cielo dalla terra,
5 si affrettò a separare la terra dal cielo.
Affinché Uzumua facesse germogliare la “forma” (dell’umanità),
Enlil apre una fessura nel pavimento di Duranki;
egli crea la zappa e sorge il giorno;
egli istituisce le mansioni del lavoro, stabilisce il destino
10 e mentre egli avvicina il braccio alla zappa e al canestro di lavoro,
elogia Enlil e la sua zappa.
La zappa aurea, dalla testa di lapislazzuli,
tenuta da fermi d’oro e d’argento delicati,
la cui lama sembra un vomere di lapislazzuli,
15 e la punta un unicorno solitario su una vasta piana.
Dopo aver elogiato la zappa, il signore ne fissò il destino,
e dopo averla cinta di una corona verdeggiante, egli porta la zappa in Uzu’ea.
Depone la <<forma>> dell’umanità nella fessura
20 e mentre il suo paese davanti a lui germoglia come erba dalla terra,
Enlil li guarda benevolmente i suoi sumeri.
Gli dèi Anunna si dispongono davanti a lui
e alzano le loro mani portandole (in gesto di preghiera) alla bocca,
essi rivolgono preghiere ad Enlil,
25 e consentono al suo popolo sumerico di prendere in mano la zappa>>.fonte traduzione:Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
Per gli antichi sumeri il lavoro apparteneva alla condizione umana, una concezione opposta a quella dei successivi convincimenti ebraici che lo consideravano una punizione divina imposta all’uomo per aver trascredito gli ordinamenti divini.
Tratto dalla Genesi Biblica:
17 All’uomo (dio) disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,
maledetto sia il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita.
18 Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba campestre.
19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;
finché tornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere tornerai!».
fonte:Mitologia Sumera, Giovanni Pettinato, Unione Tipografica-Editrice Torinese (UTET)
Manuel Bonoli
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